Data: 24/07/2014 11:00:00 - Autore: Marina Crisafi

Con la sentenza n. 15429 del 7 luglio 2014, le sezioni unite della Cassazione hanno confermato la sanzione disciplinare della cancellazione dall'albo professionale nei confronti di un avvocato, il quale pur essendo stato sospeso in via cautelare e a tempo indeterminato con provvedimento del competente Consiglio dell'Ordine aveva continuato a svolgere attività difensiva.

Il professionista ricorreva per Cassazione deducendo che l'esercizio della professione durante la sospensione cautelare non era censurabile in quanto dovuto ad errore scusabile, dolendosi di aver fatto affidamento in buona fede sul provvedimento del tribunale di Firenze che aveva riconosciuto l'efficacia sospensiva dell'impugnativa al Consiglio Nazionale Forense contro la sanzione disciplinare, nonché denunciando l'irragionevolezza ed eccessività della sanzione inflittagli, assumendo che per l'imputabilità di un'infrazione disciplinare è necessaria la volontarietà dell'atto deontologicamente scorretto”.

Premettendo che l'avvocato sottoposto a sospensione cautelare dall'esercizio della professione è privo dello ius postulandi e ritenendo inammissibile il ricorso al Consiglio Nazionale Forense ove personalmente proposto dall'avvocato sospeso, nonché escludendo l'effetto sospensivo dello stesso nei riguardi del provvedimento di sospensione cautelare dell'avvocato dall'esercizio professionale, la S.C. ha ritenuto infondate le doglianze del ricorrente in ordine al profilo di irragionevolezza della decisione assunta, rigettando il ricorso.

Affermando, preliminarmente, l'incensurabilità in sede di legittimità delle decisioni degli organi disciplinari in tema di procedimento a carico degli avvocati, salvo la mancanza di motivazione, la Corte ha comunque condiviso la “coerente ed esaustiva motivazione della sentenza impugnata”, la quale confermava l'adeguatezza della sanzione al comportamento “indiscutibilmente grave e lesivo della dignità e del decoro della professione forense” dell'avvocato, per avere svolto attività processuale in pendenza di sospensione cautelare, rischiando di pregiudicare “gli interessi del proprio assistito, trattandosi di attività difensiva inficiata da nullità”. Quanto alla dedotta scusabilità dell'errore, per la mancata consapevolezza dell'efficacia immediata della sospensione cautelare (e la conseguente non conoscenza dei precetti deontologici e delle norme che regolano l'attività forense), la stessa veniva ritenuta dalla sentenza un'”aggravante della violazione contestata” piuttosto che un'esimente della responsabilità disciplinare. 


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