|
Data: 29/09/2014 12:00:00 - Autore: Gerolamo Taras di Gerolamo Taras - Secondo la Seconda Sezione del TAR del Lazio - sentenza N. 08496/2014 del 01/08/2014- la penalità di mora (o astreinte) introdotta, nell'ambito del giudizio di ottemperanza, dall'art. 114 comma 4 lettera e codice processo amministrativo (Il giudice, in caso di accoglimento del ricorso…salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo) non è applicabile quando l'esecuzione del giudicato consista nel pagamento di una somma di denaro. “L'obbligo oggetto di domanda giudiziale di adempimento, in quanto di natura pecuniaria, secondo la Sezione, sarebbe già assistito, a termine del vigente ordinamento, per il caso di ritardo nel suo adempimento, dall'obbligo accessorio di pagamento degli interessi legali. In caso contrario, la somma dovuta a titolo di astreinte, andrebbe ulteriormente ad aggiungersi agli interessi legali, con l' effetto di duplicare ingiustificatamente le misure compensative dell'entità del pregiudizio derivante all'interessato dalla violazione, inosservanza o ritardo nell'esecuzione del giudicato. Con il risultato di determinare un ingiustificato arricchimento del soggetto già creditore, oltre che della prestazione principale, di quella accessoria”. Il TAR ha negato la spettanza dell' indennità di mora di cui al citato art. 114 comma 4 lettera e) nella causa intentata per l'esecuzione del giudicato, discendente dal decreto della Corte d'Appello di Roma, adottato in materia di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 (legge Pinto) per eccessiva durata del processo e con il quale, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, è stato condannato al pagamento di una somma di denaro a favore dei ricorrenti. Ha concluso il TAR “Tenuto conto delle suesposte considerazioni il Collegio ritiene, quindi, che non sussistano i presupposti per accedere alla richiesta di applicazione della misura prevista dell'art. 114, comma 4, lettera e), cod. proc. amm., dovendo la tutela del ricorrente arrestarsi alla disposta nomina del Commissario ad Acta”. Nella stessa sentenza, i Giudici danno atto dell' esistenza, all'interno della Magistratura, di una orientamento maggioritario concorde nel senso dell'applicabilità dell'istituto della penalità di mora per ritardo nell'esecuzione del giudicato, non solo ai casi di ottemperanza a sentenze comportanti per la p.a. obblighi di fare o non fare, ma anche alle condanne al pagamento di somme. I Giudici sono, comunque, consapevoli del fatto che, all' interno del Consiglio di Stato, quest' ultima corrente è predominante e che quasi in contemporanea l' Adunanza Plenaria dello stesso Consiglio (Sentenza 25 giugno 2014, n. 15) aveva composto la disputa fra i diversi orientamenti, con l' affermazione del seguente principio di diritto: "Nell'ambito del giudizio di ottemperanza la comminatoria delle penalità di mora di cui all'art. 114, comma 4, lett. e), del codice del processo amministrativo, è ammissibile per tutte le decisioni di condanna di cui al precedente art. 113, ivi comprese quelle aventi ad oggetto prestazioni di natura pecuniaria". La questione era stata sottoposta all' Adunanza Plenaria dalla Sezione Quarta del Consiglio di Stato con l'Ordinanza 18 aprile 2014, n. 14. La soluzione adottata dovrebbe riportare sul punto uniformità di vedute, svincolando l' interpretazione della norma dai convincimenti soggettivi del giudice adito. A tutto vantaggio di quanti devono ricorrere al giudice per vedere affermati, in tempi ragionevoli, i propri diritti. Pensiamo all' ipotesi in cui la divergenza di opinioni si manifesti tra il giudice di primo grado e quello di appello… L'astreinte o penalità di moraUn breve cenno infine sull'istituto e sulle ragioni delle diverse correnti di pensiero. L' istituto della penalità di mora è stato introdotto nel processo amministrativo dall' art. 114 comma 4 lettera e all' interno del giudizio di ottemperanza, e fa parte delle misure predisposte dal legislatore, a seguito dei ripetuti richiami e delle condanne comminati all' Italia dalla Corte Europea dei diritti dell' Uomo, per la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, sancito dall'art. 6, par. 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU). La legge 24 marzo 2001 n. 89 (cd. “legge Pinto”) -Art. 2. Chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'articolo 6, paragrafo 1,della Convenzione, ha diritto ad una equa riparazione- che aveva dato esecuzione, nell'ordinamento interno, alle pronunce della CEDU, si era dimenticata di introdurre un sistema di sanzioni, per l'ipotesi in cui, le Autorità nazionali, avessero omesso di ottemperare ai provvedimenti giudiziari che riconoscevano l'equo indennizzo. Anzi, al comma 7 dell' art. 3, aveva stabilito che “... L'erogazione degli indennizzi agli aventi diritto avviene nei limiti delle risorse disponibili”. La Giurisprudenza della Corte aveva rilevato l' incongruenza ed aveva affermato che l'esecuzione della condanna relativa all'indennizzo, fa parte del termine complessivo del processo, e dunque rileva ai fini del rispetto dell'art. 6, par. 1, della Convenzione. In sostanza secondo la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, "il diritto ad un tribunale sarebbe fittizio se l'ordinamento giuridico interno di uno Stato membro permettesse che una decisione giudiziale definitiva e vincolante restasse inoperante a danno di una parte". In questo contesto, la Corte Europea, ha ritenuto ragionevole ammettere un termine di “tolleranza” per l'esecuzione delle sentenze. Termine che è stato equitativamente fissato in sei mesi, decorsi i quali il ritardo non è