Data: 12/12/2014 18:30:00 - Autore: Law In Action - di P. Storani

di Paolo M. Storani - (prima parte) L'espletamento della consulenza tecnica d'ufficio comporta notevoli ricadute pratiche sul momento decisorio della lite di malpractice medico - sanitaria.

Con riferimento all'utilizzo procedimentale che se ne fa, alla corretta individuazione della funzione del consulente ed alla crescente esigenza di qualificazione professionale, affidabilità e indipendenza di giudizio di chi in concreto svolga le delicate mansioni di ausiliare del giudice (che non deve ovviamente essere il medico generico curante dell'istruttore o il giovane figlio appena specializzatosi dell'amico di famiglia!), balza all'attenzione una preliminare considerazione.

Nell'opera di sempre maggiore qualificazione che deve richiedersi all'ausiliare, perfino la Legge Balduzzi, n. 189/2012, all'art. 3, 5° co., ha avuto occasione di lambire il tema nevralgico della CTU:

«Gli albi dei consulenti tecnici d'ufficio di cui all'articolo 13 del regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, recante disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, devono essere aggiornati con cadenza almeno quinquennale, al fine di garantire, oltre a quella medico legale, una idonea e qualificata rappresentanza di esperti delle discipline specialistiche dell'area sanitaria anche con il coinvolgimento delle società scientifiche, tra i quali scegliere per la nomina tenendo conto della disciplina interessata nel procedimento»

(Legge 8 novembre 2012, n. 189, art. 3, 5° co., approvata nella seduta n. 826 del 31 ottobre 2012, di conversione del d.l. 13 settembre 2012, n. 158).

Nella originaria versione del d.l. non compariva il passo finale, la cui epifania si deve al fascio di ritocchi apportati dalla Camera dei Deputati.

A titolo esemplificativo, il danno biologico (danno disfunzionale) è a prova medico-legale perché il principale strumento di accertamento è la consulenza medico legale (mentre per gli altri pregiudizi non patrimoniali può farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva) e dunque sta al difensore instare per l'ammissione della CTU, né il giudice può rifiutarla a cuor leggero. Ad ogni modo, possono darsi situazioni in cui il coacervo probatorio, le cartelle cliniche, la documentazione, le valutazioni specialistiche rendono evidente la valutazione della gravità e dell'entità del caso e allora il g.i. assume le vesti di peritus peritorum e decide allo stato degli atti, anche avvalendosi di nozioni di comune esperienza e di presunzioni.

Perfino le note quattro sentenze delle Sez. U. di San Martino 2008, alle quali viene attribuita l'etichetta di "sistema bipolare" di risarcimento per descrivere la riunificazione (reductio ad unum autorevole, ma non imperitura) di tutte le voci non patrimoniali sotto l'ombrello dell'art. 2059 c.c., al punto 4.10 enunciano:

«Indicazione dei mezzi di prova. Per quanto concerne i mezzi di prova, per il danno biologico la vigente normativa … richiede l'accertamento medico-legale. Si tratta di un mezzo di indagine al quale correttamente si ricorre, ma la norma non lo eleva a strumento esclusivo e necessario. Così come è potere del giudice disattendere motivatamente le opinioni del consulente tecnico, del pari il giudice potrà non disporre l'accertamento medico-legale, non solo nel caso in cui l'indagine diretta sulla persona non sia possibile (perché deceduta o per altre cause), ma anche quando lo ritenga, motivatamente, superfluo e porre a fondamento della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze) ed avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni»

(Cass., Sez. U., 11 novembre 2008, n. 26972, 26973, 26974 e 26975, RCP, 2009, 38; DR, 2009, 19; GI, 2009, 70; NGCC, 2009, I, 102; RC, 2009, 4).

FINE PRIMA PARTE (continua nei prossimi giorni su Studio Cataldi & Law In Action)

 


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