Data: 21/07/2014 12:00:00 - Autore: Avv. Francesco Pandolfi

Avv. Francesco Pandolfi 

Sanzione disciplinare derubricata da “sospensione dal servizio” a “pena pecuniaria” minima

Un Agente di Polizia Penitenziaria subisce un procedimento disciplinare ex artt. 5 comma 3 lett. e) e g) con l'aggiunta della lettera l) dell'art. 4 comma 1 del D. Lgs. N° 449/92 da cui si evince che egli, mentre era in servizio presso l'Istituto di assegnazione, frequenta una persona pregiudicata ex detenuta e che sui social network si ritrovano immagini che la ritraggono con la predetta persona, tra le quali una foto in cui l'agente assume un atteggiamento non consono al decoro della divisa e alla dignità della funzione ricoperta.

Tale procedimento disciplinare si presenta dunque severo: l'assidua frequenza, senza necessità di servizio, di persone dedite ad attività illecite o di pregiudicati”; la “denigrazione dell'Amministrazione o dei superiori”, prospettano la sanzione della sospensione dal servizio che consiste nell'allontanamento dal servizio per un periodo da uno a sei mesi, con la privazione della retribuzione mensile, salva la concessione di un assegno alimentare di importo pari alla metà dello stipendio e degli altri eventuali emolumenti valutabili a tal fine a norma delle disposizioni vigenti, oltre gli assegni per carichi di famiglia; comporta inoltre la deduzione dal computo dell'anzianità di un periodo pari a quello trascorso dal punito in sospensione dal servizio, nonché il ritardo di due anni nella promozione o nell'aumento periodico dello stipendio o nella attribuzione di una classe superiore di stipendio con la decorrenza di cui all'articolo 4, ritardo elevato a tre anni se la sospensione dalla qualifica è superiore a quattro mesi.

All'esito della discussione del procedimento, ove la difesa dell'Agente insiste per far ritenere insussistenti i profili di incolpazione ritenendo il fatto una semplice ed occasionale goliardia assolutamente priva di significati minimi di tipo lesivo nei confronti dell'amministrazione - al limite applicando la sola pena pecuniaria previa graduazione della sanzione ( art. 3 lettera q contegno sconveniente con i detenuti ) in relazione alla gravità dell'infrazione e alle conseguenze che la stessa ha prodotto per l'amministrazione o per il servizio -,  il Consiglio Centrale di Disciplina irroga la sola pena pecuniaria pari a 1/30 così derubricando l'originaria incolpazione.

In punto di fatto era accaduto quanto segue: il 21xxxxx il V. Commissario LD, elevava rapporto disciplinare a carico dell'Agente per: “aver frequentato luoghi, persone o compagnie sconvenienti con evidente offesa alla dignità delle funzioni, per assidua frequenza senza necessità di servizio di persone dedite ad attività illecite o di pregiudicati e per entrare in rapporti di interesse con i detenuti”.

Il rapporto basava il suo contenuto sulla modalità di rilevazione dell'infrazione: in altri termini si riferiva che era stato possibile evincere l'infrazione dalle stampe di fotografie con tutta probabilità estratte da un social network ed in particolare dal profilo di un soggetto terzo, estraneo al procedimento. 

Il rapporto precisava che l'ex detenuto C. era stato ristretto in Istituto per un lungo periodo e dava atto che l'agente era stato reso edotto del procedimento disciplinare instaurato, indicando come provvedimento opportuno l'allontanamento del reclamante dalla sezione.

L'incolpato presentava le proprie giustificazioni scritte ex art. 12 d.lgs. 449/92 sostenendo come non fosse assolutamente accertata la frequentazione con la persona mancando nelle foto acquisite il riferimento temporale, specificando poi che la prova fotografica rappresentasse un documento informatico ( nel caso di specie mancante di reale efficacia probatoria in quanto privo di firma elettronica e/o marca temporale), significando che la rapportante non era stata in grado di dimostrare la provenienza delle fotografie dichiarando testualmente “fotografie con tutta probabilità estratte da social network”, richiamando infine il problema dell'effettiva utilizzabilità di tali fotografie vista la non dimostrata provenienza ed appellandosi alla disciplina di protezione dettata dal D. Lgs. 196/2003.

Spiegava le proprie ragioni anche avanti il Garante della Privacy.

Sosteneva in buona sostanza che il dato personale rappresentato dalla riproduzione di immagini si inquadrasse nella categoria dei dati sensibili, come tale meritevole di stretta tutela anche per non essere passato per la procedura del consenso scritto: nella circostanza,  l'utilizzazione da parte della rapportante di stampe di immagini risultava essere: 1 ) “forse” proveniente dal profilo del social network appartenente a un soggetto terzo come tale estraneo al procedimento disciplinare in atto tra il D.A.P. e il reclamante, 2 ) in ogni caso di provenienza non certa ( in assenza di fotografie originali le stampe o riproduzioni potrebbero essere il frutto di un collage oppure di un fotomontaggio…)  in quanto priva di datazione e ogni altro riferimento spazio-temporale utile.

