Data: 17/10/2014 17:30:00 - Autore: Avv. Francesco Pandolfi

  Avv. Francesco Pandolfi Cassazionista

Militari in servizio.

Le intercettazioni telefoniche e ambientali, utilizzate in altri procedimenti, sono corpo del reato?

Un caso di rimessione dei ricorsi alle Sezioni Unite.

 
Corte di cassazione sezione 1 penale, Ordinanza n.13388/2014.

Con sentenza del xxxx la Corte militare di appello di Roma ha confermato la sentenza del 3xxx del Tribunale militare di Verona, che aveva dichiarato (OMISSIS) e (OMISSIS) responsabili del reato loro contestato di distruzione e deterioramento di cose militari aggravato, di cui agli articoli 40 e 110 c.p., e articoli 169 e 47 c.p.m.p., per avere, quali militari in servizio presso l'Aliquota radiomobile del Comando Compagnia carabinieri di (OMISSIS) e comandati in servizio di perlustrazione a bordo dell'autovettura A, mandato intenzionalmente il motore "fuori giri", portato l'autovettura alla velocita' di circa 130 Kmh e innestato per due volte la prima marcia, provocando la rottura del cambio e del differenziale, e, quindi, il deterioramento e la distruzione in parte dell'autovettura indicata, appartenente all'Amministrazione militare, e, tenuto conto dell'aumento di pena per il grado rivestito, aveva condannato (OMISSIS) alla pena di un anno e due mesi di reclusione militare e (OMISSIS) alla pena di un anno di reclusione militare, disponendo per entrambi la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.

Il Tribunale militare aveva ritenuto dimostrato il reato, richiamando:

le risultanze della registrazione digitale sonora di quanto avvenuto il (OMISSIS) nell'autovettura utilizzata quel giorno dagli imputati, che, comandati del turno di servizio l'avevano riconsegnata gia' alle ore 7.00 circa perche' in avaria, tratta da un dispositivo per intercettazione ambientale installato nella stessa nell'ambito di indagini per reato comune a carico di militari dell'Aliquota radiomobile del Comando Compagnia carabinieri di appartenenza, e acquisita nel corso del dibattimento perche' ritenuta nella sua interezza corpo di reato e utilizzabile;

le emergenze della inchiesta amministrativa diretta dall'ufficiale inquirente ten. col. (OMISSIS), poi escusso come teste in dibattimento, coadiuvato, per la parte tecnica, dal col. (OMISSIS), capo sezione motorizzazione del Comando Interregionale carabinieri di (OMISSIS), in ordine ai danni riportati dall'autovettura e alla loro compatibilita' con un "fuori giri", realizzato effettuando manovre di innesto forzato di marce basse a velocita' non compatibile con tali rapporti di trasmissione;

le dichiarazioni del teste ing. (OMISSIS), consulente di parte dei due imputati nella inchiesta amministrativa, e dagli stessi indicato, in ordine alla non incompatibilita' del "fuori giri" con lo stato del motore, riscontrato al momento della riconsegna dell'autovettura da parte degli imputati, e alla esclusa dipendenza del danno da mancanza o inidoneita' dell'olio ovvero da cattiva manutenzione;

la capacita' ed esperienza nella guida veloce di (OMISSIS), conduttore dell'autovettura, che, unitamente all'assenza di alcuna operazione di inseguimento e all'inserimento per due volte di marcia bassa ad alto regime di giri, escludeva l'involontarieta' del comportamento;

la nascita e il rafforzamento del proposito criminoso di (OMISSIS), provenienti da (OMISSIS), dimostrati dalle frasi e dalle risate dei due, e fondanti l'inquadramento del comportamento del secondo nello schema legale della compartecipazione morale.

