|
Data: 25/09/2014 16:59:00 - Autore: Cristina Bassignana A cura dell'avv. Cristina Bassignana www.avvocatobassignana.it
Il Consiglio di Stato con sentenza n. 1611/2013 ha confermato un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui "l'Amministrazione, in sede di esame del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno, deve valutare la situazione attuale e concreta in cui si trova lo straniero al momento della conclusione del procedimento, avuto riguardo al comportamento tenuto, alla sussistenza di attivitā lavorativa e all'attualitā o meno della pericolositā sociale nella comparazione con pregresse situazioni preclusive". Sulla base di questo orientamento, il Consiglio di Stato ha accolto l'appello di un cittadino egiziano in riforma della sentenza del TAR Lombardia (n. 00413 del 2011) che appunto in primo grado aveva rigettato il ricorso. Ma veniamo ai fatti che hanno dato origine a questa vicenda giudiziaria che ha visto vittorioso il cittadino egiziano. Nel 2002 il ricorrente, con altre generalitā, era stato espulso dal territorio italiano e vi aveva fatto rientro dopo cinque anni con visto di lavoro subordinato rilasciato dall'Ambasciata Italiana presso il Cairo. L'egiziano ha pertanto presentato istanza per ottenere il rilascio del permesso di lavoro subordinato. L'istanza č stata rigettata dal Questore di Milano a causa della precedente espulsione. Il cittadino egiziano ha quindi impugnato la sentenza del tar della Lombardia, che riconosceva la legittimitā del provvedimento del Questore, eccependo l'omessa notifica del decreto di revoca del nulla osta e l'ottemperanza al decreto di espulsione essendo rientrato in Italia dopo cinque anni. Il Consiglio di Stato ha ritenuto fondato l'appello per i seguenti motivi. Innanzitutto, si considera violato il diritto di difesa dell'interessato in quanto l'Amministrazione non č stata in grado di fornire la prova dell'avvenuta notifica del decreto di revoca del nulla osta emesso dal Prefetto, atto presupposto a quello del Questore; in secondo luogo, la Questura non ha fornito alcuna relazione comprovante la situazione attuale del ricorrente in ordine al comportamento tenuto, all'attivitā lavorativa e alla pericolositā sociale; in terzo luogo, non si č tenuto in debito conto della Direttiva CE n. 115/2008 che riduceva da 10 a 5 anni il termine per il reingresso in Italia degli stranieri destinatari di provvedimenti di espulsione. |
|