Data: 12/01/2015 16:19:00 - Autore: Laura Viola Berruti
di Laura Viola Berruti
viola.berruti@me.com 

Le Sezioni Unite1 sono state chiamate a diramare i contrasti interpretativi sorti sui limiti di utilizzabilità delle intercettazioni di comunicazioni che vengono disposte in un diverso procedimento, ai sensi dell'art. 270 cpp, e ai criteri necessari a inquadrare la conversazione intercettata come corpo del reato, al fine di determinare quale disciplina sia applicabile.

Gli imputati, militari in servizio presso il nucleo operativo radiomobile del Comando dei Carabinieri di Muggia, infatti, venivano dichiarati colpevoli di distruzione e deterioramento di cose militari, ex artt. 40, 110 cp e 169 cp mil. pace, aggravato dall'art. 47 del medesimo codice.

La condanna si fondava, in particolare, sulle conversazioni registrate grazie a un dispositivo per intercettazione ambientale installata nell'autovettura di servizio nell'ambito di indagini a carico di altri militari della medesima Compagnia da cui si comprendeva come gli imputati hanno intenzionalmente mandato “fuori giri” il motore del veicolo della PA, provocando il danneggiamento del cambio e del differenziale.

  • Il contenuto della registrazione ambientale: il discrimine tra comunicazioni e meri rumori

La Procura Generale Militare della Repubblica presso la Corte Suprema di cassazione chiedeva il rigetto del ricorso osservando che le intercettazioni avevano rilevanza probatoria, non per la registrata conversazione dei militari, bensì per la ricezione del rumore del motore “fuori giri”.

Pertanto, la captazione del sonoro non comunicativo proverebbe di per sé la condotta criminosa dei soggetti agenti e si sottrae ai limiti fissati dagli artt. 266 e seg. cpp.

Le Sezioni Unite, tuttavia, preliminarmente sottolinea come i Giudici di merito abbiano valorizzato il contenuto comunicativo dell'intercettazione e non i meri rumori del motore.

La questione è di particolare importanza per determinare quale disciplina sia applicabile.

Gli Ermellini evidenziano che, sotto il profilo costituzionale, si ha un pregnante tutela dell'inviolabilità della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione nell'art. 15 Cost e, in secundis, l'art. 14 Cost garantisce la privacy dell'individuo con riferimento alle condotte che si svolgano in una privata dimora.

In breve, si può osservare che la Corte di legittimità ha sin da subito chiarito che il concetto di privata dimora racchiude tutti quei luoghi in cui si svolge la vita privata per le ragioni più diverse ed in cui l'individuo si sofferma, anche se non stabilmente, per periodi di tempo di apprezzabile durata: presuppone, pertanto, un soggiorno, sia pur breve, ma di una certa durata in modo tale che “dove manchi un pur un minimo grado di stabilità”, come ad esempio nel pernottamento, esula il concetto di dimora2.

I luoghi tutelati ex art. 266 cpp, comma secondo, in quanto luoghi di “privata dimora” sono, oltre l'abitazione, tutti quelli che assolvono attualmente e concretamente la funzione di proteggere la vita privata di coloro che li detengono e li utilizzano. Sulla scorta di tale premessa, l'organo di legittimità ha affermato che «[…] la privata dimora comprende qualsiasi luogo dove taluno si sofferma per compiere, anche in modo contingente o transitorio, lecitamente atti della propria vita privata quali manifestazioni dell'attività individuale per i motivi più diversi dallo studio, alla cultura, allo svago, al lavoro professionale o artigianale, al commercio, all'industria, all'attività politica, ecc.[…]»3.

Lo ius excludendi alios, rilevante ai sensi dell'art. 614 cp, serve a garantire il diritto alla riservatezza, costituzionalmente garantito ex art. 14 Cost., nello svolgimento di alcune manifestazioni della vita privata, con la conseguente inviolabilità del domicilio, assunto, in un' accezione più ampia, «[…] come luogo di cui si disponga a titolo privato, ma nel quale non necessariamente si svolgono attività domestiche […]»4.

La Corte di Cassazione ha da sempre escluso, infatti, che l'automobile possa rientrare tra luoghi di privata dimora, in quanto costituente un ordinario mezzo di trasporto, strutturalmente privo di attrezzature che rendano possibile ed attuale un utilizzo di tipo domestico dello spazio chiuso salvo che esso, rientrando tra le libertà individuali la facoltà di scegliere dove dimorare, venga utilizzato come tale o destinato ad uso di abitazione privata5.

