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Data: 01/10/2014 11:30:00 - Autore: Marina Crisafi La prostituzione è attività contraria alla morale pubblica e al buon costume, ma non socialmente pericolosa. Pertanto, non costituendo reato, non può giustificare l'adozione di un provvedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatorio nei confronti di chi esercita il meretricio. Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 38701 del 23 settembre 2014, accogliendo il ricorso di una donna, ritenuta colpevole, sia in primo che in secondo grado, del reato previsto dall'art. 2 della l. n. 1423/1956, per aver esercitato attività di prostituzione per strada, in prossimità di civili abitazioni, con atteggiamenti “scandalosi e adescatori”, tali da rientrare nella categoria delle persone “socialmente pericolose”. Ritenendo fondate le doglianze dell'imputata, con riferimento all'insussistenza degli elementi costitutivi del reato, non ricorrendo i presupposti della pericolosità richiesta ex lege alla luce dei comportamenti posti in essere, la Corte riteneva illegittimo il provvedimento adottato dal Questore e annullava senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. “Agli effetti dell'inclusione di una persona nella categoria di soggetti socialmente pericolosi ex art. 1, comma 1, n. 3 1. n. 1423 del 1956 e successive modifiche – ha affermato, infatti, la Cassazione - non è sufficiente il mero svolgimento abituale di attività contrarie alla morale pubblica e al buon costume (tra le quali é tradizionalmente ricompresa l'attività di prostituzione), bensì occorre che siano acquisiti, sulla base della condotta tenuta dal soggetto, elementi di fatto dimostrativi della commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica”. In altri termini, ha precisato la S.C., “ai fini dell'emissione del provvedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatorio, è indispensabile che il comportamento concretamente realizzato dalla persona sia realmente lesivo dei suddetti beni giuridici”. Conseguentemente, non essendo sufficiente il mero esercizio dell'attività di prostituzione a fondare l'appartenenza del soggetto alla categoria delle persone socialmente pericolose, il provvedimento de qua è illegittimo. Diversamente, ha concluso la Corte “verrebbe surrettiziamente ripristinata, in palese violazione di legge, la previsione dell'art. 1, comma 1. n. 3, 1. n. 1423 del 1956, abrogata dall'art. 2 della 1. n. 327 del 1988”. |
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