Data: 04/09/2014 14:00:00 - Autore: Gerolamo Taras

di Gerolamo Taras - Il completamento dell'opera pubblica e l'irreversibile trasformazione del bene sine titulo non determinano alcun effetto acquisitivo della proprietà in capo alla P.A.

La mancata adozione del decreto di esproprio entro il periodo di vigenza della dichiarazione di pubblica utilità determina l'inefficacia del decreto di occupazione di urgenza e della dichiarazione di pubblica utilità, così da rendere privo di titolo tutto il periodo di occupazione dei terreni, compreso  anche il periodo di iniziale legittima occupazione, anche se  all'epoca supportato dal decreto di occupazione d'urgenza.

E' quanto emerge dalla Sentenza n. 00706/2014 del  Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda) pronunciata nella causa intentata dai proprietari per  il risarcimento dei danni loro derivanti dall' occupazione di alcuni immobili. Occupazione disposta, in esecuzione dei decreti di occupazione d'urgenza  emessi dal Sindaco di un Comune della Sardegna, per la realizzazione di un' opera pubblica, ma alla quale non era seguito nei termini il decreto di esproprio.

I ricorrenti hanno sostenuto di aver perso la proprietà dei loro terreni  per accessione invertita (la Pubblica Amministrazione sarebbe diventata proprietaria dell' immobile in conseguenza della realizzazione dell'opera pubblica   in assenza del decreto di esproprio).

Hanno chiesto, quindi, la condanna del Comune al risarcimento dei danni connessi alla occupazione illecita e per la perdita della proprietà.

Secondo il TAR la domanda di risarcimento danni per la perdita della proprietà non può essere accolta: il completamento dell'opera pubblica e l'irreversibile trasformazione del bene sine titulo non determinano, infatti, alcun effetto acquisitivo della proprietà in capo alla P.A.

Viene invece accolta la domanda di risarcimento, con riferimento ai danni conseguenti al mancato godimento delle aree occupate, a partire dalle date di occupazione delle stesse da parte del Comune per la realizzazione dell'opera pubblica.

Queste le  argomentazioni del Giudice.

“Come già affermato dalla Sezione con la sentenza del 19 febbraio 2013 n. 145, il principio dell'occupazione acquisitiva, per effetto della realizzazione dell'opera pubblica sul terreno occupato, è stato riconsiderato dal Consiglio di Stato con le sentenze A.P., 29.04.2005, n. 2 e sez. IV, 21.05.2007, n. 2582, che il Collegio condivide, nella quale ultima è stato ribadito che tale modalità di acquisto della proprietà “non è conforme ai principi della Convenzione Europea sui diritti dell'uomo, che hanno una diretta rilevanza nell'ordinamento interno, poiché:

- per l'art. 117, primo comma, della Costituzione, le leggi devono rispettare i “vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario”;

- per l'art. 6 (F) del Trattato di Maastricht (modificato dal Trattato di Amsterdam), «l'Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ... in quanto principi generali del diritto comunitario»;

- per la pacifica giurisprudenza della CEDU  si è posta in diretto contrasto con l'art. 1, prot. 1, della Convenzione la prassi interna sulla ‘espropriazione indiretta', secondo cui l'Amministrazione diventerebbe proprietaria del bene, in assenza di un atto ablatorio”

Nella sentenza si afferma anche che “dalla Convenzione europea e dal diritto comunitario già emerge il principio che preclude di ravvisare una ‘espropriazione indiretta' o ‘sostanziale', pur in assenza di un idoneo titolo, previsto dalla legge.”

Orbene, l'istituto, di matrice giurisprudenziale, della c.d. accessione invertita (o occupazione acquisitiva o usurpativa) è stato espunto dall'ordinamento giuridico per effetto dell'intervento della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che ha imposto un adeguamento della disciplina in materia con l'introduzione, da ultimo, dell'art. 42 bis del T.U. degli espropri, applicabile anche “ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore”.

Alla luce del richiamato contesto normativo e giurisprudenziale, il completamento dell'opera pubblica e l'irreversibile trasformazione del bene sine titulo non determinano alcun effetto acquisitivo della proprietà in capo alla Pubblica Amministrazione.

Di conseguenza i ricorrenti sono da ritenersi tutt'ora proprietari dei terreni occupati sine titulo dal Comune, il quale potrà essere chiamato a restituirli.

Nel caso in esame tuttavia, il TAR  non ha potuto ordinare la restituzione delle aree in favore dei ricorrenti, mancando una specifica domanda in tal senso. Né ha potuto condannare il Comune a risarcire i danni asseritamente subiti per effetto della perdita del diritto dominicale, in quanto, tale circostanza non si è mai verificata. I ricorrenti risultano tuttora proprietari dei terreni in questione.

Il risarcimento del danno è stato riconosciuto per tutto il periodo di illecita utilizzazione del bene da parte Comune e cioè dalle date di immissione in possesso nelle aree fino alla data della loro restituzione oppure, nell'ipotesi di adozione del provvedimento di acquisizione sanante, fino al passaggio della proprietà dei terreni in capo al Comune.

La quantificazione va fatta ai sensi dell'art. 42 bis del D.P.R. n. 327/2001,  comma 3 e va pertanto operata anno per anno in base al valore del terreno alla data del 31 dicembre di ogni anno di riferimento; segnatamente va riconosciuto per ogni anno di occupazione illecita, ove non risulti una diversa entità del danno, il 5% del valore che l'area aveva al termine di ogni anno di occupazione. I ratei così ottenuti vanno maggiorati di interessi e rivalutazione monetaria fino all'effettivo pagamento delle relative somme .

