Data: 01/01/2015 17:30:00 - Autore: Marina Crisafi

Non può ritenersi integrata una condotta di mobbing se il datore di lavoro adibisce il dipendente a mansioni diverse a quelle per le quali è stato assunto, se le stesse non sono “dequalificanti”.

Lo ha affermato la sezione lavoro della Corte di Cassazione, con sentenza n. 27239 del 22 dicembre 2014, respingendo il ricorso di una lavoratrice contro il licenziamento disposto da un'impresa alberghiera.

La donna era stata assunta per occuparsi dell'amministrazione di un hotel di prossima apertura ma inizialmente poiché la struttura non aveva ancora aperto era stata adibita a mansioni diverse. Successivamente, l'impresa aveva assunto un direttore amministrativo e la donna si era rifiutata di sottostare gerarchicamente alla nuova figura ed era stata licenziata.

Da qui la domanda di reintegro e il riconoscimento della condotta mobbizzante da parte del datore di lavoro che veniva rigettata dalla Corte d'Appello di Roma la quale aveva ritenuto ingiustificato il rifiuto della donna, atteso che le mansioni alle quali era stata adibita erano comunque di carattere amministrativo, e considerando il licenziamento avvenuto per giusta causa, dato il potere del datore di lavoro di organizzare l'attività produttiva e l'illegittimità, per contro, del rifiuto del singolo lavoratore di attenersi all'organizzazione gerarchica.

La donna adiva, quindi, la Suprema Corte adducendo che il datore di lavoro, nell'ambito dell'esercizio del potere organizzativo trova un limite invalicabile, nella dignità del lavoratore.

Ma la S.C. condivide il ragionamento seguito dalla corte territoriale affermando che il potere del datore di lavoro “di organizzare la propria attività e – conseguentemente – di mutare le mansioni di un dipendente”, esercitando quello “ius variandi” ad esso riconosciuto è pienamente legittimo.

Del resto, ha sottolineato la Cassazione, le mansioni diverse cui la lavoratrice era stata adibita trovavano giustificazione nella circostanza pacifica della mancata apertura dell'hotel e ciò non poteva condurre a ritenerle “necessariamente dequalificanti”.

La valutazione, infatti, sul legittimo esercizio dello ius variandi, ha spiegato la Corte, va valutata sulla base dell'”omogeneità tra le mansioni successivamente attribuite e quelle di originaria appartenenza”, dell'equivalenza concreta rispetto alle competenze richieste, al livello professionale del dipendente, a prescindere dalla circostanza se, sul piano formale, le tipologie di mansioni rientrino o meno nella stessa area operativa. Tale valutazione, ha concluso la Corte rigettando il ricorso, spetta al giudice del merito che, nel caso di specie, ha escluso sia il demansionamento che la condotta mobbizzante da parte del datore di lavoro. 


Tutte le notizie