La difesa dell'Agente incolpato assumeva violate, tra le altre, le seguenti disposizioni:

art. 1 D. Lgs. 196/2003 “Chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che riguardano”,

art 2  D. Lgs. 196/2003 “Il presente testo unico, di seguito denominato codice, garantisce che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell'interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all'identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali”,

art. 7 n° 3 lettera b D. Lgs. 196/2003 “l'interessato ha diritto di ottenere la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati”,

art. 20 D. Lgs. 196/2003 “Il trattamento dei dati sensibili da parte di soggetti pubblici è consentito solo se autorizzato da espressa disposizione di legge nella quale sono specificati i tipi di dati che possono essere trattati e di operazioni eseguibili e le finalità di rilevante interesse pubblico perseguite. Nei casi in cui una disposizione di legge specifica la finalità di rilevante interesse pubblico, ma non i tipi di dati sensibili e di operazioni eseguibili, il trattamento è consentito solo in riferimento ai tipi di dati e di operazioni identificati e resi pubblici a cura dei soggetti che ne effettuano il trattamento, in relazione alle specifiche finalità perseguite nei singoli casi e nel rispetto dei principi di cui all'articolo 22, con atto di natura regolamentare adottato in conformità al parere espresso dal Garante ai sensi dell'articolo 154, comma 1, lettera g), anche su schemi tipo.3. Se il trattamento non è previsto espressamente da una disposizione di legge i soggetti pubblici possono richiedere al Garante l'individuazione delle attività, tra quelle demandate ai medesimi soggetti dalla legge, che perseguono finalità di rilevante interesse pubblico e per le quali è conseguentemente autorizzato, ai sensi dell'articolo 26, comma 2, il trattamento dei dati sensibili. Il trattamento è consentito solo se il soggetto pubblico provvede altresì a identificare e rendere pubblici i tipi di dati e di operazioni nei modi di cui al comma 2. L'identificazione dei tipi di dati e di operazioni di cui ai commi 2 e 3 è aggiornata e integrata periodicamente”,

art. 47 D. Lgs. 196/2003 “In caso di trattamento di dati personali effettuato presso uffici giudiziari di ogni ordine e grado, presso il Consiglio superiore della magistratura, gli altri organi di autogoverno e il Ministero della Giustizia, non si applicano, se il trattamento è effettuato per ragioni di giustizia, le seguenti disposizioni del codice: a) articoli 9, 10, 12, 13 e 16, da 18 a 22, 37, 38, commi da 1 a 5, e da 39 a 45; b) articoli da 145 a 151. 2. Agli effetti del codice si intendono effettuati per ragioni di giustizia i trattamenti di dati personali direttamente correlati alla trattazione giudiziaria di affari e di controversie, o che, in materia di trattamento giuridico ed economico del personale di magistratura, hanno una diretta incidenza sulla funzione giurisdizionale, nonché le attività ispettive su uffici giudiziari”.

Orbene, la difesa riteneva le medesime ragioni di giustizia non ricorrenti per l'ordinaria attività amministrativo-gestionale di personale, mezzi o strutture, quando non è pregiudicata la segretezza di atti direttamente connessi alla predetta trattazione”.

Ciò posto, l'Agente riteneva in particolare violato a proprio danno l'art. 47 D. Lgs. 196/2003  ultimo alinea, nella parte in cui dispone “le medesime ragioni di giustizia non ricorrono per l'ordinaria attività amministrativo-gestionale di personale, mezzi o strutture, quando non è pregiudicata la segretezza di atti direttamente connessi alla predetta trattazione”.

A livello più strettamente disciplinare, visti gli artt. 54 Cost., d.p.r. n° 3/57, Legge n° 395/90, D. lgs. n° 449/92, d.p.r. n° 82/99, Legge n° 154/2005, il Consiglio Centrale di Disciplina, rimproverando all'Agente in ogni caso la condotta tenuta siccome non consona alla qualifica rivestita e alla dignità delle proprie funzioni al servizio dello Stato ( condotta ritenuta non professionale, dovendo invece egli operare con senso di responsabilità anche astenendosi da comportamenti o atteggiamenti pregiudizievoli al corretto adempimento dei compiti istituzionali ), ritenendo in ogni caso violati i doveri di fedeltà e rettitudine ex art. 54 Cost., tenuto conto di tutti gli aspetti fattuali della vicenda esaminata ed in particolare ascoltate le ragioni della difesa e della documentazione dalla stessa offerta al vaglio dell'Organo giudicante, volendo irrogare una sanzione inferiore rispetto a quella originariamente indicata in quanto l'Amministrazione in questo modo fa diretta applicazione dei principi di proporzionalità e gradualità della punizione, ha appunto decretato l'irrogazione della sanzione disciplinare della pena pecuniaria pari a 1/30 rispetto a quella originariamente prospettata della sospensione dal servizio.

Avv. Francesco Pandolfi      diritto militare    diritto amministrativo

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