Data: 12/12/2014 18:50:00 - Autore: Avv. Sabrina Vitiello
Avv. Sabrina Vitiello - criminologa 
svitiello84@vodafone.it

L'articolo 42 della Costituzione afferma che “la proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale”. Dello stesso tenore è l'articolo 835 del codice civile, quando afferma che, se ricorrono gravi e urgenti necessità, può essere disposta la requisizione di beni mobili o immobili, con pagamento di indennità al proprietario. 

L'espropriazione per pubblica utilità è l'istituto giuridico in virtù del quale lo Stato, un suo organo, o un Ente territoriale, per esigenze di interesse pubblico, può, con un apposito provvedimento, acquisire, o far acquisire ad un altro soggetto, la proprietà o altro diritto reale su di un bene, indipendentemente dalla volontà del suo proprietario, previo pagamento di un indennizzo
Orbene, molte volte la P.A. dimentica la locuzione “salvo indennizzo” e pretende di appropriarsi della proprietà altrui senza corrispondere il quantum dovuto ai proprietari. Un fare che si può definire più vicino ai  metodi malavitosi che a quelli democratici propri di uno Stato di diritto! 
Il povero cittadino espropriato è costretto, così, ad adire le vie legali per ottenere la giusta indennità di esproprio. Si ricorre dapprima alla Corte d'Appello e poi, se la controparte soccombente, a mero scopo dilatorio, ricorre in Cassazione la povera vittima è obbligata, altresì, a costituirsi dinanzi agli Ermellini. In taluni casi, addirittura, ci si trova di fronte a ricorsi dichiarati inammissibili perché presentati fuori termine! …Tanto che importa, sono sempre gli stessi cittadini a pagare gli avvocati della P.A. e a mantenere in piedi sterili carrozzoni politici.
Due gradi di giudizio, spese legali ingenti, anni di causa, pur di far valere il proprio diritto all'indennità di esproprio.
Nonostante sentenze della Cassazione a proprio favore, ci si può trovare di fronte ad una P.A. ancora morosa, ancora inadempiente a quanto stabilito dall'Autorità Giurisdizionale. A questo punto che fare?
In primis è opportuno notificare alla debitrice atto di diffida e messa in mora con cui intimarla al pagamento del quantum dovuto, con la speranza che rinsavisca.
Se, nonostante tale atto, l'Amministrazione persiste nella sua egoistica indifferenza nei confronti dei cittadini, allora non resta che presentare ricorso per l'ottemperanza al giudicato dinanzi al TAR competente. La funzione di tale giudizio è proprio quella di soddisfare l'esigenza che la parte soccombente si adegui alla decisione resa dal giudice, di modo che la pronuncia dell'Autorità Giurisdizionale non resti una vuota statuizione, simbolo di un sistema giurisdizionale inefficace e solo formalmente depositario dell'importante funzione di rendere giustizia.
Sono gli artt. 112 s.s. del Codice del Processo Amministrativo a disciplinare tale giudizio. 
Il Legislatore ha stabilito che il ricorso va notificato alla P.A. e a tutte le altre parti del giudizio, definito dalla sentenza o dal lodo di cui si chiede l'ottemperanza. Trattasi di giudizio in camera di consiglio, che si conclude con sentenza in forma semplificata, a meno che non sia chiesta l'esecuzione di un'ordinanza.. Il giudice amministrativo, oltre ad ordinare l'ottemperanza della senza da parte della P.A., può provvedere alla nomina di un Commissario Ad Acta, il quale munito dei necessari poteri, provvede materialmente ad obbligare la P.A. debitrice al pagamento della somma dovuta. Di fatto, dunque, il Commissario si sostituisce all'Amministrazione inadempiente, evitando al creditore procedente il difficile onere di individuare quei beni pubblici da espropriare, senza contare poi come un eventuale reiterato inadempimento della Pubblica Amministrazione, potrebbe comportare per la stessa possibili problematiche e responsabilità da valutarsi dinanzi alla Corte dei Conti.
E' vero che principio generale di correttezza morale, prima che civile, sarebbe che la Pubblica Amministrazione, ritenuta soccombente dall'Autorità Giurisdizionale, si adegui spontaneamente alla statuizione ma, laddove gli amministratori non mostrano buon senso e probità allora non resta che ricorrere ai rimedi previsti dal nostro ordinamento giuridico ai fini del soddisfacimento dei nostri diritti.
Per questo motivo consiglio vivamente a tutti i proprietari espropriati, ancora creditori, di non rinunciare a priori alle somme dovute ma continuare a esperire i rimedi legislativi al fine di fare giustizia. D'altronde, in tempi di crisi come quelli attuali, perché dire addio a laute somme solo per timore o per seccatura nell'affrontare un nuovo processo? Rinunciare al proprio credito vuol dire darla vinta a chi si è mostrato non solo incapace ma anche assolutamente egoista nei confronti della povera gente.
Avv. Sabrina Vitiello - criminologa
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