Data: 26/09/2014 08:29:00 - Autore: Angelo Casella

di Angelo Casella

Nessuno sa di cosa si tratta, nonostante che l'AGCS, ovvero l'Accord General sur le Commerce des Services, abbia (e ancor più avrà in futuro) una devastante influenza sulla nostra società. Ma nessun mezzo di informazione ne ha mai dato notizia.

Parliamo di un Trattato concluso nell'ambito WTO, e cui hanno aderito gli Stati europei, con il quale si intende imporre lo smantellamento dei servizi pubblici. Ovvero (Art.19): “il progressivo incremento della liberalizzazione del commercio dei servizi”.

Utile, ad ogni buon fine, premettere i contorni del concetto di servizio pubblico.

Può tale definirsi quella attività pubblica che intende fronteggiare sia le esigenze che deve affrontare l'individuo a causa dell'esistenza della società, sia quanto attiene alla sua coesione ed al suo progresso. Si incrocia quindi con il concetto di interesse pubblico.

Facciamo qualche esempio. I membri di una collettività sono funzionalmente interconnessi. La loro immersione in un gruppo determina una serie di costrizioni, di limitazioni alla propria libertà di azione. Per cui, del caso, non potranno costruirsi una abitazione come se fossero gli unici abitanti del territorio, non sarà loro possibile derivare l'acqua dalla sorgente o dal fiume vicino, non potranno liberamente cacciare o raccogliere frutti, ovvero tenere sotto casa gli animali utili per cibo, trasporto o lavoro. Non potranno neppure gettare i rifiuti dove è più comodo, né scaldarsi o cucinare con fuochi improvvisati, e così via.

In sostanza, l'esistenza della collettività, comporta l'adozione di determinate regole e limiti su determinate attività che interferiscono o coinvolgono la coesistenza e che, di conseguenza, debbono essere svolte sotto regole comuni, in funzione del bene comune. Ed è per questo motivo che se ne occupa essa medesima. E sono i servizi pubblici.

Consegnare ai privati questi ultimi, cioè trasformarli in occasione di lucro, è innanzitutto moralmente inammissibile, perchè non si può consentire ad alcuno di fare cassa sui bisogni insopprimibili della collettività. Inoltre, nel momento in cui si concede un servizio ad un privato, si carica il cittadino, oltre che del costo di esso, anche del profitto del privato.

Ma, è sopratutto da osservare che il servizio pubblico è ispirato al criterio oggettivo della potenziale fruizione da parte di tutti (gli isolani di Marettimo hanno diritto anche loro ad un presidio sanitario). Il privato segue invece il criterio opposto: fornire il servizio a chi può pagarlo ed al maggior prezzo possibile. E ciò demolisce il principio di base del servizio: la priezione di eguaglianza fra i cittadini. Senza poi dimenticare quanto è successo in tutto il mondo in caso di privatizzazione: crollo della qualità e innalzamento dei costi.

L'interesse generale non è mai meglio tutelato in mano ai privati. Il servizio pubblico svolge anche una irrinunciabile funzione redistributiva, che rinsalda la solidarietà e guida all'eguaglianza delle opportunità.

Con il termine servizi si intendono tutte le funzioni di interesse generale. Ovvero: salute, educazione, protezione dell'ambiente, trasporti e telecomunicazioni, energia, acqua. Attività del tutto irrinunciabili per una società che voglia rimanere tale.

Nell'obbiettivo privatizzante dell'AGCS, sono ricompresi tutti i servizi che sono forniti dallo Stato, ad eccezione di: difesa, giustizia, amministrazione centrale e locale (che, evidentemente, non possono essere monetizzati). Ne vengono elencati ben 160, dalla educazione, ai parchi naturali, alla gestione dell'acqua.

L'approccio prescelto prevede un intervento di graduale privatizzazione e di progressiva eliminazione delle norme, nazionali e locali, che eventualmente la ostacolano in considerazione di specificità locali. Questa gradualità darwiniana ha lo scopo di conferire all'azione la minore evidenza possibile onde evitare prevedibili reazioni.

In effetti, si tratta di un piano di lungo termine. In previsione delle modifiche di fondo dell'economia mondiale, (dettate dall'esaurimento delle risorse naturali, dalle incomprimibile esigenze ambientali, ecc.), che imporranno un rallentamento della produzione industriale, si è studiato di spostare i capitali sull'area dei servizi pubblici, che possono far conto su una domanda per sua natura stabile e su una totale autonomia dai cicli economici.