La Corte militare di appello, richiamata la vicenda e illustrati i motivi di appello dedotti dagli imputati con distinti atti, ha affrontato anzitutto la questione della utilizzabilita' della registrazione, esclusivamente sonora, eseguita all'interno dell'autovettura per ordine dell'Autorita' giudiziaria ordinaria e disposta per reati diversi da quello ascritto agli imputati,

richiamando e illustrando i principi di diritto fissati da questa Corte e l'intervento della Corte Costituzionale con sentenza n° 366/91; ha rappresentato, con diffuse argomentazioni, le ragioni del condiviso orientamento prevalente espresso da ultimo con la sentenza n. 5141 del 18 dicembre 2007, alla cui stregua, in tema di intercettazioni telefoniche da utilizzare in altri procedimenti, qualora la comunicazione intercettata costituisse essa stessa una condotta delittuosa, la sua acquisizione doveva essere inquadrata nelle norme regolanti l'uso processuale del corpo di reato e non si applicavano, pertanto, le limitazioni probatorie di cui all'articolo 270 c.p.p., e ha esposto le sue considerazioni circa la non condivisibilita' dell'orientamento minoritario espresso con sentenza n. 33187 del 5 aprile 2001 e ribadito con successiva pronuncia n. 10166 del 25 gennaio 2011.

Secondo la Corte, erano da disattendere, alla luce degli indicati principi, i rilievi formulati da entrambi gli imputati, che non erano stati privati del diritto di difesa in dipendenza della iniziale esitazione del Tribunale circa i limiti di utilizzabilita' delle registrazioni.

Ne' erano decisive, in rapporto alla utilizzabilita' delle registrazioni in atti, non contenenti narrazione successiva o progettazione precedente rispetto a un reato, ma il reato durante la sua commissione, le preoccupazioni espresse dall'appellante (OMISSIS) circa l'esigenza di tutela della privacy, avuto riguardo ai principi, ampiamente illustrati, fissati dalla Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimita' costituzionale dell'articolo 270 c.p.p., con sentenze n. 366 del 1991 e n. 63 del 1994, alla posizione dell'Italia di fonte alla giustizia internazionale della Corte Europea dei diritti dell'uomo, e alla disciplina giuridica delle intercettazioni de iure condendo, non incidente sulla utilizzabilita' delle intercettazioni come ritenuta dal Tribunale e condivisa.

La Corte, che rimarcava che la conversazione intercettata copriva tutta la vicenda penalmente rilevante, ne richiamava l'intero contenuto della durata, con decorrenza dalle ore 6.16 del (OMISSIS), di trenta minuti e quarantuno secondi, riportando la trascrizione della parte di interesse iniziata alle ore 6.18; osservava che il reato contestato era stato commesso in concorso di persone, la registrazione conteneva sia le parole che avevano descritto la condotta durante la sua commissione, sia la voce e le risate dei due interlocutori, sottolineate dal tono, dai rumori, dalle parole volgari e dai suoni verbali e non verbali, espressivi del compiacimento di entrambi, sia il rumore del motore mentre andava "fuori giri"; sottolineava che la riconsegna dell'autovettura, ritirata funzionante dagli imputati, gia' alle ore 7.00 del mattino con i rilevati danni collegava gli stessi alla loro condotta ed evidenziava che essi erano diversi e piu' gravi rispetto a quello dipendente dal dedotto avviamento a spinta dell'autovettura; escludeva che la tenuta dei giri alti del motore dipendesse dal timore di un suo spegnimento, alla luce delle emergenze della inchiesta amministrativa; rilevava che il danno non poteva essere ritenuto riconducibile a un "fuori giri" diverso da quello emerso dalla registrazione per il buono stato dell'autovettura al suo ritiro, e considerava non fondata la tesi difensiva dell'involontario inserimento della prima marcia o del suo collegamento allo stato dell'autovettura, alla luce del contenuto della registrazione.

Quanto al trattamento sanzionatorio, non sussistevano, ad avviso della Corte, elementi sufficienti per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in favore degli imputati, ne' della circostanza attenuante della speciale tenuita' del danno, invocata da entrambi, ne' del minimo della pena, mentre la richiesta avanzata dall'appellante (OMISSIS), volta alla sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, era preclusa dalla entita' della stessa pena.

Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione con separati atti entrambi gli imputati.

(OMISSIS) ricorre personalmente e chiede l'annullamento della sentenza sulla base di unico motivo, con il quale deduce inosservanza degli articoli 266, 270, 271 c.p.p., in ordine alla inutilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche (rectius: ambientali).

Secondo il ricorrente, che ripercorre l'iter motivo della sentenza circa la ritenuta utilizzabilita' della registrazione della conversazione, captata all'interno dell'autovettura, sottoposta a intercettazioni per ordine dell'Autorita' giudiziaria ordinaria nell'ambito di indagini per reati comuni, e ritenuta unica prova dell'elemento oggettivo del reato di danneggiamento contestato e della colpevolezza di esso ricorrente, la Corte di merito ha svolto un ragionamento "elegante", ma frutto di sforzo interpretativo non condivisibile.