In via generale, pertanto, «[…] l'abitacolo di un'autovettura non può essere considerato privata dimora, perché sfornito dei requisiti minimi indispensabili per potervi risiedere in modo stabile per un apprezzabile lasso di tempo, né tanto meno appartenenza di privata dimora, in quanto non collegato in un rapporto funzionale di accessorietà o di servizio con la stessa trattandosi di uno spazio destinato naturalmente al trasporto dell'uomo […]»6.

Deve sottolinearsi che il decreto autorizzativo di un' intercettazione da eseguirsi all'interno di un autovettura è sempre necessario, ma non deve essere motivato nei termini previsti dall'art. 266 cpp, comma secondo, con riferimento al fondato motivo della sussistenza di un attività criminosa in atto7.

Esisteva, però, anche un orientamento minoritario, se pur definitivamente abbandonato dalle Sezioni Unite, con la sentenza in commento, secondo il quale, ai fini della individuazione delle condizioni e dei limiti di ammissibilità delle intercettazioni di comunicazioni tra presenti, rientrano nel concetto di privata dimora tutti quei luoghi che, oltre all'abitazione, assolvono alla funzione di proteggere la vita privata e perciò tutti quei luoghi destinati al riposo, all'alimentazione, alle occupazioni professionali e all'attività di svago, tra cui va ricompreso l'abitacolo di una autovettura adibita, di regola, ai trasferimenti da e per il luogo di lavoro e di svago8.

Per di più, le Sezioni Unite chiariscono, ad abundantiam, che la garanzia costituzionale palesemente si riferisce all'inviolabilità della libertà e segretezza delle comunicazioni o della corrispondenza e, pertanto, non può essere estesa a registrazioni di contenuto non comunicativo che vengano effettuati al di fuori dei luoghi garantiti dall'art. 14 Cost, non dovendo, quindi, applicare la disciplina degli artt. 266 e segg cpp, ma la diversa tutela dell'art. 189 cpp, in tema di prova atipica.

La difesa della Procura generale Militare, così, viene rigettata perché i Giudici di merito avevano affermato la colpevolezza sulla base della conversazione intrattenuta dai due agenti nell'autovettura di servizio, risultando, quindi, applicabile la tutela prevista per le intercettazioni.

  • L'utilizzo in altri procedimenti delle intercettazioni

Le Sezioni Unite, così, tornano alla questione rimessa al Loro esame, escludendo che l'intercettazione fosse stata autorizzata nel medesimo procedimento, rendendosi necessario analizzare la disciplina di cui all'art. 270 cpp e i termini di applicabilità.

La circolazione del materiale probatorio nell'ambito di diversi procedimenti penali costituisce un problema che ha condotto il Legislatore di fronte a un bivio: rappresentare i processi come sistemi autoreferenziali ed impermeabili rispetto a qualsiasi influenza esterna oppure prevedere uno “spazio pan processuale” entro cui è possibile la circolazione delle prove9.

Il divieto contenuto nell'art. 270 cpp tiene in considerazione come il diverso procedimento manchi della garanzia del previo intervento autorizzativo da parte del Giudice, con il rischio che il primo provvedimento finisca per diventare un'autorizzazione in bianco ad eseguire intercettazioni; situazione che finirebbe per incidere sulla garanzia costituzionale della motivazione, perdendosi di fatto la possibilità di sindacare il decreto autorizzativo10.

L'art. 270 cpp, comma primo stabilisce, come principio generale, che i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l'accertamento dei delitti per cui è obbligatorio l'arresto in flagranza.

Tale norma recepisce di fatto l'enunciato formulato dall'art. 226 quater del codice di rito abrogato che individuava l'ambito dell'eccezione al divieto generale con il riferimento ai reati per i quali era previsto il mandato di cattura obbligatorio. Oggi il legislatore ha voluto ancora salvaguardare la significatività delle intercettazioni svolte laddove le stesse si pongono in chiave probatoria funzionale all'accertamento di reati di particolare gravità, positivamente individuati: tale limite di utilizzazione riguarda non solo l'esito delle intercettazioni ma anche le testimonianze sul contenuto di tali operazioni probatorie11.

