Data: 01/09/2014 09:40:00 - Autore: A.V.
Milena A. Musci
avv.milenamusci@libero.it
Se Poste Italiane non fornisce la prova di aver usato la dovuta diligenza nell'accertamento dell'identità di colui che chiede l'apertura di un postepay, è responsabile dei danni cagionati a seguito di furto di identità. Lo ha stabilito il GdP di Bari con sentenza n. 1109/14. 
Il caso: l'attore era stato vittima di furto di documento di identità regolarmente denunciato. A distanza di quasi un anno, subiva perquisizione nella propria abitazione da parte dei Carabinieri nonché sequestro di pc ed altro materiale informatico ed apprendeva di essere indagato per il reato di cui all'art. 640 c.p. Nei mesi successivi gli pervenivano ulteriori denunce nonché telefonate e minacce da parte di persone da tutta Italia, molte delle quali si presentavano presso la sua abitazione.
L'attore scopriva che il suo calvario aveva avuto inizio a seguito dell'apertura di un postepay da parte di persona che aveva utilizzato il documento d'identità rubatogli e che effettuava truffe in internet a suo nome.
La richiesta di blocco del postepay e di acquisizione di tutta la documentazione e movimentazione relativa al postepay de quo veniva ignorata da Poste Italiane. L'attore la citava in giudizio per farne dichiarare la responsabilità per negligenza, imperizia ed imprudenza nell'espletamento delle proprie funzioni ed ottenere il risarcimento del danno patito.
Nel caso di specie, infatti, l'impiegato postale che aveva proceduto all'apertura del Postepay aveva palesemente omesso di usare tutta la doverosa prudenza e diligenza sull'accertamento dell'identità e della autenticità della firma del richiedente la carta postepay e, soprattutto, aveva omesso di verificare la corrispondenza dell'identità della persona del richiedente con quella del documento di riconoscimento da quest'ultimo fornito ed esibito.

La richiesta dell'attore è stata accolta dal GdP di Bari che ha riconosciuto a Poste Italiane una diligenza qualificata nell'espletamento delle proprie funzioni ritenendola responsabile nei confronti dell'attore "non avendo provato di aver fatto tutto quello che era necessario e possibile per adempiere esattamente alla propria obbligazione, né del sussistere di cause, ad essa non imputabili, che abbiano reso impossibile tale adempimento"; uniformandosi, così, alla giurisprudenza formatasi in materia secondo la quale in tema di controlli minimi indispensabili al fine di identificare il cliente (cioè la verifica della corrispondenza della fotografia riportata sul documento alla persona del richiedente il servizio), quando trattasi di documento che non sia stato in alcun modo falsificato o alterato, si presume che lo scambio di identità sia immediatamente riconoscibile. Risultando il furto di identità e l'utilizzazione da parte del reo di un documento altrui in nulla alterato o modificato, la riconoscibilità dell'abuso è da ritenersi in re ipsa, e da presumere fino a prova contraria. Cassazione Civile, sezione terza, sentenza dell'11 Febbraio 2009, n.3350: "Nell'ipotesi di furto di identità ed utilizzazione da parte del reo di un documento altrui in nulla alterato o modificato, al fine di aprire conti correnti ed emettere assegni, la riconoscibilità dell'abuso è da ritenere "in re ipsa", e da presumere fino a prova contraria. È a carico della banca, quindi, e non del danneggiato, l'onere di fornire la prova della scusabilità del suo errore (per la somiglianza fra le due persone o per altra causa)."
Avv. Milena A. MUSCI
avv.milenamusci@libero.it

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