Data: 07/07/2014 11:00:00 - Autore: Avv. Francesco Pandolfi

Avv. Francesco Pandolfi  

La sospensione precauzionale dall'impiego adottata ai sensi dell'art. 916 dell' Ordinamento Militare, per quanto costituisca un provvedimento ampiamente discrezionale, deve comunque tenere conto dell'evoluzione e delle emergenze del procedimento penale i cui esiti essa tende ad anticipare.  

Il Tar Piemonte Torino sezione 1 ( sentenza n° 527/13 ) così si è pronunziato contro il Ministero dell'Economia e delle Finanze, il Comando Interregionale Italia Nord Occidentale Guardia di Finanza, il Comando Regionale Piemonte Guardia di Finanza, accogliendo il ricorso di XXXX.

Nel corso dell'anno 2010 la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino iscriveva il  maresciallo della Guardia di Finanza a notizia di reato in relazione a fatti commessi tra il 2009 ed il  2010: in particolare il ricorrente veniva sottoposto ad indagine per i reati di cui agli artt. 110, 81, 321 in relazione all'art. 319 e 319 ter comma 2 e 3, 326 e 378 c.p. per avere, nella sua qualità di agente di polizia giudiziaria della Procura della Repubblica di Torino, consultato abusivamente il registro generale della Procura stessa e fornito notizie relative ad un procedimento penale pendente al fine di riceverne in cambio, quale utilità, un avanzamento di carriera nell'ambito della loggia massonica di appartenenza del ricorrente, per aver rivelato notizie afferenti ad un procedimento penale coperte da segreto ed infine per aver aiutato gli indagati del medesimo procedimento penale ad eludere le indagini.

Il GIP presso il Tribunale di Torino disponeva, nei confronti del ricorrente, la custodia cautelare degli arresti domiciliari che veniva commutata nel divieto di dimora in edifici adibiti ad uffici giudiziari dal Tribunale del Riesame.  Il Comandante del Nucleo di Polizia Tributaria aveva nel frattempo adottato la misura della sospensione precauzionale dall'impiego a titolo obbligatorio, che tuttavia veniva revocata in esito alla decisione del Tribunale del Riesame.

Nel luglio 2011 sopravveniva la perdita di efficacia della misura cautelare in essere e quindi il maresciallo veniva prima riammesso al Nucleo di Polizia Tributaria, poi trasferito al Gruppo Operativo Antidroga.

Con richiesta del 2012 il Pubblico Ministero chiedeva il rinvio a giudizio del ricorrente per i summenzionati reati e, a seguito di rito abbreviato, il G.U.P. del Tribunale di Torino ne accertava la penale responsabilità per i reati di cui agli artt. 615 ter e 378 c.p. commessi in concorso con terze persone e riuniti sotto il vincolo della continuazione, e qualificato più grave il reato di cui all'art. 378 c.p. e concesse le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, condannava il maresciallo alla pena di anni 2 di reclusione con il beneficio della sospensione condizionale. Il ricorrente veniva invece assolto con formula piena dal reato di cui all'art. 321 c.p.

Il Comando Interregionale della Guardia di Finanza disponeva la sospensione obbligatoria dall'impiego del ricorrente, andando di contrario avviso rispetto ai pareri, obbligatori, del Responsabile del Nucleo di Polizia Tribunale, del Comandante Provinciale e del Comandante Regionale, raccolti nell'ambito del procedimento avviato sin dall'aprile 2012 a tale scopo.

Il militare ricorrente ha frapposto appello avverso la testé ricordata sentenza penale di condanna, che non risulta essere stata gravata dal Pubblico Ministero. Il maresciallo ha inoltre impugnato il provvedimento che ha disposto la sospensione cautelare dall'impiego deducendone l'illegittimità per i seguenti motivi:

I) difetto di motivazione in relazione ai pareri raccolti nel corso del procedimento, dai quali la decisione impugnata si é discostata senza darne adeguata motivazione;

II) insussistenza dei presupposti per l'adozione della misura cautelare della sospensione precauzionale dall'impiego;

Si é costituito in giudizio il Ministero dell'Economia e delle Finanze per resistere al ricorso.

Alla camera di consiglio dell' ottobre 2012 il Collegio disponeva la sospensione del provvedimento impugnato sul rilievo che questo si discostava senza adeguata motivazione dai tre pareri assunti nel corso del procedimento nonché sulla considerazione che la sentenza, non comminando pene accessorie ed avendo concesso la sospensione condizionale della pena, non sarebbe stata idonea a determinare, una volta passata in giudicato, la rimozione del grado quale conseguenza automatica.

