Data: 15/09/2014 18:10:00 - Autore: Gerolamo Taras

di Gerolamo Taras - L' art. 40 del T.U. 151/2001 riposi giornalieri del padre, contempla  i casi in cui i periodi di riposo, a carico del datore di lavoro, previsti dall' art. 39 per le  lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, sono riconosciuti al padre lavoratore: “a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; d) in caso di morte o di grave infermità della madre”.

La norma, che sembrerebbe scontata e di facile lettura, non viene applicata, ancora oggi, uniformemente sia dalla Pubblica Amministrazione sia dal Giudice Amministrativo.

Non solleva particolari problemi interpretativi il riconoscimento del diritto nelle prime due ipotesi.

Rimangono, invece, tuttora controverse, a causa di contrasti all' interno della stessa magistratura amministrativa, le condizioni di applicabilità della disposizione di cui alla lett. c) dell'art. 40,  in forza della quale nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente, il padre lavoratore ha diritto a fruire di due permessi orari, anche cumulabili, nel corso della giornata lavorativa.

Fuori discussione l'attribuzione del beneficio al padre, qualora la madre sia lavoratrice autonoma, in quanto avente diritto ad un trattamento economico di maternità a carico dell'Inps o di altro ente previdenziale.

Si discute invece, ancora, sulla legittimità dell' estensione del beneficio al padre lavoratore dipendente, qualora la madre versi nella condizione di  casalinga.

Sulla significato della norma, all' interno della magistratura amministrativa (naturalmente per i rapporti di lavoro sottoposti alla sua giurisdizione esclusiva) si confrontano due opposti orientamenti, che postulano due diverse qualificazioni della madre lavoratrice non dipendente.

La prima opzione, identifica la madre lavoratrice “non dipendente” con la lavoratrice autonoma (quindi avente diritto ad un trattamento economico di maternità a carico dell'Inps o di altro ente previdenziale).Ne consegue la non riconoscibilità del diritto al padre lavoratore quando la moglie versi nella condizione di “casalinga”

La seconda soluzione intende la condizione di “lavoratrice non dipendente” nel senso più ampio possibile, comprendendovi anche il lavoro casalingo. Da qui, la conclusione della equiparabilità della figura della casalinga a quella di tutte le lavoratrici non dipendenti, con il risultato sostanziale di configurare una sorta di diritto originario del padre lavoratore subordinato a beneficiare dei riposi giornalieri, indipendentemente dalla condizione lavorativa della madre.

I contrasti sono presenti all' interno dello stesso Consiglio di Stato

La posizione (per così dire) estensiva è stata fatta propria dal Consiglio di Stato, con la decisione della Sesta Sezione n. 4293 del 9 settembre 2008, sulla base delle seguenti motivazioni:

“… la nozione di lavoratore assume diversi significati nell'ordinamento, in particolare nelle materie privatistiche ed in quelle pubblicistiche, ed è a quest'ultimo che occorre fare riferimento, trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità, in attuazione delle finalità generali, di tipo promozionale, scolpite dall'art. 31 della Costituzione.

In tale prospettiva, essendo noto che numerosi settori dell'ordinamento considerano la figura della casalinga come lavoratrice, non può che valorizzarsi la ratio della norma, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato”.

Diametralmente opposta la posizione assunta dal Consiglio di Stato,  in sede consultiva.

La Prima Sezione,  nel parere n. 6351 del 22 ottobre 2009, ha enunciato … il principio di “alternatività nel godimento del beneficio”, poiché le ipotesi contemplate dall'art. 40 del d.lgs. n. 151/2001 hanno tutte per presupposto che “la madre non possa o non voglia, per ragioni giuridiche, fisiche o per scelta, provvedere, usufruendo dei riposi giornalieri nel primo anno di vita, alla cura del minore”.

Nel parere è stata criticata  anche l'equiparazione, ai fini dell' attribuzione del beneficio al padre, della figura della casalinga a quella di tutte le lavoratrici non dipendenti, in quanto desunta da arresti del giudice civile unicamente tesi ad affermare che “lo svolgimento di attività domestiche nell'ambito del nucleo familiare configura un'attività lavorativa la quale, pur non producendo un reddito monetizzato, è tuttavia suscettibile di valutazione economic”.

Tali considerazioni, secondo il parere citato, non valgono ad inficiare il principio di alternatività posto a fondamento dell'istituto, né il dato di fatto che, nel caso della lavoratrice casalinga, implica un'autonomia di gestione delle proprie incombenze tale da consentire “evidentemente alla madre di dedicare l'equivalente delle due ore di riposo giornaliero alle cure parentali”.

Il caso all' esame della Terza sezione del Consiglio di Stato.

