Data: 27/04/2002 - Autore: Roberto Cataldi
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute a comporre un contrasto giurisprudenziale, in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli, in quelle ipotesi in cui il fatto illecito integri anche gli estremi di un reato.
Di norma in tali evenienze vale il principio dell'applicabilità del termine, eventualmente più lungo, previsto per la prescrizione del reato.
La Cassazione ha rilevato, però, che ove il reato sia punibile a querela di parte e questa non sia stata proposta, deve comunque applicarsi il termine di prescrizione biennale previsto dall'art. 2947 del codice civile.
Secondo la Corte, l'esigenza di estendere il termine prescrizionale civile a quello previsto per il reato poggia sull'esigenza di tutelare l'affidamento del danneggiato nella conservazione del diritto risarcitorio per la prevedibile durata della pretesa punitiva dello Stato.
Tale esigenza viene meno però, spiega la Corte, nell'ipotesi in cui la querela, necessaria per la perseguibilità concreta dell'illecito penale, non sia stata proposta.


--------------------

CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Sentenza 10 aprile 2002, n. 5121

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 1 dicembre 1995, Renzo Leonardi conveniva in giudizio, innanzi al giudice di pace di Rieti, la compagnia Universo Assicurazioni spa e la srl Serigraf Studio 90, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempre, nonché Edmondo Di Sisto, esponendo quanto segue:

- il 6 settembre 1991, viaggiava a bordo dell'autovettura Citroen XM targata RI 163441, intestata alla società Serigraf Studio 90 e condotta dal Di Sisto;

- nel percorrere la via Greco di Rieti, l'auto effettuava un sorpasso in un tratto delimitato da linea continua di mezzeria e, dopo avere invaso l'opposta corsia di marcia, finiva la sua corsa in un fosso adiacente al margine sinistro della strada;

- a seguito dell'incidente, egli riportava lesioni personali, in relazione alle quali, il 15 ottobre 1992, inoltrava apposita risarcitoria alla società assicuratrice del veicolo sinistrato, che, con raccomandata del 9 novembre 1992, gli riconosceva la somma di lire 5.000.000;

- con successiva nota del 12 novembre 1992, dichiarava di accettare l'importo offertogli solo a titolo di acconto, reclamando l'ulteriore somma di lire 5.000.000 a saldo di ogni pretesa, ma tale richiesta rimaneva priva di riscontro.

Chiedeva, pertanto, che i convenuti fossero condannati, in solido, al risarcimento di tutti i danni patiti, oltre alla rifusione delle spese processuali.

Si costituiva la sola società assicuratrice che, in via preliminare, eccepiva la prescrizione del diritto azionato, che contestava comunque nel merito.

Con sentenza del 28 marzo 1996, il giudice di pace accoglieva l'eccezione della convenuta assicurazione, rigettando la domanda dell'attore.

Pronunciando sull'appello proposto dal Leonardi il tribunale di Rieti, con sentenza del 12 settembre 1998, rigettava il gravame, ritenendo fondato il rilievo di prescrizione della pretesa risarcitoria, ai sensi dell'articolo 2947, comma 2°, c.c. In sintesi, il tribunale condivideva le argomentazioni del primo giudice, che aveva assimilato l'impossibilità giuridica di perseguire il fatto-reato, a cagione della mancata proposizione della querela, all'ipotesi di estinzione del reato per causa diversa dalla prescrizione, secondo quanto previsto dall'articolo 2947, comma terzo, citato. In sintonia con un orientamento giurisprudenziale di legittimità, riteneva che fosse, comunque, decisiva la considerazione della ratio ispiratrice della norma - in quanto volta a scongiurare il pericolo che, in pendenza del procedimento penale, potesse restare prescritta l'azione civile - e che, pertanto, tale ragione non sussisteva nell'ipotesi in cui lo stesso procedimento non fosse stato avviato per difetto di querela, sicché doveva ritenersi applicabile il normale breve termine di prescrizione previsto dall'articolo 2947, comma secondo, c.c.

Avverso tale pronuncia, il Leonardi ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a due motivi. Ha resistito con controricorso l'Universo Assicurazioni spa.

Il ricorso era assegnato alla terza sezione civile che, con ordinanza del 5 ottobre 2000, rimetteva gli atti al primo presidente per l'eventuale assegnazione alle sezioni unite, rilevando un contrasto giurisprudenziale sull'applicazione dell'articolo 2947, comma terzo, c.c. nei casi in cui il fatto dannoso è considerato dalla legge come reato perseguibile a querela e questa non è stata proposta, con specifico riferimento all'ipotesi del danno da sinistro stradale. All'uopo, osservava che, secondo una prima interpretazione, nel caso di specie avrebbe dovuto trovare applicazione la prescrizione biennale di cui al comma secondo del menzionato articolo 2947 c.c. (Cassazione 4919/00) e che, in senso contrario, si era invece espressa altra pronuncia di legittimità (Cassazione 9928/00).


