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Data: 02/07/2014 10:20:00 - Autore: Marina Crisafi Una telefonata nel cuore della notte, anche se ricondotta ad una goliardata di cattivo gusto, integra il reato di minaccia poiché trattasi di condotta idonea ad intimidire una persona normale. Così ha statuito la quinta sezione penale della Cassazione, con sentenza n. 25772 del 16 giugno 2014, in una vicenda che ha visto protagonista un minore, imputato del reato di minaccia effettuata per telefono, in orario notturno, presso il numero dell'abitazione della parte offesa. Non ravvisando i presupposti per la declaratoria di irrilevanza del fatto, data la mancanza dei requisiti di occasionalità ed episodicità, il Tribunale per i minorenni di Caltanissetta dichiarava non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale. Proposto ricorso per cassazione, la difesa sosteneva che il fatto era riconducibile ad una mera goliardata notturna, mossa dallo spirito di emulazione dei film horror, “non potendosi diversamente qualificare la minaccia riferita alla presunta esistenza di una setta satanica in Caltanissetta, con la minaccia “morirai entro sette giorni”. Di diverso avviso, la Cassazione, condividendo la statuizione del tribunale, ha affermato che per il reato di minaccia “trattandosi di reato di pericolo, non è richiesta la concreta intimidazione della parte offesa, ma la comprovata idoneità della condotta ad intimidire una persona normale”. Pertanto, nel caso di specie, secondo la S.C., il fatto non riveste i caratteri della goliardata giovanile, bensì di una condotta idonea, attraverso il male minacciato, ad intimidire la vittima, incidendo potenzialmente nella sfera della sua libertà psichica, indipendentemente dai motivi che hanno indotto l'autore del reato ad effettuare la telefonata. Né può rilevare la presunta episodicità, poiché, alla luce della portata offensiva del fatto, della sua rilevanza sociale e delle esigenze educative del minore, nonché dei fatti successivi alla commissione del reato, è ravvisabile, invece, una condotta sostanzialmente recidivante. Per questi motivi, la Corte ha confermato il “perdono giudiziale” e rigettato il ricorso.
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