Contrastano, infatti, l'orientamento condiviso dalla sentenza impugnata altre sentenze, pure in essa richiamate, che giustificherebbero, stante l'esistenza di un contrasto interpretativo, la rimessione alle Sezioni Unite, e che, in coerenza con i principi di inviolabilita' della segretezza delle comunicazioni, hanno escluso la utilizzabilita' delle intercettazioni anche quando la stessa comunicazione integra condotta criminosa. L'acquisizione di tali intercettazioni e' stata, per l'effetto, ritenuta soggetta alle disposizioni di cui all'articolo 270 c.p.p., e non a quelle che riguardano l'uso processuale del corpo di reato, in aderenza ai principi sanciti dall'articolo 15 Cost., e ribaditi nei suoi interventi dalla Corte costituzionale, alla normativa Europea e alla stessa disciplina delle intercettazioni de iure condendo.

Alla inutilizzabilita' della intercettazione ambientale come prova e all'assenza di ulteriore prova che potesse legarlo al contestato danneggiamento del mezzo di servizio deve, pertanto, conseguire, ad avviso del ricorrente, la sua assoluzione per insussistenza del fatto.

(OMISSIS) ricorre per mezzo dell'avv. (OMISSIS), chiedendo l'annullamento della sentenza sulla base di unico motivo, con il quale deduce inosservanza degli articoli 266, 270 e 271 c.p.p., censurando la ritenuta utilizzabilita' della registrazione ambientale sulla cui sola base e' stata ritenuta provata la sua responsabilita'.

Secondo il ricorrente, che, pure osserva che il contrasto interpretativo, sussistente nella giurisprudenza di legittimita', richiede la rimessione del quesito alle Sezioni Unite, la Corte militare di appello ha del tutto disatteso il principio di, diritto fissato dalla piu' recente sentenza di questa Corte n. 10166 del 25 gennaio 2011, sulla cui base la registrazione non poteva essere acquisita e utilizzata ai fini del decidere, poiche', richiesta per altro filone di indagini, non era ammissibile per il reato oggetto del processo ed era, in ogni caso, non utilizzabile sia per le voci dei soggetti intercettati a loro insaputa sia per eventuali rumori captati.

Ne' la registrazione riportata sul supporto ottico, prodotto dal Pubblico Ministero all'udienza dibattimentale di primo grado del 30 marzo 2011, poteva ritenersi corpo di reato, avuto riguardo ai presupposti procedurali che hanno sotteso le disposte intercettazioni e al rilievo che le stesse non potevano attenere all'accertamento di fatti e responsabilita' non sussistenti al momento della richiesta avanzata dal Pubblico Ministero e autorizzata dal Giudice per le indagini preliminari.

Ciò posto,

la questione di diritto posta dai ricorrenti attiene alla utilizzabilita' delle intercettazioni in procedimento diverso da quello nel quale le stesse sono state disposte in assenza delle condizioni richieste dall'articolo 270 c.p.p., e alla inquadrabilita' della comunicazione intercettata, costituente condotta delittuosa, nelle norme che regolano l'uso processuale del corpo di reato.

Essa trae origine dalla vicenda oggetto del giudizio, che ruota intorno alle risultanze della registrazione sonora di voci e di rumori, eseguita all'interno dell'autovettura utilizzata dagli imputati, odierni ricorrenti, per ragioni di servizio il 21 dicembre 2007, disposta dall'Autorita' giudiziaria ordinaria nell'ambito di indagini per reati diversi, acquisita nel processo militare perche' ritenuta nella sua interezza corpo di reato e apprezzata nel doppio grado del giudizio di merito come dimostrativa, coprendo tutta la vicenda penalmente rilevante, della responsabilita' concorsuale dei ricorrenti in ordine al reato loro ascritto.

Secondo la tesi dei ricorrenti, sostanzialmente concorde nei proposti ricorsi, l'intercettazione ambientale, posta la sua esecuzione nel contesto di altro procedimento e per altro titolo di reato commesso da soggetti diversi e posta la non previsione dell'arresto in flagranza per il reato per cui si procede, e' stata non correttamente qualificata come corpo di reato e direttamente utilizzata per una pronuncia di condanna a loro carico quale unica prova che ha legato ciascuno di essi al fatto contestato nel capo di imputazione.