MOTIVI DELLA DECISIONE


Con il primo motivo il ricorrente, denunciando la violazione e la falsa applicazione dell'articolo 2947, 3° comma, c.c. in relazione all'articolo 360, numero 3, c.p.c., censura l'impugnata sentenza per avere ritenuto che, nella specie, non fosse applicabile il più lungo termine prescrizionale previsto per il reato per il solo fatto che non era stata presentata querela, equiparando la mancata proposizione della querela ad una causa di estinzione del reato.

Richiamando la relazione ministeriale al c.c. del 1942, sostiene il Leonardi che la norma contenuta nel comma terzo dell'articolo 2947 c.c. non prevede la necessità per il danneggiato di proporre querela per poter beneficiare della più lunga prescrizione prevista dalla legge per il reato.

Aggiunge che la pronuncia in questione sarebbe in contrasto con la normativa penale che, tra le cause di estinzione del reato, non annovera la mancata proposizione della querela e che, del resto, qualifica la stessa querela come condizione di procedibilità e non già di punibilità dell'illecito.

Richiama, infine, l'orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo il quale, se il fatto dannoso è considerato dalla legge come reato ed il giudizio penale non è stato promosso, si applica, comunque, il più lungo termine prescrizionale a condizione che il giudice civile accerti, in concreto, la sussistenza degli estremi del reato. Accertamento che, nel giudizio in questione, sarebbe stato possibile ove il giudice di appello avesse tenuto conto delle risultanze della c.t.u., che pure aveva in precedenza ammesso, dimostrando con ciò di aderire alla menzionata interpretazione giurisprudenziale.

Con il secondo motivo il Leonardi, approfondendo l'ultimo profilo di censura, denuncia un vizio di contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia (articolo 360, numero 5, c.p.c.) ravvisato nell'avere il tribunale disposto la c.t.u. per le lesioni personali subite, così implicitamente manifestando adesione alla tesi dell'applicazione del più lungo termine prescrizionale, tesi però ripudiata nella sentenza.

I due motivi, che per la stretta connessine delle rispettive censure vanno esaminati congiuntamente, non sono fondati. Al riguardo, può agevolmente confutarsi il secondo mezzo, essendo evidente che il provvedimento ordinatorio contestato non può in alcun modo pregiudicare, anticipandolo, il contenuto della pronuncia definitiva, essendo volto ad acquisire elementi solo eventualmente utilizzabili ai fini decisionali.

Resta così il primo motivo che affronta proprio la questione sulla quale si rinviene il denunciato contrasto giurisprudenziale relativo all'ambito di applicazione della disposizione di cui al terzo comma dell'articolo 2947 c.c. e, cioè, se nel caso di anni prodotti dalla circolazione dei veicoli (per i quali, ai sensi del secondo comma, il diritto al risarcimento si prescrive in due anni), ove il fatto dannoso costituisca un reato perseguibile a querela e questa non sia stata proposta, trovi applicazione la normale prescrizione civilistica biennale ovvero quella più lunga stabilità per il reato.

Al riguardo, un primo orientamento, ritenuto prevalente nella più recente giurisprudenza di questa corte, afferma che malgrado il giudizio penale non sia stato promosso e non sia più promuovibile, l'eventuale più lunga prescrizione del reato si applica anche all'azione civile di risarcimento dei danni "a condizione che il giudice civile accerti, incidenter tantum, la sussistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto-reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi ed oggettivi, e la prescrizione stessa decorre dalla data del fatto" (da ultimo Cassazione 9928/00; in senso conforme Cassazione 3535/96; 3529/97; 6554/98; 5701/99; 7344/99). A sostegno di tale interpretazione, che peraltro costringerebbe il giudice civile ad una delicata indagine sull'elemento psicologico in considerazione (nel caso, come nella specie, di sinistro stradale) della diversa intensità della colpa penale rispetto a quella, anche presunta, di cui all'articolo 2054 c.c., si adduce il dato letterale della norma che parla di "fatto considerato dalla legge come reato", rinviando ad una fattispecie astrattamente criminosa e non anche concretamente perseguibile; si precisa che essendo la querela non una condizione di punibilità del reato ma di procedibilità dell'azione penale (articolo 336 c.p.p.) la sua mancanza non attiene all'esistenza ontologica del reato stesso. A questa fondamentale argomentazione, che sembra individuare la ratio della norma nella maggiore gravità di un illecito civile che si configuri anche come reato e, quindi, nel maggior grado di disvalore sociale di tale illecito, si aggiungono due ulteriori rilievi: l'omessa previsione del difetto di querela tra le situazioni individuata nella seconda parte del menzionato terzo comma come fatti condizionanti il decorso del termine prescrizionale ed, infine, la riconosciuta risarcibilità del danno morale, in caso di mancanza di querela, nel termine prescrizionale più lungo stabilito per il reato, atteso che una medesima ragione non può non valere per le altre voci di danno (patrimoniale e/o biologico).