Detta ordinanza veniva riformata dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 197/2013 in considerazione del fatto che la sospensione precauzionale dall'impiego può essere sempre comminata nel corso di un procedimento penale dal quale possa derivare la perdita del grado; che questa ultima può comunque conseguire a procedimento disciplinare; che i fatti ascritti al ricorrente apparivano contrari ai doveri derivanti dalla appartenenza al Corpo della Guardia di Finanza e comunque denotavano l'assenza dei valori cui deve ispirarsi la vita di un militare; che i fatti avevano avuto notevole risonanza sui giornali e nella opinione pubblica, di guisa che l'interesse del ricorrente appariva recessiva all'esigenza del Corpo di preservare il proprio decoro e prestigio.

Il ricorso infine é stato introitato a decisione alla pubblica udienza del febbraio 2013.

Il Collegio non si discosta dall'orientamento già assunto in sede cautelare.

Rammenta che la sospensione precauzionale dall'impiego può essere disposta sia - ai sensi dell'art. 916 D. L.vo 66/2010 - quando il militare sia "imputato" di un reato che possa comportare la rimozione del grado, sia - ai sensi del successivo art. 917 "durante" un procedimento disciplinare instaurato per fatti di notevole gravità suscettibili di essere puniti con la perdita del grado per rimozione, ovvero, ai sensi del comma 2, "in vista dell'esercizio della azione disciplinare, ma la stessa é revocata a tutti gli effetti se la contestazione degli addebiti non ha luogo entro sessanta giorni dalla data in cui é stato comunicato il provvedimento di sospensione".

La sospensione precauzionale ex art. 916 ha dunque la funzione di anticipare, in un'ottica cautelativa, le conseguenze - automatiche - di una sentenza penale di condanna dalla quale si attendono determinati esiti e pertanto non può fungere da strumento anticipatorio di un possibile procedimento disciplinare: a tale scopo l'ordinamento ha infatti previsto la sospensione precauzionale ex art. 917 che però può essere disposta ove già penda un procedimento disciplinare, che nel caso di specie non risulta essere stato promosso, ovvero anche "ante causam", dovendo però in tal caso essere revocata ove entro i successivi sessanta giorni l'azione disciplinare non sia esercitata.

L'art. 866 del citato D. L.vo 66/2010 statuisce poi che "La perdita del grado, senza giudizio disciplinare, consegue a condanna definitiva, non condizionalmente sospesa, per reato militare o delitto non colposo che comporti la pena accessoria della rimozione o della interdizione temporanea dai pubblici uffici, oppure una delle pene accessorie di cui all'articolo 19 comma 1, numeri 2) e 6) del codice penale. I casi in base ai quali la condanna penale comporti l'applicazione della rimozione o della interdizione temporanea dai pubblici uffici sono contemplati rispettivamente, dalla legge penale militare e dalla legge penale comune.". Tenuto conto del fatto che la rimozione del grado quale conseguenza automatica di un procedimento penale non dipende dalla lunghezza delle pene accessorie (che in molti casi é predeterminata dalla legge, in altri deve essere quantificata dal giudice tra un minimo ed un massimo) e che, inoltre, laddove previste dalla legge esse conseguono di diritto alla condanna penale inflitta dal giudice, é evidente che ai fini della rimozione del grado rileva solo il titolo del reato e non anche la condanna in concreto inflitta.  Tuttavia é indubitabile che la norma in esame non consente di disporla quando la sentenza di condanna, per quanto definitiva, abbia concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena: ciò per l'evidente ragione che la pena sospesa impedisce l'applicazione delle pene accessorie e che, in caso contrario, si finirebbe per collegare la massima sanzione disciplinare ad un reato suscettibile di estinguersi nel quinquennio successivo.

Di conseguenza, il militare che riporti una condanna a pena sospesa per un reato che comporti l'applicazione della rimozione o della interdizione dai pubblici uffici non potrà subire la perdita del grado per rimozione quale effetto automatico della condanna, ma solo, ai sensi dell'art. 865 D. L.vo 66/2010, a seguito di apposito giudizio disciplinare instaurato ai sensi degli artt. 1370 e segg. D. L.vo 66/2010.

