Data: 07/12/2014 14:00:00 - Autore: Marina Crisafi

Affitti di durata troppo breve, spostamenti  continui di appartamento in appartamento e arredi comprendenti letti matrimoniali pure in cucina. Sono questi gli elementi che, secondo la Cassazione (sentenza n. 47387 del 18 novembre 2014) bastano a “smascherare” il reale utilizzo degli immobili affittati ad alcune donne e a far condannare il proprietario degli stessi alla pena di quattro anni di reclusione e 10mila euro di multa per favoreggiamento della prostituzione.

L'uomo ricorreva per Cassazione, denunciando vizio motivazionale in quanto la condanna, inflitta dalla Corte d'Appello, era fondata sulla consapevolezza di aver affittato gli appartamenti per l'esercizio del meretricio, fatto non provato e comunque non sufficiente ad integrare, secondo la stessa giurisprudenza di legittimità, il reato di favoreggiamento.

La S.C., invece, gli dà torto.

È vero che per giurisprudenza consolidata, ha ammesso la Cassazione, “concedere in locazione un appartamento a prezzo di mercato a una prostituta, pur nella consapevolezza che questa lo utilizzerà per il meretricio, non giunge ad integrare il reato di favoreggiamento della prostituzione - atteso che la mera stipula - del contratto di per sè non rappresenta un effettivo ausilio per il meretricio”; tuttavia, in presenza di un “quid plurische favorisca specificamente la prostituzione, come nel caso in cui “oltre al godimento dell'immobile, vengano fornite prestazioni accessorie che esulino dalla stipulazione del contratto e in concreto agevolino il meretricio (esecuzione di inserzioni pubblicitarie, fornitura di profilattici, ricezione di clienti o altro)", il reato è da ritenersi integrato.

Ciò è avvenuto per la S.C. nel caso di specie, in cui la Corte ha ravvisato l'esistenza del quid pluris, in una pluralità di fattori specifici che hanno dimostrato l'integrazione del reato di favoreggiamento, tra cui la “limitazione cronologica di tutte le locazioni (incompatibile con una stabile residenza)”, la modalità di utilizzazione da parte delle occupanti “caratterizzata dalla velocità e facilità dei loro spostamenti di appartamento in appartamento (dato ulteriormente incompatibile con l'utilizzo come abitazione)”, nonché “l'allestimento specifico degli appartamenti diretto a ottimizzare il loro utilizzo per la prostituzione, collocandosi letti matrimoniali anche nelle cucine”. Il tutto, ha concluso la Corte rigettando il ricorso, “coronato dalla verifica della consapevolezza di tutto ciò dell'imputato, che, nelle conversazioni telefoniche, emerge come colui che tirava i fili di tutta una organizzazione che favoriva l'attività delle prostitute sue inquiline”


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