Data: 25/07/2014 13:00:00 - Autore: Avv. Francesca Ledda
Avv. Francesca Ledda - Tizio da anni conduceva in affitto un fondo  agricolo, coltivato a vigneto. A  seguito di esecuzione immobiliare, il sig. F. F. diveniva aggiudicatario del fondo, e quindi lo recintava con cartelli e catena, impedendo a Tizio l'esercizio del possesso. Con ricorso depositato il 27 gennaio 1999, Tizio chiedeva la  reintegrazione nel possesso e il risarcimento danni, dato che Tizio vendeva l'uva, e lo spoglio del possesso gli avrebbe causato un grave danno patrimoniale. F. F. resisteva alla domanda, contestandone il fondamento anche per difetto d'animus spoliandi in capo al resistente, che si era reso aggiudicatario di quei fondi, indicati come liberi dalla perizia disposta in sede di esecuzione.
Con ordinanza del 7 maggio 1999, assunte sommarie informazioni, il giudice negava l'interdetto interinale richiesto. Avverso tale ordinanza veniva proposto reclamo, che veniva respinto dal Tribunale con provvedimento del 16 luglio 1999.
Con sentenza del 21 febbraio 2001, all'esito di prova per testi e documenti, il Tribunale rigettava la domanda, non ritenendo provata la detenzione dedotta dal  ricorrente. 
In tale contesto, esplicitamente osservava che: "dell'indicato contratto di affitto non viene fornita prova scritta e che, come esattamente ritenuto dal Tribunale, non possono avere tale efficacia né le denunce varie di produzione dell'uva, tenute dalla CCIAA,  essendo dichiarazioni di provenienza della stessa parte, né le ricevute di affitto, perché non aventi data certa.". 
La pretesa di Tizio, però, è fondata. Non è sorretto, infatti,  da adeguata e corretta motivazione il convincimento espresso dal Tribunale sul difetto di prova del possesso, o detenzione, dedotto dal ricorrente a fini di reintegrazione (e di risarcimento danni), ai sensi dell'art. 1168 cod. civ., che, prevede l'azione di reintegrazione a tutela sia del possesso sia della detenzione qualificata della cosa. La situazione soggettiva prospettata in giudizio si basa su un contratto di affitto dei fondi tra il ricorrente e chi ne era proprietario, prima dell' acquisto da parte del controricorrente.
Ed invero, in primo luogo, il Tribunale ritiene che del contratto d'affitto dei fondi non sia stata data prova scritta, per di più ritenendo non utile allo scopo le ricevute del pagamento del canone, prodotte dal ricorrente, perché non aventi data certa.
Così operando, il giudice si pone in contrasto con l'art. 2697 cod. civ., in relazione alla norma dell'art. 1168 cod. civ., disciplinante la tutela riacquisitiva del possesso o della detenzione qualificata della cosa, di cui si è stati privati in modo violento od occulto. Se un soggetto intende recuperare il possesso o la detenzione di un bene, esercita l'azione prevista dall'art. 703 c.p.c., e può provare il proprio potere di fatto attraverso qualunque mezzo. Sul punto, la Cassazione ha affermato che “non essendo in discussione gli effetti negoziali del titolo della detenzione, ma il fatto storico della detenzione, come esplicitata in quel titolo, a fini di tutela del relativo potere di fatto sulla cosa, la prova dell'esistenza di quel titolo - diversamente da quanto mostra di ritenere la Corte di merito - può essere data con qualsiasi mezzo, anche con presunzioni” (sentenza n. 12751 del 20.05.2008). 
Una volta dimostrato che il potere sulla cosa, in nome proprio o in nome altrui, si è manifestato in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale, la tutela possessoria è accordata ancorché quel potere non risulti sorretto da titolo idoneo.
A norma dell'art. 1168 cod. civ., dunque, in relazione al principio dell'onere della prova, colui che vanti la detenzione della cosa deve provare di avere esercitato in nome altrui il potere di fatto sulla cosa, estrinsecantesi in una attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale, prova – questa - che, come la Suprema Corte ha ritenuto (v. ex plurimis Cass. n. 1299/98, n. 2111/94 e n. 10606/91), può ritenersi acquisita con la dimostrazione dell'esistenza del titolo, posto a base della detenzione allegata.
Il titolo, infatti, esplicita il modo, in cui la cosa è pervenuta nella disponibilità materiale del detentore, nonché la misura del potere di fatto esercitato dal medesimo, così individuando la stessa possibilità di tutela possessoria della detenzione. Se è possibile provare per testimoni la situazione possessoria e l'attività svolta, è ammissibile altresì provarla per presunzioni (art. 2729 c.2 c.c.).
Avv. Francesca Ledda
Vedi anche: Le azioni possessorie: reintegrazione e manutezione nel possesso
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