In specie, infatti, le intercettazioni erano state autorizzate nell'ambito delle indagini su militari del medesimo Comando dei Carabinieri per dei reati comuni, a differenza degli imputati che sono stati condannati per il reato di cui all'art. 169 cp mil. pace, sorgendo, così, la preliminare necessità di delineare in termini definitivi la nozione di “procedimento diverso”.

  • Il concetto di “procedimento diverso”

In relazione all'espressione “procedimento diverso” si sono rinvenuti differenti interpretazioni da parte della dottrina e della giurisprudenza.

Dall'enunciato legislativo si ricava, in primis, come il divieto di utilizzazione operi con riferimento all'intero procedimento, inteso come comprensivo sia della fase investigativa sia di quella propriamente processuale. A sostegno di tale osservazione si invoca, non solo, l'impiego del termine “procedimento” nel dettato normativo, ma anche il regime sanzionatorio scelto dal legislatore nei casi di violazione del divieto: l'inutilizzabilità che, come prevede l'art. 191 cpp, può essere fatta valere in ogni stato e grado del procedimento. Si ricava pertanto il regime di assoluta inutilizzabilità delle intercettazioni anche nelle fasi pre-dibattimentali di un procedimento diverso12.

L'orientamento giurisprudenziale prevalente riteneva che il concetto di “diverso procedimento” non equivale a quello di “diverso reato” e pertanto in esso non rientrano le indagini connesse e collegate, sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico, al fatto illecito in ordine al quale il mezzo di ricerca della prova è stato disposto. La “diversità” deve assumere rilevo sostanziale, non potendo essere ricollegata a dati puramente formali, come la materiale distinzione degli incartamenti relativi a più procedimenti o il loro diverso numero di iscrizione nel registro delle notizie di reato13.

Le Sezioni Unite, con la sentenza in esame, ha osservato come tale orientamento utilizzi il criterio di valutazione sostanzialistico per definire il concetto di “diverso procedimento”. Si prescinde, così, da elementi formali, quale il numero di iscrizione del procedimento nel registro delle notizie di reato, perché ai fini della individuazione della identità dei procedimenti, diventa rilevante l'esistenza di una connessione tra il contenuto della originaria notizia di reato, per la quale sono state disposte le intercettazioni, ed i reati per i quali si procede sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico14.

È palese, pertanto, il netto discostamento dalla risalente interpretazione in termini contrari in base alla quale non è consentita l' utilizzazione in un procedimento penale delle risultanze emerse da intercettazioni telefoniche disposte in altro procedimento, salvo i casi tassativamente indicati dall'art. 270 cpp, neanche quando i due procedimenti sono strettamente connessi sotto il profilo oggettivo e probatorio15.

I giudici di merito avevano, infatti, tentato di superare i limiti all' utilizzabilità enunciati dall'art. 270 cpp qualificando la registrazione delle conversazioni corpo di reato.

  • Le conversazioni che costituiscono reato

Si registrava un contrasto giurisprudenziale sulle registrazioni che non rappresentano una mera conversazione su circostanze relative al fatto di reato per cui sono state disposte, ma una comunicazione che integra essa stessa una condotta criminosa.

Era emerso un orientamento, divenuto, poi, maggioritario secondo cui l'acquisizione al processo della comunicazione intrinsecamente delittuosa va inquadrata nelle norme che regolano l'uso processuale del corpo di reato, giacché tali registrazioni sono da considerare cose sulle quali il reato è stato commesso. Al corpo di reato, quindi, viene attribuita anche un'implicazione immateriale. Se le espressioni linguistiche impiegate che si sono impresse sul supporto magnetico sono lesive di un precetto penale, allora esse diventano corpo del reato. Ne consegue che non si applicano le limitazioni stabilite dall' art. 270 cpp, ma diventa fonte di prova nel giudizio16.

In senso diametralmente opposto, la Corte di Cassazione aveva osservato anche che quando le registrazioni non rappresentano una mera conversazione su circostanze relative al fatto reato per cui siano state disposte, ma una comunicazione che integra essa stessa condotta criminosa, la loro acquisizione è soggetta alle disposizioni stabilite dall' art. 270 cpp e non va inquadrata nelle norme che regolano l'uso processuale del corpo di reato, poiché la registrazione costituisce in ogni caso un mezzo di documentazione della comunicazione e non è definibile cosa sulla quale o mediante la quale il reato è stato commesso17.

