Data: 30/07/2014 15:30:00 - Autore: Marina Crisafi

In tema di danno non patrimoniale da perdita del congiunto, non spetta nessun risarcimento ai nipoti per la morte di uno degli ascendenti, in assenza di un rapporto di convivenza o, comunque, della dimostrazione di un particolare rapporto di stretto legame affettivo intrattenuto con l'ascendente stesso.

Lo ha stabilito il Tribunale di Ascoli, con ordinanza n. 4/2014, in una vicenda di malpractice medica, negando il risarcimento dei danni non patrimoniali ai nipoti di una donna, morta in seguito ad una intempestiva somministrazione di cure a causa della sottostima del quadro patologico.

Il principio si colloca nel solco del recente orientamento della giurisprudenza di legittimità (vedi “Cassazione: nuovi stili di vita, niente danni ai nipoti se muore nonno in incidente” su questo portale), richiamato dallo stesso collegio ascolano, secondo il quale “nell'ambito del danno non patrimoniale da perdita di congiunto, il rapporto reciproco tra nonni e nipoti, per essere giuridicamente qualificato e rilevante deve essere ancorato alla convivenza, escludendo che, in assenza di questo presupposto, possa provarsi in concreto l'esistenza di rapporti costanti e caratterizzati da affetto reciproco e solidarietà con il familiare defunto” (così Cass. n. 4253/2012 che riprende Cass. n. 6938/1993).

Le conclusioni cui è pervenuta la Cassazione in ordine al suddetto principio di diritto si fondano, in sostanza, sia sulla configurazione “nucleare” della famiglia, composta da coniuge, genitori e figli in base al quadro emergente dalla Costituzione, sia sulla posizione dei nonni nell'ordinamento giuridico, giacchè le disposizioni civilistiche che li concernono specificamente “non consentono di poter fondare un rapporto diretto, giuridicamente rilevante, tra nonni e nipoti, evidenziando, invece, un rapporto mediato dai genitori o di supplenza”, con il fine ultimo di contemperare, da un lato, la necessità di evitare una ingiustificata dilatazione dei soggetti danneggiati e, dall'altro, di assicurare la tutela di valori garantiti costituzionalmente.

Per tali ragioni, la convivenza viene individuata quale “connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l'intimità dei rapporti parentali, anche allargati, caratterizzati da reciproci vincoli affettivi, di pratica della solidarietà, di sostegno economico” e viene specificato che solo in tal guisa “il rapporto tra danneggiato primario e secondario assume rilevanza giuridica ai fini della lesione del rapporto parentale, venendo in rilievo la comunità familiare come luogo in cui, attraverso la quotidianità della vita, si esplica la personalità di ciascuno (art. 2 Cost.)”.

Tuttavia, giova rilevare come la stessa giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto che la convivenza non possa essere considerata condizione necessaria per la risarcibilità del danno per la perdita del congiunto, e nello specifico di un ascendente, bensì solo uno dei presupposti che, oltre al vincolo di stretta parentela, sono richiesti per far ritenere che la morte del familiare abbia comportato la perdita di un valido e concreto sostegno morale.

Tale diverso indirizzo pone, quindi, l'accento sulla “lesione di valori costituzionalmente protetti e di diritti umani inviolabili determinato dal decesso del congiunto e la conseguente perdita dell'unità familiare quale perdita di affetti e di solidarietà inerenti alla famiglia come società naturale, escludendosi che l'assenza di coabitazione possa essere considerata elemento decisivo di valutazione qualora sia imputabile a circostanze di vita che non escludono il permanere dei vincoli affettivi e la vicinanza psicologica con il congiunto deceduto” (cfr. Cass. n. 20231/2012; n. 15019/2005; n. 16716/2003).

Secondo i suddetti orientamenti richiamati, pertanto, il requisito della convivenza non può ritenersi determinante, poiché “attribuire a tale situazione un rilievo decisivo porrebbe ingiustamente in secondo piano l'importanza di un legame affettivo e parentale la cui solidità e permanenza non possono ritenersi minori in presenza di circostanze diverse, che comunque consentano una concreta effettività del naturale vincolo nonno-nipote: ad esempio, una frequentazione agevole e regolare per prossimità della residenza o anche la sussistenza - del tutto conforme all'attuale società improntata alla continua telecomunicazione - di molteplici contatti telefonici o telematici. A ben guardare, anzi, è proprio la caratteristica suddetta di intenso livello di comunicazione in tempo reale che rende del tutto superflua la compresenza fisica nello stesso luogo per coltivare e consentire un reale rapporto parentale e ciò vale tanto per i nonni verso i nipoti quanto - il che è assai comune oggi, senza peraltro, significativamente, porre in dubbio o in una posizione di deminutio la risarcibilità - per i genitori verso figli che lavorano o studiano in altra città o addirittura all'estero”. (cfr. Cass. Pen. n. 29735/2013).

Pertanto, per siffatto indirizzo ermeneutico, l'interprete deve prescindere “da presunzioni generali juris et de jure”, utilizzando invece quale parametro “il concreto configurarsi delle relazioni affettive e parentali in ragione di peculiari condizioni soggettive e situazioni di fatto singolarmente valutabili, escludendo ogni carattere risolutivo della convivenza, che costituisce comunque un significativo elemento di valutazione in assenza del quale, tuttavia, può comunque dimostrarsi la sussistenza di un concreto pregiudizio derivante dalla perdita del congiunto”; in ogni caso, trattandosi di un accertamento - sulla base dell'adempimento dell'onere probatorio da parte del soggetto che chiede il risarcimento “non sussistendo alcuna praesumptio a suo favore” - che deve essere dal giudice attentamente verificato (Cass. n. 29735/2013).

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