Tale qualificazione, che, nella dedotta prospettiva, ha consentito ai Giudici del merito di superare il divieto legislativo della utilizzazione di captazione effettuata in altro procedimento che avrebbe portato alla loro piena assoluzione, e' ritenuta dai ricorrenti non coerente con il piu' recente orientamento di questa Corte, espresso con la sentenza n. 10166 del 25 gennaio 2011, che confermando la meno recente decisione n. 33187 del 5 aprile 2001, ha affermato che l'acquisizione delle registrazioni che rappresentino "una comunicazione che integra essa stessa una condotta criminosa" e' soggetta alle regole stabilite dall'articolo 270 c.p.p., poiche' "la registrazione costituisce in ogni caso un mezzo di documentazione della comunicazione e non e' definibile cosa sulla quale o mediante la quale il reato e' stato commesso", e come tale soggetta alle norme relative all'uso processuale del corpo di reato.

L'indicato recente orientamento e', secondo l'analisi critica svolta in termini diversamente diffusi nei due ricorsi, preferibile a quello opposto, condiviso dai Giudici di merito, ed espresso da ultimo con sentenza di questa Corte n. 5141 del 18 dicembre 2007, perche' piu' ossequioso dei principi sanciti dall'articolo 15 Cost., e piu' aderente a quelli affermati in materia dalla Corte costituzionale e dalla normativa Europea, nonche' alla disciplina de iure condendo delle intercettazioni, dando luogo a un contrasto interpretativo nella giurisprudenza tale da rendere opportuna la rimessione alle Sezioni Unite.

L'indicata questione di diritto e' stata oggetto del dibattito giudiziario nei due gradi del giudizio di merito, come evidenziato dal contenuto, espositivo e argomentativo, della sentenza del Tribunale militare e dalla diffusa analisi condotta dalla Corte militare di appello degli aspetti giuridici della vicenda, movendo dalla preliminare e coerente puntualizzazione dei termini della questione dibattuta, la cui rilevanza nel processo non atteneva alla possibilita' di utilizzare i risultati delle intercettazioni per trarne notizia di illeciti diversi da quelli che le avevano originate o spunti investigativi, in ordine alla quale ha pure richiamato arresti di questa Corte e la decisione della Corte Costituzionale n- 366/91, ma riguardava la utilizzabilita' diretta dei detti risultati per altro processo.

La Corte, procedendo secondo linee logiche e giuridiche concordanti con l'iter argomentativo della sentenza del Tribunale, ha rimarcato che, a differenza della ipotesi in cui il contenuto della registrazione consista nella narrazione di fatti di reato gia' commessi o nella progettazione di quelli da commettere, per la quale la risposta negativa e' traibile dallo stesso testo normativo, la utilizzabilita' nel processo della registrazione, che colga "le parole che costituiscono il crimine facendone parte a titolo esclusivo o comunque determinante", ha trovato risposta affermativa nella giurisprudenza di questa Corte.

Con la sentenza n. 5141 del 18 dicembre 2007, si e', in particolare, inquadrata l'acquisizione della conversazione intercettata, che "costituisca essa stessa una condotta delittuosa", nelle norme che regolano l'uso processuale del corpo di reato, senza l'applicazione delle limitazioni probatorie di cui all'articolo 270 c.p.p., confermandosi un principio gia' in precedenza affermato, in sede di legittimita', con le sentenze n. 8670 del 7 maggio 1993, n. 14345 del 27 marzo 2001 e n. 15729 del 21 febbraio 2003.

La Corte ha dato atto dell'orientamento contrario espresso con due pronunce, n. 33187 del 5 aprile 2001 e n. 10166 del 25 gennaio 2011, che hanno invece affermato, in tema di limiti di utilizzazione delle intercettazioni telefoniche in altri procedimenti, che anche quando le registrazioni rappresentano "una comunicazione che integra essa stessa condotta criminosa", la loro acquisizione non puo' essere inquadrata nelle norme che regolano l'uso processuale del corpo di reato, essendo invece soggetta alle disposizioni stabilite dall'articolo 270 c.p.p., poiche' la registrazione "non e' definibile cosa sulla quale o mediante la quale il reato e' stato commesso", ma "costituisce in ogni caso un mezzo di documentazione della comunicazione".