Non manca l' invito al Comune che, “anche al fine di evitare un successivo contenzioso, dovrà valutare l'opportunità di avviare, sussistendone i presupposti di legge, il procedimento di cui all'articolo 42 bis del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 - Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità- finalizzato all'adozione di un provvedimento motivato di acquisizione dei terreni occupati; in questa ipotesi dovrà riconoscere ai ricorrenti il danno da perdita definitiva della proprietà, da liquidarsi nel rispetto dei criteri indicati dal citato articolo. Ove ritenga che non sussistano i presupposti per disporre l'acquisizione sanante, dovrà conseguentemente restituire i terreni ai ricorrenti, previa riduzione in pristino con l'eliminazione delle opere realizzate sui terreni medesimi.

Apriamo una piccola parentesi sull' istituto della cosiddetta “accessione invertita o occupazione acquisitiva o usurpativa” - che chiaramente non può essere ridotto in queste poche pagine: molte le problematiche rimaste  tuttora aperte, anche dopo l' introduzione dell' articolo 42 bis (Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico) sul testo unico degli espropri. E sicuramente torneremo sulla materia. Infatti la norma, che è stata  introdotta dall'art. 34 d.l. 6.7.2011, n. 98, convertito con modificazioni nella l. 15.7.2011, n. 111 a seguito della declaratoria di incostituzionalità del previgente art. 43, reca la disciplina della cd. acquisizione sanante, ed è stata (ed è tuttora) oggetto di un vivace dibattito giurisprudenziale relativo, in particolare, all'ampiezza dei poteri decisori del g.a. investito di una controversia concernente l'occupazione illegittima o senza titolo di un bene e la relativa trasformazione.

Sulle origini dell' istituto citiamo un passo della sentenza n. 2/2005 dell' Adunanza Plenaria  del Consiglio di Stato.

 La giurisprudenza più risalente di questo Consiglio di Stato (ex multis: IV, 17 gennaio 1978 n. 14 e 19 dicembre 1975 n. 1327) conosceva l'istituto dell'espropriazione in sanatoria, rivolta ad assicurare ad opere pubbliche realizzate in virtù di occupazione d'urgenza scaduta o di occupazione abusiva la possibilità di sanatoria, in forza di un decreto di espropriazione emesso ex post, dotato di efficacia retroattiva.

Tale giurisprudenza, idonea per un verso a “regolarizzare” la situazione proprietaria del bene in capo all'amministrazione, palesava peraltro, proprio a causa dei suoi effetti retroattivi, limiti sul versante della tutela del privato, soprattutto sotto il profilo dei rapporti tra risarcimento del danno e indennità di espropriazione.

La Corte di cassazione fu, pertanto, indotta a elaborare un istituto volto a contemperare i problemi legati alla perdita della proprietà con il riconoscimento di un'adeguata riparazione sul piano economico del proprietario.

Così, con una “inversione” della fattispecie civilistica dell'accessione, intesa come modo di acquisto della proprietà, fu elaborata la figura pretoria dell'occupazione appropriativa (o accessione invertita) (Cass. 26 febbraio 1983 n. 1464), che lega tra loro acquisto della proprietà da parte dell'amministrazione e realizzazione dell'opera pubblica; mentre gli ulteriori successivi sviluppi giurisprudenziali hanno consentito di distinguere da tale ipotesi e assoggettare a diversa disciplina quelle che sono state definite occupazioni usurpative (Cass. 18 febbraio 2000 n. 1814; Cass. 28 marzo 2001 n. 4451), caratterizzate dalla radicale mancanza di un titolo pubblicistico legittimante.

L'elaborazione giurisprudenziale in esame, sostanzialmente condivisa anche dalla prevalente giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, oltre a manifestare non pochi punti di incertezza in diritto (si pensi solo alla tematica del rapporto tra risarcimento e indennizzo e ai problemi inerenti alla prescrizione), presentava e presenta aspetti problematici anche con riferimento alla individuazione del momento in cui l'opera pubblica possa ritenersi realizzata (e conseguentemente ed irreversibilmente acquisito il suolo alla proprietà pubblica).

I contrastanti orientamenti seguiti dalla Corte di Cassazione e dal Consiglio di Stato, soprattutto con riferimento alle fattispecie in cui la giurisprudenza configurava la c.d. accessione invertita (o occupazione acquisitiva) come sottolineato nella sentenza n. 00145/2013 del TAR Sardegna, hanno sollevato seri problemi per  la individuazione del criterio di riparto della giurisdizione in materia di espropriazioni per pubblica utilità. Le divergenze  sono state appianate  con l'ultimo intervento della Corte Costituzionale, che ha delineato con precisione il quadro delle competenze giurisdizionali in materia di espropri.

La Corte, tra l'altro, ha chiarito che “deve ritenersi conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie relative a comportamenti (di impossessamento del bene altrui) collegati all'esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, laddove deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima la devoluzione alla giurisdizione esclusiva di comportamenti posti in essere in carenza di potere ovvero in via di mero fatto” (Corte Cost. 11 maggio 2006 n. 191).

In buona sostanza, laddove la lesione del diritto di proprietà è riconducibile all'esercizio, sia pure illegittimo, del potere pubblico la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo.

Per contro sussiste la giurisdizione del giudice ordinario quando l'utilizzazione della proprietà privata avvenga in via di mero fatto – perché manca il vincolo preordinato all'esproprio o la dichiarazione di p.u. – ovvero inizi in un momento in cui la P.A. ha già perduto ogni potere ablatorio per la sopravvenuta inefficacia della pubblica utilità (Cass. SS.UU.19501/08).

 

 


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