All'esposta scelta interpretativa se ne affianca però un'altra. Verso la quale era orientata la giurisprudenza risalente di questa stessa corte (ex plurimis Cassazione 313/57; 2749/61 e 1715/66) e che è tuttora condivisa dalla prevalente giurisprudenza di merito, in conformità anche al più diffuso indirizzo dottrinario. Essa si fonda sull'individuazione della ratio della speciale disposizione in esame che, già indicata "nell'esigenza di tutela dell'affidamento del danneggiato nella conservazione del diritto (al risarcimento) per la prevedibile durata della pretesa punitiva dello Stato" (Cassazione 4740/96), è stata enunciata con particolare chiarezza, sia pure incidentalmente, nella sentenza delle sezioni unite 9782/98, affermando che "la ragione giustificatrice dell'"aggancio" del termine prescrizionale dell'azione civile a quello eventualmente più lungo di prescrizione che l'autore di un reato, dichiarato responsabile e condannato in sede penale, resti esente dall'obbligo di risarcimento verso la vittima - il cui diritto rimarrebbe vanificato - in conseguenza dell'avvenuta più breve prescrizione civile durante il tempo necessario per l'accertamento della responsabilità penale, o, comunque, di impedire che l'azione di risarcimento del danno si estingua quando è ancora possibile che l'autore del fatto sia perseguito penalmente".

Questa essendo la ratio dell'eccezionale assimilazione della prescrizione civile a quella, eventualmente più lunga, prevista per il fatto- reato, è di tutta evidenza che siffatta esigenza viene meno nell'ipotesi in cui la querela, necessaria per la perseguibilità concreta dell'illecito penale, non sia stata proposta perché, non essendo mai stato avviato un procedimento, è escluso il rischio che il diritto risarcitorio del soggetto danneggiato possa estinguersi, medio tempore, per effetto della normale prescrizione biennale.

Inoltre, a fronte se non proprio di una volontà contraria all'esercizio dell'azione penale, quanto meno di un disinteresse così manifestato implicitamente del danneggiato, non avrebbe alcun senso accordargli il favore di un più lungo termine di prescrizione, essendo la querela una condizione di procedibilità sui generis, dipendente in via esclusiva della sola volontà dell'interessato. Ne consegue che, ove non sia stata proposta, deve trovare applicazione la prescrizione biennale di cui al secondo comma dell'articolo 2947 citato (Cassazione 4919/00; in senso conforme Cassazione 3548/98; 9910/98; 5821/99).

Queste essendo le motivazioni principali addotte hinc ed inde a sostegno delle contrastanti interpretazioni, le sezioni unite ritengono di comporre il contrasto optando per il secondo degli orientamenti esposti, proprio in virtù della natura della ratio come sopra individuata. Ma l'esame della vexata quaestio non sarebbe completo se il collegio non si facesse carico delle osservazioni critiche, di cui si è fatto portavoce anche il P.G., la più importante delle quali, alla luce dei modificati rapporti tra azione civile ed azione penale, oggi ispirati al principio dell'autonomia e della separazione delle giurisdizioni, suggerisce un riesame della tesi relativa all'esigenza di impedire la sopravvivenza della punibilità alla risarcibilità; tesi che, nel subordinare l'applicabilità del più lungo termine di prescrizione del reato all'esistenza di un procedimento penale od alla mera possibilità della sua promozione, sembra risentire di una filosofia dei rapporti tra giudizio civile e penale imperniata sulla prevalenza del secondo sul primo, non più rinvenibile nel vigente sistema normativo (articolo 75 c.p.p.).

