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Data: 08/12/2014 12:30:00 - Autore: Avv. Sabrina Vitiello Avv. Sabrina Vitiello - criminologa svitiello84@vodafone.it L'immagine delle donne totalmente estranee o ignare alle attività criminali dei mariti, dei padri, dei figli o dei fratelli è fuori dalla realtà. E' vero che il codice della mafia è un'esasperazione della virilità e dei valori maschili, e che lo stare tra soli uomini è stato da sempre un elemento coesivo per eccellenza del gruppo mafioso, ma ignorare per tanti anni la presenza femminile nelle mafie è da ritenersi un errore di valutazione. Ma mentre in Cosa Nostra o nella ‘Ndrangheta il ruolo delle donne non è mai appariscente, le donne di camorra hanno da sempre avuto una maggiore visibilità. Avendo una struttura orizzontale, più fluida, più aperta, la camorra diviene nei fatti meno maschilista della mafia quando si pone il problema della successione del capo, impedito dalla morte o dall'arresto. Nella camorra non è ritualizzata la successione. Cosa Nostra, invece, è una struttura verticistica, gerarchica, più maschilista, dove la successione è rigidamente sancita e ritualizzata, e dove le donne servono solo alla riproduzione e alla trasmissione della cultura mafiosa. In quest'ultima le donne sono inaffidabili perché incapaci di uccidere, nella camorra le donne sono vere e propri manager di business illegali. Il più delle volte sono loro a dare gli ordini, a tenere le file delle varie attività. Non partecipano direttamente agli omicidi ma li decidono. Interi settori del mercato criminale sono diretti da donne: lotto clandestino, usura, contrabbando, traffico di droga. In special modo con il contrabbando di sigarette le donne napoletane affinano le loro attività nel malaffare. Il caso più celebre è quello ripreso da Vittorio de Sica nel film “Ieri, oggi e domani”. Si tratta di una contrabbandiera che per non finire in galera fa figli a ripetizione. La storia è vera e riguarda la suocera di un boss dei quartieri, Mario Savio. Ma la storia è ricca di di donne resisi protagoniste nella storia della camorra; a titolo esemplificativo si può pensare a Rosetta Cutolo, Teresa De Luca Bossa, Maria Mosti, Chiara Mansi, Erminia Giuliano, o, più di recente, la moglie di Sandokan, il boss dei Casalesi, che ha dimostrato grandi capacità di controllo delle attività del clan mentre il marito è in carcere. Impressionante è anche ciò che avvenne in occasione dell'arresto di Cosimo Di Lauro: centinaia di donne in prima fila contro le forze dell'ordine, impegnate in tafferugli e incidenti al fine di evitare l'azione repressiva. Sono tutte donne “forti” che non accettano di essere relegate in casa a custodire la tradizione familiare. Eduardo De Filippo ha sempre rappresentato nelle sue opere donne più forti degli uomini. Sono donne non acculturate, non scolarizzate, che si sposano, si separano, si divorziano, hanno amanti e una vita sentimentale e sessuale molto vivace. D'altronde la vita nei quartieri a Napoli è promiscua, più tollerante verso l'infedeltà e verso altre tendenze sessuali. Come si legge in Gomorra sono le donne ad adescare i loro futuri mariti e “la ragazza sarà tanto più brava se riuscirà a farsi corteggiare dal migliore e una volta caduto in trappola, conservarlo, trattenerlo, ingoiarlo a naso tappato. Ma tenerlo per sé. Tutto.”. I vantaggi per le mogli dei camorristi sono, infatti, tanti. Primo fra tutti è la mesata, ovvero il salario mensile, e per ottenerlo alle ragazze, anche ancora adolescenti, conviene sposarsi o restare incinte. Diventare la moglie di un camorrista per molte è una sorta di investimento sul futuro. Sono donne “moderne”, che si truccano, si vestono secondo i canoni della moda, vogliono colpire e impressionare con il loro modo di abbigliarsi e di acconciarsi, ben lontane dallo stereotipo di casalinga tutta casa e famiglia. Invero, le donne di mafia, dopo il matrimonio, si trasformano in famiglia e scompaiono come singole. La donna di mafia non parla, sta in disparte. Sono donne dure, di pietra le mamme mafiose. Le donne di camorra non si annullano dopo il matrimonio, anzi. Le mamme napoletane non cercano di salvare i propri figli dalle insidie della strade, ma spesso sono esse stesse ad incitarli nell'illecito. Sono “donne di guai”, spesso per colpa loro si scatenano faide, uccisioni, vendette. Esse rappresentano delle vere e proprie matrone dell'illegalità: gestiscono il labile confine tra sopravvivenza della famiglia e necessità di farvi fronte con l'illegalità. Si dice che le donne di camorra si pentano difficilmente, ed è vero. Ciò risponde ad un semplice fatto: se denunciano gli appartenenti ai clan, coinvolgono direttamente i loro familiari. Ci sono stati, tuttavia, casi di donne che hanno preso le distanze dai loro uomini per collaborare con la giustizia. E' il caso della figlia di Carmine Alfieri, o della figlia di uno degli Schiavone di San Cipriano D'Aversa. Parlando di donne coraggiose, che hanno avuto la forza di distaccarsi dalla macchina mafiosa, non possiamo dimenticare la mamma di Peppino Impastato, Rita Atria o Silvana Crucito, che ha denunciato i suoi estorsori e per questo è finita sotto scorta. Così come va menzionata la sorella di un ammazzato nella faida di Secondigliano, che ha denunciato gli assassini del fratello e li ha fatti arrestare. Abbiamo, dunque, due mondi contrapposti e due modi di intendere e di vedere le questioni di camorra. Due frontiere diverse. Da un lato le donne di camorra, mogli, e sempre più spesso, vedove dei boss, che insegnano i loro figli ad odiare. Dall'altro le donne, le mogli, le compagne, le vedovi, le madri e le sorelle delle vittime innocenti della criminalità, che insegnano ai giovani ad amare e ad avere speranza. Fiera ed orgogliosa di quest'ultime, incredula e indignata per le prime.
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