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Data: 30/12/2014 17:00:00 - Autore: Avv. Francesco Pandolfi Avv. Francesco Pandolfi www.pandolfistudiolegale.it
Importante e ben congegnata la sentenza n. 20547 del 30.09.2014 della Corte di Cassazione sezione 3 civile, ove si affronta e risolve un caso di responsabilità medica derivante da un intervento non necessario, cui conseguiva l'exitus del paziente.
Numerosi sono gli inadempimenti dello staff medico accertati nel corso dei gradi di giudizio: omissione di valido consenso informato, pessima tenuta della cartella clinica, errore medico durante l'intervento, mancanza della necessaria autopsia.
Proprio analizzando il primo aspetto di colpa medica, la Corte fissa il basilare principio in forza del quale "la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, puo' causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all'intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; nonche' un danno da lesione del diritto all'autodeterminazione in se stesso, il quale sussiste quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravita'), diverso dalla lesione del diritto alla salute".
Iniziamo a scoprire gli elementi del giudizio.
Con atto notificato nel 1999, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), rispettivamente marito e figli di (OMISSIS), convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di B l'Azienda Ospedaliera di D. nonche' il medico (OMISSIS), chiedendone la condanna al risarcimento dei danni quantificati in lire 1.967.000.000, ovvero nella diversa somma di giustizia, oltre interessi e rivalutazione.
Deducevano gli attori che nel marzo del 1998 la (OMISSIS) era stata sottoposta ad un esame endoscopico, non necessario e senza consenso informato, da parte del Dott. (OMISSIS), a seguito del quale si era verificata un'ampia lacerazione del duodeno che aveva reso necessario un successivo intervento di suturazione; dopo qualche giorno era sopravvenuta la morte della paziente; nella specie era configurabile una responsabilita' professionale, dovuta ad imperizia, da parte del medico e del personale sanitario dell'ente convenuto.
In particolare l'Azienda negava ogni responsabilita' del personale sanitario in presenza di un quadro clinico gia' compromesso per le gravi patologie cardiache che affliggevano la (OMISSIS) e non essendosi verificata alcuna omissione di cure e di assistenza da parte dei propri dipendenti. Il medico negava ogni sua responsabilita', mancando in ogni caso il nesso di causalita' fra il suo comportamento e il decesso della paziente.
Il Tribunale e la Corte di Appello rigettavano le domande; avverso la sentenza della Corte di merito i soccombenti hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
Hanno resistito con distinti controricorsi (OMISSIS) e l'Azienda Ospedaliera di Desenzano del Garda.
Andiamo quindi a vedere il dettaglio della sentenza.
1. Con il primo motivo si lamenta "insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio (articolo 360 c.p.c., n. 5)". I ricorrenti censurano la sentenza impugnata per aver escluso il nesso di causalita' tra la morte e il comportamento dei sanitari - la cui sussistenza gli attori avrebbero dovuto dimostrare con un criterio necessariamente probabilistico -, affermando, con richiamo alla c.t.u., l'identico grado di possibilita' delle due cause che avrebbero determinato il decesso della (OMISSIS), individuate nella tromboembolia polmonare conseguente all'intervento chirurgico, ovvero nello scompenso cardiaco preesistente al ricovero ed indipendente da esso. Assumono i ricorrenti che la motivazione sarebbe insufficiente perche' la Corte di merito avrebbe dovuto piu' esaustivamente verificare la correttezza del decorso post operatorio, con riferimento agli episodi di vomito e di intossicazione digitale, trascurati dal C.T.U., come pure avrebbe dovuto esaminare - anche in presenza, in ipotesi, di un corretto decorso post operatorio - la grave incidenza dei tre fattori (ERCP, di per se' invasivo e non necessario, perforazione del duodeno, intervento chirurgico con apertura dell'addome) sulle condizioni cardiache della paziente che risultavano migliorate dopo i primi giorni del suo ricovero ed evidenziano che proprio il C.T.U. ha affermato nella relazione che la morte in arresto cardiocircolatorio si e' verificata il (OMISSIS), inaspettatamente rispetto al precedente iter clinico.
2. Con il secondo motivo, rubricato "insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (ex articolo 360 c.p.c., n. 5)", i ricorrenti impugnano la decisione della Corte di Appello per insufficiente motivazione circa la rilevanza del mancato consenso riguardo all'ERCP in ordine alla morte della (OMISSIS), essendosi la Corte di merito limitata ad esprimere un mero giudizio apodittico dubitativo. Ad avviso dei predetti, dimostrato il nesso causale tra l'esecuzione dell'ERCP e la morte della paziente, come esposto nel primo motivo di ricorso, sarebbe evidente la rilevanza del consenso informato al fine dell'exitus della stessa e rilevano che la mancanza del consenso costituisce, di per se' ed a prescindere dall'errore del medico, illecito anche penalmente rilevante e comunque inadempimento del professionista.
3. Con il terzo motivo si lamenta "insufficiente motivazione in ordine alla interpretazione della domanda degli attori per i danni del mancato consenso e per i danni conseguenti alla lesione del duodeno ex articolo 360 c.p.c., n. 5".
I ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la domanda degli attori non comprendesse il danno da mancato consenso e non si e' pronunciata sui danni conseguenti alla lesione del duodeno, laddove gli attori avevano chiesto tutti i danni subiti e tale istanza era stata riproposta in appello, sicche' la limitazione della domanda nell'interpretazione della Corte di merito sarebbe in contrasto con il significato letterale dell'espressione adoperata dagli attori e affermata con motivazione incongrua.
