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Data: 27/06/2014 14:00:00 - Autore: Avv. Federica Federici Avv. Federica Federici f.federici@studiolegalefederici.it Antigiuridicità o contrarietà all'ordinamento giuridico rappresentano un concetto generico frutto della qualificazione che il diritto penale fa sul versante oggettivo del fatto di reato. Tale qualificazione poggia su condizioni che giustificano la situazione in cui si realizza il fatto di reato. Sicché l'antigiuridicità viene meno qualora una norma di legge autorizzi o imponga il fatto incriminato. Questa norma viene definita “scriminante” o “causa di giustificazione” (dal Rechtfertigungsgründe tedesco – causa di non punibilità che esclude l'antigiuridicità). La rilevanza delle scriminanti nel nostro sistema è documentata dall'inserimento nella parte generale degli artt. 50 e 54 c.p. che le rendono pertanto applicabili a tutti i reati. Esse quindi rientrano nella categoria generali delle “esimenti” (giustificanti, scriminanti, scusanti), tutte situazioni che escludono la responsabilità per un fatto costituente reato in virtù di ragioni oggettive (scriminanti) o soggettive (scusanti o cause di esclusione della colpevolezza). La presente disamina si articolerà in una preliminare trattazione della legittima difesa in generale (definizione, fondamento, evoluzione storica e tipologie) per poi approfondire i suoi elementi, in particolare il carattere della “attualità” del pericolo, al fine di contestualizzare l'operatività alla fattispecie dei cosiddetti reati abituali, nei quali il fattore tempo gioca un ruolo significativo e – come tale – pone in luce una serie di aspetti problematici che fanno dubitare della sussistenza dell'attualità del pericolo stessa ove la reazione intervenisse negli intervalli dei singoli episodi offensivi. In tali intervalli si potrebbe ricorrere efficacemente alla tutela statuale. Argomentazioni e considerazioni in merito ai suddetti rilievi critici richiedono una preliminare analisi di entrambi gli istituti: la difesa legittima e i reati abituali. Rispetto ad altre scriminanti la legittima difesa non è costruita solo ed essenzialmente su elementi normativi, ma anche su elementi empirici che consentono di “apprezzare” il fatto scriminante ed evidenziano un diverso configurarsi del fondamentale principio gnoseologico che regge il sistema delle qualificazione oggettiva: la non contraddizione. Le linee fondamentali dell'istituto (vim vi repellere licet) sono dettate dall'art. 52 c.p. che definisce la legittima difesa come azione posta in essere per difendere la propria o altrui sfera giuridica da aggressioni ingiuste in uno schema quindi di azione-reazione: all'aggressione ingiusta segue una difesa proporzionata. Essa è legittima perché l'ordinamento giuridico la autorizza a fronte di una minaccia ritenuta ingiusta e quindi giustifica lo stesso nesso di causalità giuridica sia sotto il profilo materiale (difesa come conseguenza fisica dell'aggressione) che sotto il profilo valutativo (difesa come conseguenza giuridica dell'aggressione). Il suo fondamento secondo taluni va ritenuto nella delega che lo Stato concede ai cittadini nella tutela di interessi fondamentali sul presupposto che il compito della loro protezione viene trasferito dai cittadini allo stato con il “contratto sociale”. Secondo altri essa va ricondotta al diritto naturale di autodifesa individuale, ma con l'immanente presupposto del suo riconoscimento nel sistema penale dell'intervento autorizzatorio dello stato. Infine, secondo altri ancora il suo fondamento risiede nell'assenza di danno sociale, in quanto opera un bilanciamento di interessi in conflitto. Trattasi di posizioni dottrinali non antitetiche, ma che si completano pur dominando in tutte il profilo dell'autodifesa come condotta permessa al soggetto aggredito da parte dello Stato sulla base del principio di sussidiarietà orizzontale, che giustifica l'attribuzione di poteri coercitivi in capo ai soggetti privati laddove aggrediti ingiustamente. Per quel che riguarda la sua evoluzione storica, quel che qui interessa è che la modifica dell'art. 52 c.p. ad opera della L. 2006/59 ha fatto discutere in quanto la “nuova legittima difesa”, se da un lato è stata avvertita come giusta e necessaria, dall'altro la pretesa di sentirsi al sicuro nella società e nei propri luoghi di dimora ha per alcuni introdotto una sorta di “licenza di uccidere” (il cosiddetto giustiziere privato), il che quantomeno astrattamente configura una lesione dei principi di offensività e necessità, sottraendone un'intera area di fatti concreti al giudice. Al primo comma dell'art. 52 c.p. viene disciplinata la legittima difesa ordinaria (non modificata dalla novella di cui sopra) e la sua struttura è composta da 1) un'aggressione ad un diritto proprio o altrui; 2) un pericolo attuale di un'offesa ingiusta; e 3) una reazione legittima. Tutti elementi a loro volta scomponibili, in particolare l'elemento del pericolo attuale, problematico ‘ sotto il punto di vista dell'accertamento e sulla base del quale sono necessarie delle considerazioni con riguardo specifico alla fattispecie dei reati abituali. Il pericolo è tradizionalmente considerato una situazione o complesso di circostanze suscettibili di provocare un danno o un rischio (inteso come probabilità che si verifichi un evento lesivo). Il suo accertamento si opera tramite le cosiddette leggi di copertura, previa ridescrizione dell'offesa nell'accadimento naturale corrispondente, giudizio che consiste in una prognosi che tenga conto di tutte le circostanze obiettive del caso concreto anche se conosciute solo successivamente. In merito a questo giudizio la dottrina è divisa tra sostenitori del giudizio ex ante e quello ex post: tuttavia