Data: 15/10/2014 18:30:00 - Autore: Dott. Rossana Delbarba
Dott. Rossana Delbarba - rossana.delbarba@libero.it
"Odi et amo. Quare Id faciam,fortasse requiris. Nescio,sed fieri sentio et excrucior"…
"Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia. Non lo so, ma sento che ciò accade, e mi tormento".
Questo scriveva Catullo nel carme 85 del Liber: il poeta si struggeva d'amore per Lesbia (così viene chiamata la donna nelle poesie a lei dedicate, ma si tratta di uno pseudonimo in quanto, in realtà, la donna in questione si chiamava Clodia ed era la sorella del tribuno Publio Clodio e moglie, nonché vedova, in seguito, di Quinto Cecilio Metello).
Egli viveva un amore tormentato che gli faceva nascere sentimenti contrastanti: i momenti di gioia e di felicità si alternavano a momenti di sofferenza e di solitudine.
Di queste emozioni il poeta non riusciva a darsi una spiegazione: domandava a sé stesso come fosse possibile amare e odiare nello stesso tempo una persona, ma non riusciva a trovare una risposta soddisfacente e, pertanto, disperato, si rassegnava accettando il proprio stato d'animo senza chiedersi più nulla. 
L'inquietudine di Catullo appare più che mai attuale; infatti, nel 2014 il confine tra amore e odio risulta sempre più labile, tanto che a volte questi due sentimenti si intrecciano sino a confondersi e a perdersi l'uno nell'altro. 
La differenza tra gli uomini di oggi ed il poeta è semmai nella reazione di chi vive attualmente stati d'animo opposti: infatti, mentre Catullo si rassegnava a convivere con le contrarie emozioni che albergavano in lui, l'uomo contemporaneo non sembra essere più in grado di gestire intimamente questo contrasto interiore; purtroppo, questa incapacità di vivere ed elaborare emozioni sfocia sempre più spesso in manifestazioni esterne di aggressione verbale e/o “materiale” nei confronti dell'amata.
Un ultimo e recente esempio di questa incapacità di gestire le emozioni e di relazionarsi con il prossimo è ravvisabile in un caso sul quale si è recentemente pronunciata la Suprema Corte: un uomo di Messina, dopo essersi separato legalmente dalla moglie, le aveva urlato in più occasioni “sei una nave scuola! Hai sempre avuto amanti”. Tale affermazione aveva indispettito la moglie tanto da indurla a denunciare il marito per il reato di ingiuria. Il Giudice monocratico del Tribunale di Messina aveva ritenuto il marito responsabile del reato di cui all'art. 594 c.p. e lo aveva condannato a corrispondere alla moglie una multa pari alla somma di €450,00.
Il marito ha proposto ricorso per Cassazione avverso la predetta sentenza, ma la Corte non ha riconosciuto fondati i motivi di ricorso ed ha specificato che “i termini rivolti dall'imputato alla ex moglie si rivelavano chiaramente offensivi secondo l'apprezzamento della generalità' dei consociati”; pertanto, costituisce ingiuria rivolgere termini che si rivelano chiaramente offensivi secondo il comune sentire della maggior parte delle persone. (Corte di Cassazione, Sezione V, sentenza n. 37506 del 11.09.2014).
Tale statuizione riporta le cose nella giusta prospettiva: perché se può capitare di vivere un sentimento tormentato di amore-odio come Catullo, ciò non può giustificare comportamenti offensivi e manifestazioni di rabbia. 
E perché, come scrive lo scrittore e filosofo italiano Amedeo Rotondi nel libro “Pensieri per una vita serena” (pubblicato postumo nell'anno 2008) “L'ingiuria offende chi la fa, non chi la riceve”. 
Dott. Rossana Delbarba - dott.rossana.delbarba@outlook.it - rossana.delbarba@libero.it
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