L'osservazione, apparentemente suggestiva ed esatta nelle premesse, non sembra cogliere nel segno quanto alle prospettate conseguenze, perché proprio la separazione delle giurisdizioni (tra l'altro già sottolineata da questa corte riconoscendo l'ininfluenza delle cause di interruzione e di sospensione della prescrizione relative al reato sul decorso della prescrizione civile, essendo ontologicamente diversi l'illecito civile e quello penale: Cassazione, sezioni unite 1479/97) trova conferma anche nel fatto che i due illeciti abbiano un diverso decorso delle rispettive prescrizioni, assimilabili solo nell'ipotesi eccezionale prevista dalla prima parte del terzo comma dell'articolo 2947. Si consideri, inoltre, il disposto della seconda parte del comma ("tuttavia, se il reato è estinto si prescrive nei termini indicati nei primi due commi"), non ravvisandosi alcuna valida ragione logico-giuridica per trattare differentemente l'ipotesi di estinzione per remissione della querela (articolo 152 c.p.) e, quindi, di sopravvenuta improcedibilità dell'azione penale, a quella di mancanza della querela, cioè di improcedibilità originaria. D'altro canto, l'assimilazione della mancanza di querela alle ipotesi di estinzione del reato (affermata, tra l'altro, nell'impugnata sentenza) non trova ostacolo nel divieto di interpretazione analogica delle norme eccezionali, trattandosi, nella specie, di mera interpretazione estensiva (lex minus dixit quam voluit), in considerazione dell'impossibilità, per il legislatore, di prevedere tutti i molteplici casi della realtà e stante, appunto, l'incongruenza logico-giuridica di disciplinare diversamente la non perseguibilità iniziale da quella successiva.

Va, infine, tenuto presente che la particolare brevità dei termini prescrizionali di cui ai primi due commi dell'articolo 2947 (cinque anni per il diritto generico al risarcimento del danno aquiliano e due anni per i danni da circolazione stradale) trova giustificazione nell'esigenza di evitare che trascorra troppo tempo dal giorno del fatto dannoso, posto che la ricostruzione giudiziaria della relativa dinamica è normalmente affidata al ricorso dei testimoni e che tale ricorso è destinato inevitabilmente ad affievolirsi con il tempo; motivo ulteriore per contenere il tempo di prescrizione dell'azione risarcitoria nei limiti più brevi come sopra assegnati.

Concludendo, le sezioni unite compongono il contrasto giurisprudenziali devoluto al loro esame affermando il seguente principio di diritto:

"in tema di danni derivati dalla circolazione dei veicoli, ove il fatto illecito integri gli estremi di un reato (per il quale sia stabilita una prescrizione più lunga di quella civile) perseguibile a querela e quest'ultima non sia stata proposta, trova applicazione la prescrizione biennale di cui al secondo comma dell'articolo 2947 c.c." .

Resta, tuttavia, un ultimo profilo che pur non costituendo oggetto del presente contrasto, né del thema decidendum, ragioni di completezza inducono ad affrontare: esso riguarda l'individuazione del giorno di decorrenza del termine prescrizionale. Al riguardo, nel regime dell'abrogato codice di rito, è stato già affermato che in caso di pronuncia del decreto di archiviazione del fatto-reato per mancanza di querela, la prescrizione del diritto al risarcimento del danno comincia a decorrere dalla data del provvedimento di archiviazione (Cassazione, sezioni unite 9782/98). Si tratta adesso di stabilire il dies a quo ove la querela non sia stata proposta ed indipendentemente dall'inizio di un procedimento penale.

Contrariamente all'opinione dominante, che ha individuato tale termine nella data in cui è stato commesso il fatto, anche alla luce della norma di cui all'articolo 2935 c.c. secondo il quale la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (Cassazione 9910/98), sembra più coerente con la ratio della disposizione del terzo comma dell'articolo 2947 c.c. ritenere che l'inizio della prescrizione coincida con la scadenza del termine utile per la presentazione della querela, quando cioè diviene certa la improponibilità dell'azione penale. Ed in questo senso il principio giuridico suesposto va integrato, stabilendo che la prescrizione biennale decorre dalla scadenza del termine per proporre querela.

Orbene, passando finalmente ad esaminare il ricorso per cui è causa, è agevole rilevare che il tribunale reatino, confermando la pronuncia di prime cure, ha applicato la prescrizione biennale ad un'ipotesi di danni per lesioni personali conseguenti ad un sinistro stradale e prodotti da un fatto-reato non perseguibile in sede penale per mancanza di querela. Così statuendo, tale giudice si è uniformato al principio giuridico sopra affermato ed il ricorso va, conseguentemente, rigettato.

L'esistenza di un contrasto giurisprudenziale costituisce giusto motivo per compensare le spese di questo grado.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.

Tutte le notizie