La convinta adesione al primo maggioritario orientamento e' stata espressa dalla Corte di merito, che lo ha adottato a fondamento del confermato giudizio di responsabilita', evidenziando, sotto un primo profilo, che la soluzione interpretativa adottata, fondata sulla nozione di corpo di reato e logicamente correlata alla esigenza di raccordo tra diverse norme codicistiche, trova un riscontro nella sua sostanziale tenuta in sede di legittimita' a partire dalla riforma del codice di procedura penale, contrastata da due sole pronunce contrarie, una delle quali successiva all'ultima decisione allo stesso conforme, senza, peraltro, alcun intervento delle Sezioni Unite, e illustrando, sotto un secondo profilo, i punti deboli dell'orientamento minoritario.

A tale riguardo, la sentenza impugnata ha rilevato, con considerazioni estensibili alla sentenza n. 10166 del 25 gennaio 2011, che la sentenza n. 33187 del 5 aprile 2001, che ha identificato il corpo di reato nel cavo telefonico della comunicazione e non nel supporto magnetico della sua registrazione, ha spostato l'attenzione dalla sostanza giuridica a quella materiale, pervenendo a incongrue conseguenze con riguardo alle intercettazioni ambientali che riguardano conversazioni tra presenti, il cui suono e' captato da apparecchio che, in assenza di cavo intermedio e di trasmissione radio, puo' contestualmente registrare, e ha sottolineato che nella specie il risultato materiale della operazione meccanica di intercettazione contiene elementi utilizzabili nel processo, restando pero' il fatto criminoso, interamente coperto dalla registrazione, distinto dalla operazione di intercettazione.

In tale contesto la questione di diritto nei termini in cui e' stata riproposta dai ricorrenti, a fronte del percorso argomentativo della sentenza impugnata e del suo apprezzamento conclusivo, esprimendo la sussistenza di diverse soluzioni interpretative, sostenute da coesistenti e antitetici orientamenti di questa Corte, impone di dar conto del rilevato contrasto, rimasto non risolto, cui non osta la i natura militare del reato oggetto del processo, la prova della cui sussistenza, sul piano oggettivo e su quello soggettivo, non e' sottratta alle regole del procedimento penale ordinario.
La tesi, sostenuta dalle sentenza del Tribunale militare e della Corte militare di appello, e' stata affermata inizialmente (Sez. 6, n. 8670 del 07/05/1993, dep. 23/09/1993, Olivieri, Rv. 195535) con il rilievo che "le limitazioni probatorie, in tema di intercettazioni telefoniche da utilizzare in altri procedimenti, non valgono allorquando la bobina della registrazione viene ad essere essa stessa corpo di reato" (nella specie, erano state disposte intercettazioni telefoniche nell'ambito di un procedimento per omicidio, e si era poi proceduto a parte per il reato di favoreggiamento costituito da una telefonata - registrata nel corso di quelle intercettazioni - con la quale la titolare dell'utenza sotto controllo era stata avvertita che all'indomani sarebbe stata effettuata una perquisizione).

Neppure deve trascurarsi di rilevare che nell'indicato orientamento, che ha riguardato le sole intercettazioni telefoniche, vi e' anche un contrasto sotterraneo circa il modo di intendere il corpo di reato, poiche', movendo dalla definizione normativa di cui all'articolo 253 c.p.p., comma 2, secondo cui corpo del reato sono "le cose sulle quali o mediante le quali il reato e' stato commesso nonche' le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo", si e' affermato che corpo del reato e' "la bobina della registrazione delle intercettazioni", (Rv. 195535), ovvero "la registrazione delle comunicazioni" (Rv. 218784; Rv. 238728; Rv. 253037), o "il supporto magnetico registrante" (Rv. 225610), o, in termini immateriali, "la comunicazione intercettata" (Rv. 232255), o "le conversazioni intese come segni espressivi di comunicazione fra soggetti" (Rv. 252578).

Ulteriore contrasto interno e' rappresentato dal significativo distinguo, come tale segnalato anche dalla Corte militare di appello, che questa Corte (Rv. 232255) ha posto tra l'ipotesi in cui la comunicazione intercettata costituisca condotta delittuosa integrante la fattispecie criminosa e quella in cui ne rappresenti solo un frammento, affermando che a cio' consegue l'applicazione solo nel secondo caso delle limitazioni probatorie di cui all'articolo 270 c.p.p., poiche' nel primo caso la comunicazione intercettata diviene "corpo di reato".