Il TAR della Liguria, Sezione Seconda, nella sentenza N. 00222/2014, aveva respinto il ricorso, presentato da un assistente della Polizia di Stato, contro il provvedimento del Questore, che gli aveva negato il diritto a  fruire dei riposi giornalieri di cui all' art. 40 del TU  n. 151/2001.

L' amministrazione aveva motivato il provvedimento  “con il fatto che la moglie dell'istante è nella condizione di casalinga, mentre le ipotesi contemplate dall'art. 40 comma 1 lettera c del D. Lgs. 151/2001 prevedono la fruizione dei riposi da parte del padre, nel caso di rinuncia della madre lavoratrice”.

Il TAR respingeva il ricorso ritenendo che “essendo i riposi giornalieri concessi al fine essenziale di garantire al figlio, entro l'anno di vita, la presenza alternativa di uno dei genitori, non sia giustificata, nel caso di madre casalinga, la concessione del beneficio al padre lavoratore dipendente”. Ed inoltre “il precipuo interesse del minore ad essere seguito da uno dei genitori, risulta sufficientemente garantito nel caso in cui uno di essi (normalmente la madre) svolga solamente attività domestica, in virtù della vicinanza fisica consentita dalla natura di tale impegno lavorativo e della possibilità di organizzare il tempo dedicato al lavoro in modo da riservare uno spazio adeguato per le esigenze di cura del bambino nel primo anno di vita, condizioni che sono naturalmente precluse alle lavoratrici subordinate e autonome”

In questo contesto “non rileva, pertanto, l'incontestabile pari dignità del lavoro domestico rispetto a quello retribuito né l'equiparazione affermata dal giudice civile a fini giuridici del tutto diversi, bensì l'oggettiva possibilità, nel caso della lavoratrice casalinga, di conciliare la delicate e impegnative attività di cura del figlio con le mansioni del lavoro domestico”.

Contro la decisione del TAR l' assistente di polizia ha presentato appello al Consiglio di Stato, che ha pronunciato, in senso estensivo, l' ultima parola sull' istituto (di cui ovviamente, d'ora in avanti, sia la Pubblica Amministrazione che i Tribunali Amministrativi dovranno tener conto).

Il ricorso è stato, infatti, accolto e la Sezione Terza, sentenza  n. 04618/201 del 10 settembre 2014,  ha riconosciuto al padre il diritto ai riposi giornalieri, pur essendo la madre del bambino in condizione di casalingaNelle motivazioni della decisione viene  richiamato l' orientamento maggioritario della Giurisprudenza Amministrativa secondo cui, anche a questo fine, si ha una piena assimilazione della lavoratrice casalinga alla lavoratrice non dipendente.

Secondo il Giudice di Appello non vie alcun dubbio che “… alla luce del principio espresso nella sentenza del C.d.S. n. 4293 del 9.9.2008 (che, esaminando la medesima problematica oggetto di causa, di sostituzione del padre nella fruizione dei permessi qualora la madre sia non lavoratrice autonoma bensì casalinga, si è pronunciato nel senso della piena assimilazione della lavoratrice casalinga alla lavoratrice non dipendente) l'opposto diniego si riveli illegittimo”.

“Ha rilevato infatti tale pronuncia che, la disposizione di cui all' art. 40 comma 1 lettera c, essendo rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità in attuazione delle finalità generali di tipo promozionale scolpite dall'art. 31 della Costituzione, non può che valorizzarsi, nella sua interpretazione, la ratio della stessa, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività ( nella fattispecie, quella di “casalinga” ), che la distolgano dalla cura del neonato”.

Ma anche altri motivi hanno indotto la Sezione Terza ad aderire all' orientamento cosiddetto estensivo.

Innanzitutto la “non equivoca formulazione letterale della norma, secondo la quale il beneficio spetta al padre, “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”. Tale formulazione, secondo il significato proprio delle parole, include tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente: dunque quella della donna che svolga attività lavorativa autonoma, ma anche quella di una donna che non svolga alcuna attività lavorativa o comunque svolga un'attività non retribuita da terzi (se a quest'ultimo caso si vuol ricondurre la figura della casalinga). Altro si direbbe se il legislatore avesse usato la formula “nel caso in cui la madre sia lavoratrice non dipendente”. La tecnica di redazione dell'art. 40, con la sua meticolosa elencazione delle varie ipotesi nelle quali il beneficio è concesso al padre, lascia intendere che la formulazione di ciascuna di esse sia volutamente tassativa”.

E poi dal punto di vista della ratio, tale orientamento appare più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all'educazione della prole, che affonda le sue radici nei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31.

Gerolamo Taras 


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