Non c'è una vera urgenza, quindi, basta centrare l'obbiettivo a distanza, con la complicità del potere politico.

Ogni Stato viene obbligato a fornire al WTO – ogni anno – un rapporto dettagliato sui passi compiuti per realizzare questa generalizzata privatizzazione.

L'abolizione delle normative considerate “ostacoli non necessari al Commercio dei servizi”, comprende anche la delicata normativa che definisce le qualifiche professionali, la sicurezza sul lavoro, le tariffe preferenziali per soggetti in stato di necessità, il salario minimo garantito.

Gli Stati sono contestualmente tenuti a consentire l'insediamento sul loro territorio di fornitori esteri di servizi (acqua, luce, gas, ecc.) e debbono nel contempo eliminare qualsiasi aiuto, sovvenzione o facilitazione che possa alterare la libera concorrenza.

Questo insieme di vincoli crea una impostazione strutturale sovraordinata al sistema che mette palesemente la parola fine alla libera scelta democratica in nome dell'ossequio all'investitore e toglie al popolo il diritto elementare di adottare (o cambiare) orientamenti specifici. Cioè vieta ad una collettività di regolarsi come meglio ritiene in ordine alla soluzione dei suoi problemi.

Si tratta di un super-vincolo (giuridicamente non configurabile) sulla volontà futura di un popolo, vietandone l'autodeterminazione (!!).

E' stato anche studiato un meccanismo costrittivo che renda questi vincoli del tutto “irreversibili” (così: D. Hartridge, dirigente del WTO).

L'art. 21 del trattato prevede infatti che qualora uno Stato avesse un ripensamento, e non intendesse ulteriormente procedere sulla strada delle privatizzazioni, tutti gli altri Stati che si ritenessere danneggiati, avranno il diritto di chiedere delle compensazioni finanziarie, che verranno determinate da uno organo dello stesso WTO.

Tutto ciò appare paradossale e perfino ridicolo, ma nessun governo ha mai sollevato obbiezioni di qualunque natura.

Addirittura da rilevare che, mentre le determinazioni circa l'attuazione completa del trattato sono ancora in fase di elaborazione, i governi europei hanno superato tutti nella corsa all'abiezione, stabilendo - di comune accordo (ma senza darne notizia all'opinione pubblica...) - che “la protezione dell'interesse collettivoverrà esclusa dagli obbiettivi che il trattato non deve danneggiare (!!). Ciò che significa, tra l'altro, ammettere che l' “Europa” è portarice – in primo luogo – di interessi particolari.

Appunto.

L'opinione pubblica è tenuta accuratamente all'oscuro di queste mene, ed il poco che trapela di tali rigurgiti di oscurantismo, dettati dalla più squallida avidità, vengono gabellati come “modernizzazione”, ovvero come “indispensabili riforme” (contando sulla eco mentale positiva evocata automaticamente dall'idea di un rinnovamento, di un superamento di vecchie e stantìe prassi).

Si tratta di abusate litanie che tutti i politicanti (di destra, sinistra o centro) meccanicamente ripetono per mascherare in realtà la cancellazione di diritti fondamentali.

Merita ancora sottolineare che il trattato AGCS non costituisce neppure un punto d'arrivo, bensì uno di partenza.

Esso infatti pretende di instaurare un processo ininterrotto di liberalizzazioni che deve essere onnicomprensivo e completo. Come sinteticamente è espresso nel testo delle raccomandazioni depositate dagli Usa al WTO: “Intendiamo che siano abolite tutte le restrizioni alla liberalizzazione dei servizi, in ogni settore”.

Da parte sua, la Commissione europea ha imposto un termine di decadenza di dieci anni per tutte le norme degli Stati membri che rappresentano un "ostacolo" alle privatizzazioni

Con gli impegni assunti alla Conferenza di Doha (2003) la c.d. "Europa" ingiunge agli Stati membri:

1.- di elencare dettagliatamente i servizi che ha programmato di privatizzare e quelli che vorrebbe fossero privatizzati dagli altri;

2.- l'eliminazione delle normative che regolano i servizi dell'acqua, dei rifiuti, dei parchi naturali e turistici (!!), nonché tutti i beni e servizi che attengonoi alla tutela del territorio (...!).

Con queste disposizioni, l' "Europa" addirittura supera gli USA nella aggressione ai servizi pubblici.

In dipendenza poi degli accordi intercorsi fra i governi, le regole - estremamente lassiste - del WTO in tema di ambiente, debbono prevalere su tutti i trattati internazionali, mentre le norme locali di tutela vengono definite degli "ostacoli" da abbattere.