La tesi contraria, posta dai ricorrenti a fondamento della loro richiesta di annullamento della sentenza, e' sostenuta, invece, in modo uniforme da due decisioni di questa Corte, che, pure riferite alle sole intercettazioni telefoniche, hanno affermato che "in tema di limiti di utilizzazione di intercettazioni telefoniche in altri procedimenti, anche quando le registrazioni non rappresentano una conversazione su circostanze relative al fatto reato per cui siano state disposte, ma una comunicazione che integra essa stessa condotta criminosa, la loro acquisizione e' soggetta alle disposizioni stabilite dall'articolo 270 c.p.p., e non va inquadrata nelle norme che regolano l'uso processuale del corpo di reato, giacche' la registrazione costituisce in ogni caso un mezzo di documentazione della comunicazione e non e' definibile cosa sulla quale o mediante la quale il reato e' stato omesso" (Sez. 6, n. 33187 del 05/04/2001, dep. 04/09/2001, Ruggiero, Rv. 220273; Sez. 5, n. 10166 del 25/01/2011, dep. 14/03/2011, Fiori e altri, Rv. 249952. Nelle fattispecie giudicate era stato escluso che nel procedimento relativo al reato di segreto d'ufficio, quanto alla prima decisione, e in quello concernente il concorso nel reato di falso, quanto alla seconda, commessi, in entrambi i casi, mediante una comunicazione telefonica su una utenza soggetta per altre ragioni e in diverso procedimento a intercettazione, la registrazione potesse in ogni caso essere utilizzata come corpo di reato).

I rilievi difensivi e le argomentazioni della Corte di appello in merito ai riflessi costituzionali e internazionali dei limiti di utilizzabilita' delle intercettazioni non sono strettamente connessi alla questione di diritto dibattuta che attiene, invece, in via preliminare all'inquadramento della comunicazione intercettata, costituente condotta delittuosa, e in via consequenziale alla individuazione della disciplina, regolante le intercettazioni o l'uso processuale del corpo di reato, applicabile.

Deve essere, invece, rappresentato, avuto riguardo alla intercettazione "ambientale" e non "telefonica, che e' in considerazione nella specie, e al rilievo critico che la Corte di appello ha mosso alla decisione n. 33187 del 5 aprile 2001, in stretta correlazione con le conseguenze "fuorvianti" derivanti in tema di intercettazioni ambientali dal ritenere corpo di reato il cavo telefonico della comunicazione e non il supporto materiale della registrazione, che il gia' rappresentato contrasto sotterraneo circa il modo di intendere il corpo di reato puo' avere diretta influenza sull'inquadramento delle dette intercettazioni, quando la comunicazione intercettata costituisca essa stessa condotta delittuosa, e sulla disciplina della loro utilizzazione.

Alla stregua degli svolti rilievi, rilevato che la questione di diritto dibattuta ha dato luogo a un riscontrato contrasto giurisprudenziale, consapevolmente peraltro espresso da ciascuna decisione in rapporto all'opposto orientamento criticamente ripercorso e avversato, come emerge dalla lettura delle motivazioni delle richiamate sentenze, illustrate nella massima da esse tratta, e considerato che la soluzione del contrasto incide sull'accertamento delle responsabilita' penali, con particolare riferimento alla verifica della sussistenza dell'oggettivo contributo concorsuale del passeggero e, in genere, dell'elemento soggettivo del reato ascritto, e, come rilevato dal Procuratore Generale nella sua requisitoria, sulla pendente inchiesta amministrativa, appare doverosa la rimessione alle Sezioni Unite Penali di questa Corte, ai sensi dell'articolo 618 cod. proc. Pen., della seguente questione di diritto:

"Se, in tema di intercettazioni, telefoniche o ambientali, utilizzate in altri procedimenti, la comunicazione intercettata, costituente condotta delittuosa, sia qualificabile, essa stessa o il supporto registrante, interamente o in parte, corpo di reato, e sia soggetta alle norme che regolano l'uso processuale del corpo di reato, o alle disposizioni stabilite dall'articolo 270 c.p.p.".

Rimette pertanto i ricorsi alle Sezioni Unite.

 

Avv. Francesco Pandolfi              

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