Si confonderebbe, altrimenti, il risultato dell'intercettazione con la cosa materiale che documenta il fatto costituente il reato e, pertanto, costituisce corpo del reato soltanto nei casi in cui è la stessa registrazione ad integrare la condotta delittuosa (le Sezioni Unite ricordano il caso contemplato dall'art. 615-bis cp dell'indebita ripresa di notizie e immagini della vita privata svolte nei luoghi di cui all'art. 614 cp).

Secondo una tesi intermedia, invece, le limitazioni probatorie di cui all' art. 270 cpp non si applicano quando la comunicazione intercettata costituisca essa stessa condotta delittuosa, divenendone pertanto "corpo di reato", ma non quando essa ne rappresenti solo un frammento, non esaurendosi la fattispecie criminosa con le conversazioni intercettate18.

Le Sezioni Unite, nella sentenza in commento, rammenta la definizione legislativa, ai sensi dell'art. 253, capoverso, cpp di corpo del reato in termini di cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso, nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo.

Un'interpretazione restrittiva del termine “cosa” ne conferirebbe, in tal modo, un'accezione strettamente materiale escludendo tutto ciò che è immateriale come le conversazioni e le comunicazioni.

Gli ermellini, tuttavia, mediante un'interpretazione sistematica degli artt. 253, 254 e 254 bis cpp, speciali questi al primo, evidenziano come nel sequestro di determinate forme di comunicazioni il Legislatore intenda acquisire, in particolare, il contenuto del supporto, ovverosia l'oggetto della corrispondenza o della comunicazione.

Non rileva, quindi, tanto il contenitore materiale, quanto il contenuto che ha, di per sé, natura immateriale.

Precedentemente, il diritto vivente aveva già affermato che la disciplina di cui all'art. 253 cpp era applicabile a quei supporti informatici o cartacei che documentano condotte dichiarative penalmente rilevanti come nel caso della falsità ideologica, della calunnia o della falsa testimonianza19.

D'altronde è lo stesso art. 271 cpp, al comma terzo, che chiarisce che la documentazione delle intercettazioni possono costituire corpo del reato, rispetto al proprio contenuto, sottraendole all'obbligo di distruzione.

Per di più, le Sezioni Unite aderiscono a quell'orientamento che ritiene corpo del reato solo la comunicazione, unitamente al supporto che la contiene, che integra ed esaurisce la fattispecie criminosa escludendo, quindi, quelle che si riferiscono a una delle condotte criminose o che ne integra un frammento parziale.

Infatti, si potrebbe osservare come, in realtà, fosse un contrasto interpretativo apparente perché le pronunce del succitato orientamento maggioritario si riferivano alle ipotesi di reato in cui è la comunicazione che esaurisce il disvalore del fatto, non potendo, quindi, palesarsi un principio di diritto a valenza generale20.

Sulla base di tali considerazioni, risultando evidente che il contenuto delle intercettazioni utilizzate nel caso di specie hanno un carattere meramente descrittivo della condotta, senza esaurirne il disvalore – e diversamente non potrebbe ritenersi visto che gli imputati si sono resi colpevoli del danneggiamento di un veicolo di servizio e non di dichiarazioni di per sé penalmente rilevanti - non costituisce corpo del reato e, pertanto, è soggetto ai limiti di utilizzabilità di cui all'art. 270 cpp.

Laura Viola Berruti 
viola.berruti@me.com 

Note:

1 Cass, SU, 26.6.2014, n. 32697;

2 Cass pen, sez. VI, 19.2.1981, Semitaio. Si veda, in dottrina, nei medesimi termini restrittivi: G. ALLENA, Riflessioni sul concetto d'incostituzionalità della prova nel processo penale, Riv. It. Dir e proc pen,1989, II, p. 508.

3 Cass pen, sez. VI, 23.1.2001, De Palma.

4 Cass pen, sez. I, 23.3.2008, Lini; Id., sez. VI, 11.12.2009, C.L.: «[…] per luogo di privata dimora deve intendersi quello adibito ad esercizio di attività che ognuno ha il diritto di svolgere liberamente e legittimamente, senza turbativa da parte di estranei […] non tutti i locali dai quali il possessore abbia diritto di escludere le persone a lui non gradite possono considerarsi luoghi di privata dimora, in quanto lo "ius excludendi alios" rilevante ex art. 614 c.p., (e, quindi, ex art. 266 c.p.p., comma 2) non è fine a se stesso, ma serve a tutelare il diritto alla riservatezza, nello svolgimento di alcune manifestazioni della vita privata della persona che l'art. 14 Cost., garantisce, proclamando l'inviolabilità del domicilio […]».

