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Data: 15/10/2014 17:30:00 - Autore: Licia Albertazzi di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza n. 19612 del 17 Settembre 2014. Può essere licenziata per giusta causa la direttrice della filiale di una banca che rivela al cliente che sono in corso accertamenti relativi al suo conto corrente. E' quanto ha statuito la Suprema corte nella sentenza in oggetto che ha così confermato una sentenza della corte di appello di Roma che aveva respinto la richiesta di reintegra nel posto di lavoro di una Direttrice di banca. La corte territoriale aveva già evidenziato che riferire al cliente di una banca della richiesta di accertamenti bancari sul conto corrente del cliente disposti dall'autorità giudiziaria penale è un'infrazione di gravità tale da giustificare la sanzione disciplinare del licenziamento. La direttrice aveva tentato di difendersi sostenendo che la Corte d'appello avrebbe ravvisato una giusta causa e una sanzione proporzionata all'infrazione nonostante il rapporto fiduciario con la banca non fosse stato leso. Sosteneva inoltre la donna che vi era stato anche un proscioglimento dall'accusa di favoreggiamento. Una tesi che non ha convinto i giudici della Corte di Cassazione secondo cui la lesione del rapporto fiduciario tra le parti non è smentita neppure dal fatto che dopo l'ordine di reintegra emessa dal giudice di primo grado la società abbia affidato alla donna la direzione di un'altra importante filiale "trattandosi di assegnazione dovuta ai sensi del combinato disposto degli articoli 118 legge n.300/70 e 2103 del codice civile, non potendo la lavoratrice (che già in precedenza svolgeva mansioni di direttrice di un importante filiale) essere dequalificata in occasione dell'ottemperanza alla sentenza del tribunale, provvisoriamente esecutiva". Il giudice del merito, conclude la Corte, ha legittimamente interpretato come integrante giusta causa di licenziamento il comportamento del dipendente che, riferendo al cliente informazioni contra legem, ha di fatto reciso il legame fiduciario che deve intercorrere tra l'azienda e i suoi sottoposti. Salvo che egli non provi di aver eseguito ordini o direttive – situazione questa non provata nel caso di specie – è legittimo che il datore di lavoro irroghi la sanzione massima del licenziamento. La Corte nella parte motiva della sentenza si sofferma anche sull'interessante spiegazione della differenza tra norme “elastiche” e “rigide”. “A differenza delle norme a contenuto definitorio, ovvero “a struttura rigida”, quelle c.d. elastiche sono norme a variabile contenuto assiologico, che richiedono all'interprete giudizi di valore su regole proprie di discipline e/o ambiti anche extragiuridici oppure su criteri etici o di costume”. Tra i numerosi casi presenti nel nostro ordinamento basti ricordare la buona fede contrattuale, l'interesse del minore, la concorrenza sleale, il vincolo pertinenziale, il carattere creativo dell'opera dell'ingegno, l'importanza dell'inadempimento, il danno ingiusto, lo stato di bisogno e, naturalmente, la giusta causa di licenziamento. “Mentre l'interpretazione delle norme a struttura rigida o definitoria non pone seri problemi di delimitazione del sindacato di legittimità, ben più difficoltoso è il distinguere giudizio di fatto e giudizio di diritto quando si passi ad interpretare norme elastiche o clausole generali”. Tale questione interpretativa è ascrivibile alla sfera della legittimità, non del merito, poiché il giudice, nell'effettuare tale valutazione, deve comunque render conto dei criteri (ispirati al principio di ragionevolezza) utilizzati nella motivazione della propria decisione; dunque, essa è sicuramente sindacabile in Cassazione, non appartenendo al merito. Il giudice infatti, in queste situazioni, deve scegliere tra le diverse interpretazioni possibili, optando per quella più idonea a risolvere la controversia. |
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