Data: 29/12/2014 16:00:00 - Autore: Avv. Sabrina Vitiello
Avv. Sabrina Vitiello - criminologa 
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Era il 1994 quando faceva la sua prima comparsa nel linguaggio corrente il termine “ecomafia”. 
Ci entrava a pieno titolo passando non da un'aula giudiziaria, ma da un dossier pubblicato da una associazione ambientalista, Legambiente, scritto per l'occasione con l'Arma dei carabinieri e l'Eurispes. Era il primo rapporto Ecomafia, che nel 2013 è giunto alla sua 20esima edizione. Più che maggiorenne. Era già chiaro allora, come lo è ancora di più oggi, che dietro il mondo dei rifiuti, del cemento, dell'agroalimentare, degli animali, dei beni culturali e paesaggistici e delle riserve idriche stava montando pericolosamente un business illegale che teneva insieme criminalità organizzata, anche mafiosa, con quel paludoso mondo delle professioni, dei colletti bianchi, dell'imprenditoria, della politica. Un grumo di interessi loschi e spavaldi che ancora oggi tiene sotto scacco l'intero paese, facendogli pagare un prezzo altissimo. Grumo che è potuto crescere e proliferare quasi indisturbato per decenni, grazie a un sistema repressivo carente, con una legislazione puramente formalistica e a tratti criminogena.  
Ma che cosa si intende specificamente con il termine “ecomafia”?
Per ecomafia, in sintesi, si intendono gli interessi criminali delle varie mafie nel campo ambientale, in modo particolare le attività altamente dannose per l'ambiente come l'abusivismo edilizio e lo smaltimento clandestino dei rifiuti. La mafia, come pure gli altri sodalizi criminali, si è sempre caratterizzata come “movimento antiecologista”. Fin dalla sua nascita ha avuto la pretesa di “trasformare” il territorio, di “governarlo” secondo regole malsane, di controllare e gestire ogni suo singolo mutamento. Quasi tutti i business malavitosi hanno un forte “impatto ambientale”, manifestando un evidente spregio per la natura, gli uomini, gli animali e il loro ambiente. Del resto controllare un territorio, trasformarlo secondo le proprie pretese, significa esercitare al meglio il dominio su persone, animali e cose, che vi appartengono; vuol dire soggiogarli, sottometterli, opprimerli nella propria “casa” (ôikos “casa”, “abitazione” è la parola greca usata per coniare il lemma “ecologia”).

Le ultime ricerche provano che i reati ambientali sono diffusi in tutto il Paese, con predominanza nelle regioni meridionali (Campania, Calabria, Sicilia e Puglia), seguite subito dal Lazio.
E' soprattutto il traffico illecito dei rifiuti a far da padrone nel campo dell'ecomafia. “La monnezza oggi vale quanto la droga e più dell'oro”. Il procuratore Piero Grasso ha rilevato che da un'intercettazione telefonica è saltata fuori questa frase illuminante: "Trasi munnizza e nesci oro", ovvero "Entra immondizia ed esce oro".
Nel complesso la Campania continua ad occupare il primo posto nella classifica dell'illegalità ambientale. E' il cd. Triangolo della monnezza (Qualiano, Giugliano e Villaricca), a 25 Km da Napoli, ad essere stato scelto dalla camorra per la sepoltura illecita dei rifiuti. Il cugino del boss Sandokan, già nel lontano 1997, profetizzò: in vent'anni tutti morti di cancro e, in effetti, la sua profezia si sta realizzando, dato che in Campania l'incidenza dei tumori è del 300% in più rispetto alla media. La cosa più raccapricciante è il silenzio dello Stato di fronte a questo scempio. Un silenzio inaccettabile visto lo stallo della situazione dei rifiuti tossici. Un silenzio che avremmo potuto accettare solo se lo Stato si fosse nel frattempo impegnato nella risoluzione dei problemi. E invece no.

Andando a leggere le 67 pagine della documentazione, registrate il 7 ottobre 1997, rimaste segrete per 16 anni, si può notare come anche il Molise è terra di camorra. E' Carmine Schiavone a dire – già sedici anni fa – che il clan dei Casalesi è arrivato in Molise nel 1992, soprattutto nella parte ovest di questa regione. Lande di terra tra il venafrano e l'isernino in cui si sono seppelliti i fanghi tossici e fusti nocivi, questa zona di dominio Bardelliano e dei Nuvoletta. Parla anche di tutta quella zona del Matese, sfregiata dai rifiuti industriali. Credete ancora che la criminalità in Molise non esiste?

Un business troppo ghiotto in cui la camorra guadagnava 500 mila lire a fusto da sotterrare, diviso tra Schiavone, il cugino Sandokan, i Bidognetti e i De Falco. Loro erano i “sindaci” delle terre che si erano spartiti.
Così, alla faccia della salute, via a imboscare nei terreni tutte le sostanze nocive a Latina – ancor prima del 1988 – in Puglia – nel Salento e nelle province di Bari e Foggia intorno al 1991-1992.

Dunque, quello che oggi è sotto gli occhi di tutti, lo era già prima. 
La Terra dei fuochi non esiste da ora ma si è sviluppata oltre vent'anni orsono, probabilmente ai tempi del terremoto dell'Irpinia del 1980. Oggi è venuta alla ribalta per distrarre dalla precarietà e dalla disoccupazione, per camuffare incapacità e incompetenze.
Rendiamo, però conto, che curare i tumori, donare denaro per aiutare la ricerca e la sperimentazione non serve a nulla, se poi siamo inerti di fronte alla prevenzione primaria. Se poi siamo costretti a vivere in una terra avvelenata.

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