Orbene, il Collegio considera che, seppure sia evidente che ai fini della sospensione ex art. 916 sia sufficiente - come rilevato nella sopra ricordata ordinanza del Consiglio di Stato - la mera qualità di "imputato", che si conserva sino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento penale, non si può neppure sottacere che normalmente una simile misura cautelare viene adottata nella fase iniziale del medesimo, quando ancora vi é estrema incertezza sul suo esito. Va poi rilevato che lo stretto legame genetico che unisce la misura cautelare in argomento agli esiti di un procedimento penale impone di tenere in considerazione, ai fini della adozione della misura o del mantenimento della stessa, l'evoluzione del procedimento stesso e le sue emergenze, le quali fungono pertanto da limite alla discrezionalità di cui le autorità militari dispongono nel decretare la sospensione precauzionale dell'impiego: si vuol dire, con ciò, che tanto più nel corso del procedimento penale emergano circostanze tali da far ritenere possibile o probabile un esito favorevole all'imputato - anche solo per la concessione della sospensione condizionale della pena -tanto più rigorosa deve essere la motivazione posta a sostegno della sospensione precauzionale, o della eventuale decisione di non revocarla, non corrispondendo a canoni di ragionevolezza e di prudenza il provvedimento cautelare che anticipi gli effetti di una sentenza di condanna nel momento in cui già sussistono dubbi sull'esito del giudizio. A testimonianza della irragionevolezza di un provvedimento di sospensione precauzionale ex art. 916 Ordinamento Militare che, come quello in oggetto, si giustifichi con la mera pendenza del procedimento penale senza considerarne i prevedibili esiti milita anche la considerazione che ove il ricorrente avesse rinunciato a difendersi in giudizio appellando la sentenza, questa, che non consta sia stata impugnata dal Pubblico Ministero, sarebbe passata in giudicato immediatamente, con la conseguenza che il provvedimento impugnato, in quanto misura cautelare, avrebbe dovuto essere immediatamente revocato senza che la perdita del grado potesse conseguire di diritto alla sentenza stessa. Si potrà dire che il ricorrente doveva computare questo rischio nel valutare se impugnare o meno la sentenza di primo grado, ma la verità é che astraendo dal concreto evolversi del procedimento penale la sospensione precauzionale ex art. 916 O.M. questa diventa uno strumento di pressione finalizzato a dissuadere il militare dall'esercitare il diritto di difendersi in giudizio, diritto riconosciuto non solo dalla Costituzione della Repubblica Italiana, ma anche nella Carta Europea dei Diritti Umani e nella Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, e la cui violazione potrebbe conseguentemente esporre la Repubblica Italiana a procedimenti di infrazione o a sentenza di condanna da parte della Corte di Strasburgo.

Si deve pertanto affermare che la sospensione precauzionale dall'impiego adottata ai sensi dell'art. 916 del Ordinamento Militare, per quanto costituisca un provvedimento ampiamente discrezionale deve comunque tenere conto dell'evoluzione e delle emergenze del procedimento penale i cui esiti essa tende ad anticipare; pertanto quando essa venga adottata all'indomani di una sentenza di primo grado inidonea a determinare la perdita del grado quale conseguenza automatica, essa deve fondarsi su una motivazione che dia conto, in modo rigoroso, dell'interesse pubblico a disporre una tale misura cautelare prescindendo da un apposito giudizio disciplinare.

Nel caso di specie si osserva che mentre non risulta essere mai stato avviato un procedimento disciplinare nei confronti del M.llo De., la sospensione precauzionale dall'impiego é stata adottata, nei di lui confronti, non nella fase delle indagini né all'indomani del rinvio a giudizio, ma solo dopo la sentenza di primo grado - della quale, tra l'altro, si dà espressamente atto nelle premesse -, che assolveva il ricorrente dal capo di imputazione più grave, e che lo condannava per i reati meno gravi concedendogli il beneficio della sospensione condizionale della pena, creando così le premesse per il passaggio in giudicato di un titolo inidoneo a determinare la rimozione del grado. Il provvedimento impugnato, tuttavia, non sembra essersi minimamente posto il problema delle conseguenze derivanti dalla concessione della sospensione condizionale della pena e della conferma in appello di tale statuizione, e l'omessa considerazione di tale problema appare tanto più irragionevole ove si rammenti che le sentenze non appellate dal Pubblico Ministero non possono essere riformate in peggio - in forza del noto divieto di reformatio in pejus sull'appello dell'imputato -, e che pertanto di lì a poche settimane dopo il Comandante Interregionale avrebbe avuto a disposizione elementi più significativi per effettuare una prognosi in ordine al possibile esito del giudizio d'appello: in particolare, constatato il mancato appello del Pubblico Ministero - che in effetti non consta essere intervenuto - il Comandante avrebbe potuto escludere sia una condanna ad una pena più grave sia la revoca del beneficio della sospensione condizionale.

