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Data: 20/12/2014 18:00:00 - Autore: Avv. Sabrina Vitiello Secondo il Censis i comuni del Sud dove sono presenti i sodalizi criminali ammontano a 406 su 1608; gli enti locali in cui sono presenti i beni confiscati alle mafie sono 396 su 1608; i comuni sciolti negli ultimi tre anni per infiltrazioni sono 25. Se ampliamo l'orizzonte, possiamo notare che il 3,5% del PIL è composto da economia illegale e criminale. I fenomeni criminali di tipo mafioso sono caratterizzati dall'utilizzo della violenza come capitale per produrre e assicurarsi ricchezza. I mafiosi dimostrano l'economicità della violenza, cioè il valore economico della violenza e del suo impiego. La violenza è un bene che nella società capitalistica ha trovato e ha prodotto un mercato. Non sempre, però, l'arricchimento dei mafiosi comporta un
arricchimento del territorio in cui vivono. John Stuart Mill scrisse nel Ma perché l'economia criminale non produce ricchezza e sviluppo del territorio in cui divampa? Maggiore circolazione di ricchezza criminale non si traduce in sviluppo produttivo perché la presenza di economia criminale scoraggia gli investimenti esterni all'area o interni al territorio. Per Arlacchi, l'impresa mafiosa presenta tre specifiche caratteristiche: scoraggiamento della concorrenza; compressione salariale e flessibilità totale della manodopera; disponibilità ingente di risorse finanziarie. Giova, altresì, distinguere l'impresa mafiosa dalla mafia-impresa. Mafia- impresa è l'insieme delle attività controllate e gestite dai mafiosi, o i profitti derivanti da attività in cui si fa uso di violenza. La mafia-impresa indirizza la sua azione all'arricchimento con qualsiasi mezzo, anche le attività non sono quelle classiche imprenditoriali. Per impresa mafiosa, invece, intendiamo quelle attività imprenditoriali prevalentemente ad oggetto lecito ma avviate con capitali di provenienza illecita. I settori economici prediletti dai mafiosi sono: l'edilizia; il ciclo dei rifiuti; il settore terziario; l'approvvigionamento alimentare; l'accaparramento di aziende agricole; la distribuzione di oli e benzine. Tutti settori, come si può vedere, a bassa tecnologia e ad alta intensità di lavoro. Settori e mercati protetti, in cui è alto è l'apporto di capitale e bassa la capacità gestionale e di innovazione. Settori a dominio pubblico o dipendenti dalle decisioni o dalla regolazione pubbliche. Settori dove è forte la possibilità di condizionamento delle scelte e dove è più robusta la corruzione. Settori dove non c'è una vera e propria competizione di mercato. Settori, come l'agricoltura, dove è più sfruttabile la manodopera immigrata. Appare evidente che i mafiosi sono più presenti nella distruzione che nella produzione. Nel settore industriale li rinveniamo soprattutto in quegli ambiti che si espongono all'economia del falso: tessile e alimentare. Non pensiamo, tuttavia, che la mafia abbia un'ideologia anti – industriale, si tratta solo di ragioni di opportunità. Nel settore industriale i guadagni sono più incerti e più bassi. Meglio investire in settori condizionabili dalle relazioni politiche e sociali, dall'uso della violenza e della minaccia. Anche quando reinveste la mafia ha una mentalità che cerca il massimo profitto con il minor rischio, ha una mentalità speculativa. A questo punto, allora, viene da domandarci perché i mafiosi investono in mercati legali quando potrebbero tranquillamente investire ciò che guadagnano nell'economia illegale, dove i profitti e le rendite sono senza dubbio più alti. Diverse sono le ragioni che spingono i boss a reinvestire capitali sporchi nell'economia legale. Innanzitutto i mercati illegali possono conoscere una saturazione, dovuta al contrasto delle forze dell'ordine. Inoltre più investi più entri in contrasto con gli interessi di altri malavitosi e il conflitto permanente è in antitesi alla logica del profitto. Ancora c'è la ricerca della rispettabilità che spinge ad investire in attività legali. Il mafioso non vuole essere considerato un delinquente, e un'attività legale lo aiuta. Infine, anche i mafiosi si preoccupano del futuro delle loro famiglie. Un investimento fuori dall'illegalità permetterebbe di sopravvivere anche a condizioni di pressione sui mercati illegali delle forze dell'ordine o dal venir meno di un ruolo di dominio sugli stessi. Si pensi, ad titolo semplificativo, che il riciclo avviene anche mediante attività economiche più vicine al comune cittadino, come la ristorazione. In Italia, il giro d'affari della ristorazione da riciclo coinvolge 5.000 locali tra bar e ristoranti. Per non pensare a come anche i centri commerciali siano ottimo strumento di lavaggio e di controllo dell'attività economica, imponendo tangenti ai commercianti che hanno investito in quelle attività. Una mafia, dunque, non più lupara e coppola ma più che mai impresa. Un'impresa mafiosa che si insinua sempre più nelle attività legali, svuotandole ed utilizzandole in modo strumentale per il suo malaffare. Al cittadino e all'imprenditore il dovere di non delegare alle istituzioni il compito di sbarrare l'avanzamento di questo male, che si nutre in special modo di indifferenza, dolosa ingenuità e avidità di potere economico. Le mafie, lo hanno dimostrato in questi 150 anni di storia, non hanno mai condiviso né potere né ricchezza. Spartire affari con loro non è mai conveniente. La lotta ora si gioca tutta sulla conoscenza dei meccanismi che permettono loro di impadronirsi di realtà economiche, anche e soprattutto attraverso la corruzione. E' tempo di aprire gli occhi perché nessuna ingenuità può essere più accettata. Avv. Sabrina Vitiello svitiello84@vodafone.it www.ilvolto.it
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