|
Data: 08/08/2014 10:00:00 - Autore: Avv. Barbara Pirelli Avv. Barbara Pirelli del Foro di Taranto; email: barbara.pirelli@gmail.com Leggendo la vicenda di cui si è occupato il Tribunale di Forlì mi è subito venuto in mente Pinocchio, il capolavoro di Collodi che racconta le affascinanti peripezie di un burattino che per diverse ragioni è spinto a dire bugie. E se Collodi ci ha voluto mettere in guardia perché, si sa, "le bugie hanno le gambe corte", in ambito giudiziario mentire può avere effetti ancora più gravi influenzando anche l'esito di un giudizio. Ed è esattamente quanto accaduto in una vicenda che vede una mamma imputata dei reati di cui agli artt. 582,585,577 n.1 codice penale. La donna era stata accusata di aver picchiato e ferito la figlia minorenne con un coltello da tavola. Il Tribunale di Forlì, nella persona del GOT, Avv. Sonia Serafini, con sentenza del 31 marzo 2014, all'esito dell'istruttoria dibattimentale, ha ritenuto non dimostrati gli elementi integrativi della fattispecie contestata, ed ha così assolto la donna ai sensi dell'art. 530 II c., c.p.p., perché il fatto non sussiste. La storia familiare, approdata poi nelle aule di giustizia, muove sicuramente i suoi passi da una separazione conflittuale tra i coniugi che ha esacerbato poi la relazione della figlia con la madre fino al punto di raccontare un episodio mai realmente accaduto, così come è poi emerso dalla documentazione prodotta e dalle testimonianze rese. Questa continua acredine tra i gli ex coniugi, protrattasi per anni, aveva in qualche modo minato l'integrità psicologica della ragazza, minorenne all'epoca dei fatti raccontati poi in sede processuale. Emergono due figure genitoriali differenti soprattutto dal punto di vista economico, il padre viveva in un ambiente decisamente più accattivante per una ragazzina (villa con giardino, piscina, cavalli) ed economicamente più florido mentre la madre aveva un tenore di vita molto modesto con un regime educativo sicuramente più rigido rispetto alle regole educative "più aperte" impostate dal padre. Proprio per questo motivo la ragazza aveva chiesto di andare a convivere con il padre per avere una vita più semplice ed agiata grazie alle grosse possibilità economiche del padre. La madre, con la quale la ragazza aveva vissuto per tanto tempo, era diventata una nemica perché la osteggiava spesso senza assecondarla in tutti i capricci tipici della fase adolescenziale; dunque la figura paterna per la ragazza rappresentava quella libertà decisionale e di azione che la madre non le consentiva. E' emerso nel corso del processo, grazie alla testimonianza di una psicologa che confermava anche le risultanze di una CTU chiesta in sede civile, che la ragazza (persona offesa dal reato) era affetta dalla sindrome della "alienazione parentale" di conseguenza tutto il rancore e il risentimento che il padre provava verso l'ex moglie era stato assorbito dalla figlia al punto di "alienare" la figura materna e quella del nonno materno. Con riferimento alle lesioni, che la ragazza dichiarava esserle state inferte dalla madre, le stesse erano si state refertate ma sussisteva più di un dubbio su come esse fossero state provocate e se le stesse fossero state causate realmente dall'imputata. A screditare le dichiarazioni della ragazza ci sarebbe l'atteggiamento del padre che dopo aver ricevuto un sms dalla figlia, (proprio il giorno dei fatti contestati) in cui diceva di andarla a prendere, non avrebbe assolutamente interloquito con la ex moglie. Quindi secondo il magistrato sarebbe poco verosimile, stante i conflitti tra gli ex coniugi, che il padre mantenesse la calma proprio in una circostanza così grave senza affrontare verbalmente la moglie. Inoltre, anche sull'arma utilizzata c'era poca certezza: il poliziotto in servizio presso l'ospedale ove la ragazzina era stata portata dal padre per la sutura al braccio aveva dichiarato che la ragazza - confermando l'annotazione – aveva riferito di essere stata colpita da forbici (e non da un coltello). Una imprecisione che, probabilmente, ha fatto perdere credibilità alla ragazza specie in considerazione dell'accertata sindrome da alienazione parentale. Anche l'insegnante di scuola della ragazza, che aveva avuto un colloquio con lei, la madre e il nonno materno, per avere chiarimenti in merito all'episodio, non era stata informata in precedenza di questi fatti, la ragazza aveva semplicemente raccontato di un piccolo taglio suturato. Sulla scorta di tutte queste risultanze, così come chiesto anche dal P.M. e dalla difesa, il giudicante ha ritenuto poco credibili le dichiarazioni della ragazza e di dover assolvere la madre dalle accuse mosse dalla figlia. Questo potrebbe essere forse uno dei tanti casi in cui una persona innocente ha trovato giustizia in una sentenza di assoluzione (solo le parti possono sapere come sono realmente andate le cose). Ma al di la delle vicissitudini giudiziarie, cosa ben peggiore di una sentenza di condanna è il "verdetto" di un cuore che decide, per logiche che sfuggono alla ragione, di non amare più una persona cara come può esserlo una mamma o una figlia. Qui di seguito il testo della sentenza.
|
|