Si constata, in effetti, una fretta anomala nella adozione del provvedimento cautelare, che mal si concilia con la tardività dello stesso: il procedimento penale era in corso, infatti, sin dal 2010, e dal 22 luglio 2010 il ricorrente é stato sottoposto alla misura cautelare del divieto di dimora presso uffici giudiziari. Con provvedimento del 22/07/2011 il GIP ha dato atto della sopravvenuta perdita di efficacia di tale misura cautelare, ed il De. é stato reintegrato nel Nucleo di Polizia Tributaria, per esserne spostato solo dal successivo mese di novembre. L'08/03/2012 il Pubblico Ministero ne chiedeva il rinvio a giudizio, ed ancora, pur davanti ad una imputazione grave come quella inerente la violazione dell'art. 321 c.p. la sospensione precauzionale non veniva disposta. Quindi non si comprende che fretta vi fosse nell'adottare l'anzidetta misura senza attendere almeno di verificare se il Pubblico Ministero avrebbe impugnato la sentenza, tenuto conto del fatto che tutte le ragioni indicate a fondamento della misura - e cioè: la gravità del fatto commesso, il pregiudizio connesso al fatto di non poter adibire il ricorrente a mansioni operative, la necessità di effettuare un bilanciamento degli interessi ed il nocumento per la immagine ed il decorso del Corpo - certamente preesistevano da tempo e che, in particolare, non risulta che la vicenda penale abbia avuto risonanza in concomitanza con la pubblicazione della sentenza di primo grado. Su questo specifico punto il provvedimento impugnato é assolutamente generico, di talché si può presumere che della vicenda i media abbiano trattato all'epoca in cui venivano disposte le misure cautelari, e non in concomitanza con la sentenza di primo grado, resa tra l'altro a seguito di giudizio non pubblico: conferma in tal senso si trae proprio dalla motivazione di due dei tre pareri raccolti nel corso del procedimento, e precisamente dal parere reso dal Comandante Provinciale, il quale ha messo in evidenza come "gli effetti dei comportamenti richiamati nei capi di imputazione sono stati riportati unicamente in data 21 settembre 2010 e rimasti circoscritti nell'ambito della cronaca locale dei quotidiani...", e dal parere del Responsabile del Nucleo di Polizia Tributaria, nel quale si legge che "la sentenza non ha avuto risonanza negli organi di informazione e quindi nell'opinione pubblica". La preoccupazione di preservare il decoro ed il prestigio del Corpo suggeriva, invece, di adottare la sospensione precauzionale quale misura sostitutiva alla sospensione obbligatoria, revocata sin dal luglio 2010 in concomitanza con la revoca degli arresti domiciliari; ed il fatto che a tale aspetto si sia pensato solo due anni dopo non può non essere riguardato come comportamento immotivato e contraddittorio, oltre che inutile allo scopo, non constando che la stessa misura cautelare impugnata, che evidentemente voleva costituire una punizione esemplare, abbia avuto pari risonanza da parte dei media: ed infatti, pure ammettendo che la vicenda abbia generato un qualche danno all'immagine della Guardia di Finanza, non si capisce come tale immagine potesse essere stata ristabilita nella opinione pubblica se non dando alla notizia della punizione esemplare una adeguata, ma probabilmente illecita (per lesione della riservatezza) pubblicità.

La sospensione precauzionale deliberata con l'atto impugnato risulta quindi affetta da eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità e sviamento della causa tipica.  

A tutto ciò si deve aggiungere che il provvedimento impugnato disattende completamente i tre pareri istruttori ed obbligatori raccolti nel corso del procedimento, della cui esistenza si limita a dare atto senza motivare le ragioni della diversa decisione. Nei citati pareri sono stati messi in particolare risalto la professionalità del De. nei precedenti 26 anni di servizio, il tempo trascorso dall'epoca dei fatti, l'ottima condotta da questi mantenuta successivamente ai fatti medesimi, la di lui preparazione ed abilità professionale, l'assenza di ulteriori pregiudizi per l'Amministrazione.  

Orbene, il provvedimento conclusivo di un procedimento che si discosti da pareri obbligatori assunti nel corso della istruttoria deve essere motivato in maniera precisa e puntuale.  

Il provvedimento impugnato, contraddicendo ai pareri assunti non solo sulla decisione finale ma anche su specifiche affermazioni riguardanti il De., e tuttavia non spendendo una sola parola per spiegare se tali affermazioni siano erronee o non veritiere, quali siano le circostanze che eventualmente dimostrerebbero tali errori e/o falsità e comunque per quali ragioni esse non meritino considerazione, non fornisce quel supporto motivazionale che la giurisprudenza richiede nel provvedimento conclusivo che intenda discostarsi da pareri obbligatori. Da qui un ulteriore causa di eccesso di potere.

Le dianzi esposte argomentazioni hanno dato ragione della fondatezza del ricorso.

Avv. Francesco Pandolfi  -  diritto militare  - diritto amministrativo
328 6090 590    skype: francesco.pandolfi8
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