più giustificabile; Sottolineando che, la mancanza di risorse finanziarie, non può costituire idonea giustificazione all' inadempimento degli obblighi indennitari discendenti da condanne giurisdizionali per violazione della ragionevole durata del processo; Tale quadro normativo e giurisprudenziale impone, “un'interpretazione restrittiva (sostanzialmente, la disapplicazione)” dell'art. 3, comma 7, della precitata legge nr. 89 del 2001, secondo cui, in caso di condanna all'equo indennizzo: “...L'erogazione degli indennizzi agli aventi diritto avviene nei limiti delle risorse disponibili”; e ciò in quanto, sulla base della citata giurisprudenza CEDU, l'Amministrazione è tenuta ad operare le necessarie variazioni di bilancio al fine di acquisire la disponibilità delle risorse finanziarie necessarie al pagamento degli indennizzi. La disposizione, introdotta dall' art. 114 lettera e del cpa, delinea, quindi, una misura coercitiva indiretta a carattere pecuniario, modellata sulla falsariga dell'istituto francese dell'astreinte, ed inquadrabile nell'ambito delle pene private o delle sanzioni civili indirette, che mira a vincere la resistenza del debitore, inducendolo ad adempiere all'obbligazione sancita a suo carico dall'ordine del giudice. La misura assolve ad una finalità sanzionatoria e non risarcitoria in quanto non mira a riparare il pregiudizio cagionato dall'esecuzione della sentenza ma vuole sanzionare la disobbedienza alla statuizione giudiziaria e stimolare il debitore all'adempimento. Trattasi, cioè, di una pena e non di un risarcimento. Sempre in questo contesto, il modello della penalità di mora trova un antecedente, nell'ambito del processo civile, nell'art. 614-bis (inserito nel c.p.c. dall'art. 49, comma 1, della l. 18 giugno 2009, n. 69), rubricato "attuazione degli obblighi di fare infungibile o non fare". La norma dispone che "Con il provvedimento di condanna il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. (...)". La presenza, nel sistema del processo civile, di quest' ultima norma ha fornito gli argomenti, alla corrente minoritaria, per negare l' applicazione, per analogia, dell' indennità di mora per i ritardi all' ottemperanza delle sentenze che abbiano imposto alla pubblica amministrazione il pagamento di una somma di denaro. L' applicazione della penalità sarebbe limitata ai soli casi di inadempimento di giudicati da cui discendano obblighi di fare o di non fare.
L' altro argomento è stato rinvenuto nella Relazione di accompagnamento al codice del processo amministrativo, nella quale si assume che, l'introduzione dell'astreinte obbedirebbe alla ratio di dotare anche il processo amministrativo di uno strumento analogo a quello introdotto nel processo civile dall'art. 614-bis cod. proc. civ. (laddove, come è noto, la possibilità di condanna a penalità di mora da parte del giudice dell'esecuzione è limitata ai soli casi di inadempimento di giudicati da cui discendano obblighi di fare o di non fare); Riportiamo alcuni passi della sentenza con i quali L'Adunanza Plenaria ha deciso di aderire all'orientamento prevalente che ammette l'operatività dell'istituto per tutte le decisioni di condanna adottate dal Giudice Amministrativo ex art. 112 c.p.a., ivi comprese quelle aventi ad oggetto prestazioni pecuniarie. “Innanzitutto l'analisi del dato testuale dell'art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a., chiarisce che, in sede di codificazione del processo amministrativo, il legislatore ha esercitato la sua discrezionalità, in sede di adattamento della conformazione dell'istituto alle peculiarità del processo amministrativo, nel senso di estendere il raggio d'azione delle penalità di mora a tutte le decisioni di condanna. La norma in analisi non ha, infatti, riprodotto il limite, stabilito della legge di rito civile nel titolo dell'art. 614-bis, della riferibilità del meccanismo al solo caso di inadempimento degli obblighi aventi per oggetto un non fare o un fare infungibile”. “Si deve aggiungere che la norma in esame non solo non contiene un rinvio esplicito all'art. 614-bis, ma neanche richiama implicitamente il modello processual-civilistico”. “Decisiva risulta,invece, la constatazione che l'art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a., modifica l'impianto normativo del rito civile prevedendo l'ulteriore limite negativo rappresentato dall'insussistenza di "ragioni ostative". “Significativa appare, in questa direzione, anche la considerazione che nel giudizio civile l'astreinte è comminata dalla sentenza di cognizione con riguardo al fatto ipotetico del futuro inadempimento, mentre nel processo amministrativo la penalità di mora è applicata dal giudice dell'esecuzione a fronte del già inverato presupposto della trasgressione del dovere comportamentale imposto dalla sentenza che ha definito il giudizio…”. “In definitiva, a fronte dell'ampia formulazione dell'art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a., un'operazione interpretativa che intendesse colmare una lacuna che non c'è attraverso il richiamo dei limiti previsti dalla diversa norma del processo civile, si tradurrebbe in un'inammissibile analogia in malam partem volta ad assottigliare lo spettro delle tutele predisposte dal codice del processo amministrativo nel quadro di un potenziamento complessivo del giudizio di ottemperanza”. L' articolo è stato redatto attraverso l' esame delle seguenti sentenze: Consiglio di Stato Sezione Terza sentenza N. 05819/2013, Sezione Quinta sentenza n. 06688/2011, Sezione Quarta sentenza n. 00462/2014, oltre alle già citate sentenze del TAR Lazio sezione seconda e dell' Adunanza Plenaria. |
|