4. Con il quarto motivo si lamenta "insufficiente valutazione in ordine ai presupposti previsti dal regolamento di polizia mortuaria per l'esecuzione dell'autopsia (articolo 360 c.p.c., n. 5)".
Precisato che pacificamente nella specie non e' stata eseguita l'autopsia sul corpo della (OMISSIS), i ricorrenti censurano la decisione impugnata nella parte in cui, con riferimento alla mancata esecuzione dell'autopsia, la Corte di merito ha affermato che il C.T.U. ha chiarito che spetta al sanitario valutare se disporla per riscontro diagnostico, in presenza di dubbi sulle cause della morte, e che e' evidente che se il medico che ha constatato il decesso ritenga che non vi siano dubbi sulle cause naturali della morte ben si puo' evitare di procedere all'esame necroscopico che non risulta neppure richiesto dai familiari della donna.
Evidenziano i ricorrenti che, invece, nella consulenza e' affermato che, ai sensi del regolamento di polizia mortuaria, la richiesta di autopsia per riscontro diagnostico "e' dovuta quando il medico ha dubbi sulla causa della morte" e che, nella specie, tale autopsia "avrebbe dovuto essere richiesta, posto che la diagnosi di morte formulata in base ai dati clinici era ed e' insufficiente a chiarire i meccanismi fisiopatologici che hanno determinato il decesso e che di fatto sussistono ancora dubbi sulla causa di morte" e tanto e' stato pure ribadito in sede di chiarimenti alla c.t.u. resi dall'ausiliare. Conclusivamente sostengono i ricorrenti che il direttore sanitario avrebbe dovuto - secondo il C.T.U. - necessariamente disporre l'autopsia che avrebbe consentito di stabilire con certezza la concreta natura dell'evento cardiocircolatorio che ha prodotto il decesso.
I ricorrenti sottolineano le contraddizioni della sentenza impugnata la quale mentre afferma che e' dubbia la causa della morte - da individuarsi nella tromboembolia polmonare o nello scompenso cardiaco - ritiene che giustamente non ebbe dubbi sulle cause naturali della morte il sanitario che non dispose l'autopsia.
5. I primi quattro motivi di ricorso, che per connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.
Risulta accertato ed e' comunque pacifico (come affermato a p. 21 della sentenza impugnata, non censurata al riguardo) che vi sia stato un inadempimento del medico in merito sia al consenso informato che alla lacerazione da esame endoscopico e che cio' determino' la necessita' del successivo intervento e che, se la causa della morte fu una tromboembolia, questa fu generata dall'intervento (v. sentenza p. 18 in cui vengono riportate, in parte, anche le conclusioni dell'ausiliare del giudice, secondo cui "in base a tale ipotesi il decesso risulterebbe in nesso di causalita' con la perforazione duodenale, in rapporto all'allettamento conseguito all'intervento chirurgico che ha riparato la lesione duodenale").
Gli inadempimenti e il nesso causale sopra richiamati sono proprio quelli allegati dagli attori.
Come piu' volte affermato dalla giurisprudenza di legittimita', in tema di responsabilita' contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilita' professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell'onere probatorio, l'attore danneggiato deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore (medico e/o struttura sanitaria) dimostrare che tale inadempimento non vi sia stato, ovvero che, pur essendovi stato, lo stesso non sia stato eziologicamente rilevante. Osserva la Corte che nell'accertamento del fatto il giudice del merito deve ispirarsi a criteri logico-giuridici corretti.
Orbene, risultando, come sopra evidenziato, nella fattispecie provato l'inadempimento ascritto, che e' astrattamente idoneo a determinare l'evento dannoso, in assenza di prova contraria, che doveva fornire il debitore, la Corte di appello non ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi in tema del riparto probatorio e la decisione non e' supportata da argomentazioni sufficienti a tale riguardo, sicche' la motivazione della sentenza impugnata risulta viziata sotto il profilo logico-giuridico. Si evidenzia, peraltro che, nella specie, l'ausiliare del giudice ha assegnato alle due cause tecnicamente ipotizzabili (tromboembolia polmonare e scompenso cardiaco acuto su basi ischemica e/o aritmica) un identico grado di possibilita' (v. sentenza impugnata p. 23 e 24), con conseguente stallo, in tema di accertamento di nesso di causalita' fra intervento e il decesso, e che cio' va a carico del debitore, che non ha provato che l'inadempimento non ha causato il decesso.
In questa ottica rileva anche la mancanza di un'autopsia, pur in presenza di un'assunta non certezza della causa della morte, e la non corretta tenuta della cartella clinica, come risulta agli atti, richiamandosi, a tale ultimo riguardo il principio gia' affermato da questa Corte - e che va in questa sede ribadito - secondo cui la difettosa tenuta della cartella clinica naturalmente non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra la colposa condotta dei medici in relazione alla patologia accertata e la morte, ove risulti provata la idoneita' di tale condotta a provocarla, ma consente anzi il ricorso alle presunzioni, come avviene in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato, nel quadro dei principi in ordine alla distribuzione dell'onere della prova ed al rilievo che assume a tal fine la "vicinanza alla prova", e cioe' la effettiva possibilita' per l'una o per l'altra parte di offrirla.
(omissis) Il ricorso deve essere, pertanto, accolto: l'impugnata sentenza va cassata, con rinvio - anche per le spese del giudizio di cassazione - alla Cortedi appello di B. in diversa composizione.
Avv. Francesco Pandolfi 3286090590
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