Con tutte queste disposizioni, le strutture fondamentali della società vengono ad essere stravolte senza il minimo coinvolgimento dei cittadini. In compenso, vengono intensamente consultate dalla Commissione europea le organizzazioni padronali che raggruppano i fornitori europei di servizi affinché - del tutto riservatamente - indichino le norme e le sovranità nazionali che vorrebbero veder eliminate. (v. D. POLITI, Privatizing Water: What the European Commission Doesn't Want You To Know, Washington, The Center for Public Integrity, S.R., 7.4.2003).

Di fatto, nessun Parlamento nazionale è stato mai consultato circa le scelte operate dalla Commissione d'intesa con il mondo degli affari. La Commissione ha altresì imposto ai governi che tutti i documenti relativi alla privatizzazione dei servizi rimangano segreti (così come lo sono per lo stesso Parlamento europeo...).

Rimane però il fatto che l'eguaglianza fra i cittadini - comunque - non può assolutamente essere messa in discussione, sopratutto in alcuni settori di base, come salute, istruzione, cultura, ecc. e pertanto nessun motivo di discriminazione può essere frapposto alla libera e piena fruizione di questi servizi, senza con ciò distruggere la collettività.

Questa scandalosa vicenda del trattato AGCS consente di evidenziare chiaramente un inquietante orientamento dei governi (ormai divenuto una vera prassi), che è totalmente illegittimo, oltreché gravemente lesivo di elementari dettati costituzionali.

Il governo non può decidere per il popolo, né a suo favore, né - sopratutto - a sua insaputa, segretamente, e contro i suoi interessi.

Il compito che il governo deve svolgere è quello di un mandatario incaricato di amministrare la cosa pubblica. Ciò non comporta alcun potere di vincolare le scelte, gli orientamenti e le preferenze dei suoi mandanti (gli elettori) ma, al contrario, il dovere di individuarle e di realizzarle.

Ogni azione ed iniziativa che travalichi questi limiti è un abuso di potere ed una violazione della Costituzione. Oltreché un tradimento della fiducia ricevuta.

Ancor più grave il fatto che si trasformi (e si deformi) lo strumento del trattato internazionale per introdurre norme nell'ordinamento giuridico italiano create al di fuori di ogni regola da questo prevista.

La Costituzione addirittura vieta al governo l'emanazione di disposizioni "che abbiano valore di legge ordinaria", salvo "casi straordinari di necessità e di urgenza" e ciò in quanto questa attività riserva all'organo collegiale dei rappresentanti del popolo, il Parlamento.

Con questo espediente, (che crea una nuova specie giuridica: il Trattato normativo) si viola la Costituzione e si calpestano i principi più elementari del diritto costituzionale.

Con questa distorsione della funzione e del valore giuridico dei trattati internazionali, il governo, in combutta evidente con il potere economico mondiale, cerca di introdurre illegalmente norme che nessun organo a ciò deputato, ha mai approvato. La politica si è de-politicizzata.

Addirittura, paradossalmente, si pretenderebbe di stabilire, in tal modo, dei vincoli all'auto-determinazione delle future generazioni. (E qui si pone anche il problema, più generale, della validità degli impegni presi dai politici - centrali o locali - che travalichino i limiti del loro mandato; ciò che svuoterebbe in gran parte di senso le nuove elezioni).

Una gravissima forma di abuso di potere, dunque, che determina un tale stravolgimento costituzionale, da riportare il Paese in oscuri abissi istituzionali di stampo medievale.

Si tratta di un inconcepibile lesione del rapporto tra politica e cittadini, traditi da scelte governative (siano governi di destra, sinistra o centro), che privilegiano solo gli interessi dei plutocrati e che calpestano le istanze basilari di giustizia sociale e di eguaglianza delle potenzialità. Scelte in pieno contrasto con l'impegno assunto di fronte agli elettori di proteggere ed accrescere le conquiste democratiche e sociali conquistate dopo lotte secolari.

E' una situazione estremamente preoccupante, la cui degenerazione (già peraltro in atto) delinea surrettizi scenari dittatoriali.

E' il caso, allora di rammentare, per la dignità stessa della vita nostra e dei nostri figli, ciò che proclamava la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo del 1793:

"Quando il governo viola i diritti del popolo, l'insurrezione è, per il popolo e per ogni parte del popolo, il più sacro dei diritti ed il più indispensabile dei doveri".

Il primo passo, è un voto che ripulisca il Parlamento.


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