Data: 28/07/2014 18:30:00 - Autore: Marina Crisafi

Con sentenza n. 16649 del 22 luglio 2014, la Corte di Cassazione ha chiarito un principio di diritto in ordine alla misura dell'assegno di mantenimento in una vicenda inerente la richiesta di revisione da parte del padre obbligato, in conseguenza del passaggio dal regime di affidamento esclusivo dei figli alla madre a quello di affidamento condiviso.

Escludendo che tale passaggio comporti, men che meno automaticamente, una riduzione della misura del contributo al mantenimento dei figli disposto nel regime di affidamento esclusivo, la Suprema Corte ha affermato che “tale riduzione può essere disposta solo con riguardo a concrete evidenze di riduzione del carico di spesa e di impiego di disponibilità personali derivanti dall'affido condiviso”.

L'affidamento congiunto dei figli ad entrambi i genitori ha chiarito infatti la corte è “istituto che, in quanto fondato sull'esclusivo interesse del minore, non fa venir meno l'obbligo patrimoniale di uno dei genitori di contribuire, con la corresponsione di un assegno, al mantenimento dei figli, in relazione alle loro esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza, rimanendo per converso escluso che l'istituto stesso implichi, come conseguenza "automatica”, che ciascuno dei genitori debba provvedere paritariamente, in modo diretto ed autonomo, alle predette esigenze”.

Pronunciandosi, anche in ordine alla questione dell'assegnazione di parte della casa familiare (disposta, per l'intero, a favore della madre insieme ai figli), la Suprema Corte ha rigettato la richiesta del padre di riduzione di una porzione dell'abitazione (nella specie, villa su due piani fuori terra) con attribuzione in suo favore dell'appartamento al primo piano, previe opere di chiusura della comunicazione con il pian terreno riservato all'ex moglie e ai figli.

Condividendo le statuizioni della Corte d'appello, la Cassazione ha ritenuto che il principio ispiratore dell'assegnazione della casa familiare è “quello di conservare, nell'interesse esclusivo dei figli, l'habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare”.

Per cui, nel caso di specie, aldilà delle concrete possibilità di creazione di due distinte autonome unità abitative (trattandosi di casa di ampie dimensioni, articolata su due livelli), la Corte ha ritenuto “la divisibilità dell'abitazione non conforme all'interesse dei minori – da ritenersi preminente e compatibile con le condizioni economiche del padre – di conservare la disponibilità dell'intero immobile che è stato concepito, realizzato e adibito a unitaria abitazione familiare, e di non subire, nella loro vita quotidiana, il peso e i rischi di ulteriori conflitti familiari che sai ebbero, presumibilmente, incentivati dall'abitazione dei genitori nello stesso fabbricato”.


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