sembrerebbe essere diventato ormai un falso problema, in quanto l'accertamento può essere compiuto solo alla luce della situazione esistente, più o meno nota all'agente al fine di evitare risultati iniqui. Esso peraltro implica una predizione, non un giudizio storico, pertanto potrà formularsi solo con riguardo al momento in cui il soggetto aggredito ha reagito. E questo ricomprende tutte le circostanze oggettive del caso concreto: luogo, tempo, mezzi a disposizione dell'aggressore e dell'aggredito, quindi sembrerebbe maggiormente in linea con la funzione tipica delle cause di giustificazione, l'orientamento che ritiene necessario operare tale giudizio ex post al fine di risolvere un conflitto tra interessi contrapposti. Secondo l'altro orientamento invece, se il pericolo appreso ex ante risultasse erroneamente supposto - o di consistenza maggiore di quella reale - sarà necessario applicare la disciplina della difesa putativa. Ma quando il pericolo quindi può ritenersi ”attuale”? Quando esso è presente con esclusione di quello già esaurito o non ancora nato (incombente e permanente/perdurante), sicché quando l'azione di aggressione sia prossima o abbia raggiunto la soglia di rilevanza penale dando luogo ad un tentativo di reato (aggressione in itinere e situazione di pericolo già nota ma non tradotta in danno) o quando l'offesa del diritto è in corso e può essere interrotta grazie ad una azione lesiva posta in essere nei confronti dell'aggressore (es. reati permanenti). Non ammettendo il nostro ordinamento la cosiddetta “difesa anticipata” o preventiva, il pericolo attuale è quello che, se non tempestivamente neutralizzato, causerebbe la lesione di un diritto, quindi deve trattarsi di pericolo imminente o persistente al momento della reazione difensiva, non futuro e neanche già esaurito. Nel primo caso potrebbe ricorrersi agli ordinari strumenti di tutela della sicurezza pubblica, nel secondo caso mancherebbe la necessità di difendersi. C'è quindi da chiedersi se nella formula “pericolo attuale” rientrino sia situazioni statiche di minaccia di offesa ingiusta, sia situazioni di pericolo che si protraggono nel tempo non esaurendosi in un solo atto ma in più comportamenti minacciosi non interrotti ma continuativi. Ciò accade ad esempio nei reati abituali, nei quali la pericolosità sociale del soggetto è presente come attuale e concreta, in una valutazione complessiva della sua condotta senza che rilevino termini o pericoli entro i quali siano commessi i reati o la qualità dei fatti commessi e dei beni giuridici offesi. Rinviando agli artt. 102 – 103 e 104 c.p. l'approfondimento della natura di tali reati e tipologie riconosciute dal nostro ordinamento, quel che interessa valutare è: a) come e in che limiti la scriminante della legittima difesa operi; b) ciò che richiede la legge ai fini della loro qualificazione; c) la reiterazione intervallata di più condotte identiche o omogenee che in sé non sarebbero punibili. Trattandosi di illeciti a struttura complessa (reiterazione dei fatti) con identità o omogeneità di questi e nesso oggettivo di abitualità, tali reati si sostanziano come frequenti o persistenti nel tempo (es. maltrattamenti in famiglia, sfruttamento della prostituzione) per cui gli stessi concetti “imminente” ed “attuale” tendono a perdere il significato fin qui sceverato, e a perdere forza oggettiva e soggettiva dopo il primo impulso, quasi ad affievolirsi nelle azioni successive, almeno rispetto al dolo degli episodi singolarmente considerati. Nei reati abituali il fenomeno criminoso presenta infatti una doppia tipizzazione e come tale risulta problematico giustificare l'applicazione della scriminante, laddove per la sua configurabilità, l'attualità del pericolo implica un effettivo e preciso contegno del soggetto antagonista, prodromico di una determinata offesa ingiusta, la quale si prospetti come concreta ed imminente, tale da rendere necessaria un'immediata reazione “difensiva” e non “ritorsiva”. In termini espliciti la giurisprudenza ha infatti ritenuto che l'espressione pericolo attuale ricomprenda non solo l'ipotesi di una minaccia di un'offesa ingiusta, ma anche quella in cui il pericolo si protrae nel tempo, non interrotto da intervalli tra i singoli episodi offensivi che, se si verificassero, permetterebbero al soggetto aggredito di rivolgersi alla tutela pubblica, facendo venir meno la ratio della scriminante. Ne deriva che nei reati abituali si ha pericolo attuale solo se imminente, ovvero quando ricorrono le condizioni che solitamente determinano la condotta di reiterazione. Al contrario, se la reazione difensiva si verifica ha un episodio offensivo ed un altro, non sarà invocabile la reazione della legittima difesa. Per accertare tuttavia la prossimità logico-cronologica tra inizio dell'attualità del pericolo e consumazione del reato, non sarà sufficiente ragionare sul solco degli elementi del tentativo. Si tratterà invece di ragionare in termini di necessità ed improrogabilità della reazione difensiva che, per essere scriminata, dovrà rappresentare l'unica via possibile per sottrarsi al pericolo. Nella distanza temporale delle condotte offensive dei reati abituali l'attualità del pericolo è rinvenibile, come si è visto, solo nell'imminenza o nel corso della singola condotta offensiva, ovvero nel momento in cui la costante e latente situazione di pericolo si acutizza in qualcosa di concreto ed innovativo: nel caso ad es. di un soggetto dedito all'uso di alcool che abitualmente maltratta i familiari al rientro a casa: la situazione di pericolo si verifica semplicemente quando il soggetto varca la porta in stato di ebbrezza. Avv. Federica Federici - f.federici@studiolegalefederici.it |
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