5 Cass pen, sez. VI, 23.1.2001, De Palma; Id., sez. VI, 4.2.2009, C.F («[…] Secondo l'indirizzo assolutamente prevalente in giurisprudenza, infatti, l'abitacolo di un'autovettura, in quanto spazio destinato naturalmente al trasporto delle persone o al trasferimento di oggetti da un luogo a un altro e in quanto sfornito dei conforti minimi necessari per potervi soggiornare per un apprezzabile lasso di tempo, non può essere considerato luogo di privata dimora, secondo la definizione dell'art. 614 c.p., giacchè nell'autovettura non si compiono, di norma, atti caratteristici della vita domestica […]»); Id., sez. II, 18.3.2008, G.G: «[…] le intercettazioni sono state effettuate all'interno dell'abitacolo di un'autovettura che non è considerare luogo di privata dimora in quanto spazio destinato normalmente al trasporto di persone e cose, sfornito dei conforti minimi per potervi risiere stabilmente per un apprezzabile lasso di tempo e compiervi atti della vita domestica […]»; Id., sez VI, 1.2.2007, D.A.; Id., sez. I, 1.12.2005, B.T; Id., sez. I, 27.1.2005, C; Id., sez. I, 16.12.2004, D'Auria Petrosino; Id., sez. II, 9.6.2006, B.A; Id., sez. I, 30.12.2009, Cavallo; Id., sez. II, 14.12.2009, L.A.; Id., sez. VI, 17.2.2009, P.P.G.; Id., sez. I, 20.12.2004, Bolognino; Id., sez. V, 25.5.2004, Bevilacqua; Id., sez. VI, 25.6.2002, Barilari; Si è pure giunti a ritenere irrilevante la questione di legittimità costituzionale dell'art. 266 cpp, circa l'omessa previsione della modalità di installazione di microspie nei luoghi di privata dimora, «[…] nei procedimenti in cui le intercettazioni siano state effettuate all'interno dell'abitacolo di un'autovettura, in quanto non è da considerare luogo di privata dimora […]»: Id., sez. VI, 24.4.2004, Loccisano; Id., sez. VI, 3.7.2003, Serra: secondo questa sentenza qualora sia stato ritualmente emesso il decreto di autorizzazione per effettuare un'intercettazione sull'autovettura dell'indagato, la mancata rinnovazione del decreto a seguito della sostituzione del veicolo, costituisce soltanto una mera irregolarità, dalla quale non dipende l'inutilizzabilità dell'intercettazione.

6 Cass pen, sez. I, 1.12.2005, Sarcone.

7 Cass pen, sez. VI, 26.11.2002, Brozzu.

8 Cass pen, sez. I, 10.8.2000, Nicchio; Id., sez. II, 10.6.1998, Zagaria.

9 G. DI CHIARA, Note in tema di circolazione di atti investigativi e probatori tra procedimenti diversi, Foro it., 1992, II, c. 77; G. DIOTALLEVI, Le condizioni di utilizzabilità delle intercettazioni realizzate in un diverso procedimento: le Sezioni Unite valorizzano un'interpretazione responsabile delle norme processuali, CP, 2005, p. 2294;

10 L. KALB, Le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni. Un problema cruciale per la civiltà e l'efficienza del processo e per le garanzie dei diritti. Atti del convegno, Milano, 5-7 ottobre, Milano, 2009, p. 301; P. BALDUCCI, Le garanzie nelle intercettazioni tra Costituzione e legge ordinaria, Milano 2002, p. 174; F. RUGGIERI, Divieti probatori e inutilizzabilità nella disciplina delle intercettazioni telefoniche, Milano, 2001, p. 102; L. FILIPPI, L'intercettazione di comunicazioni, Milano, 1997, p. 182; DE GREGORIO G.G., Diritti inviolabili dell'uomo e limiti probatori nel processo penale, Foro it. 1992, I, p. 3257; M. CIAPPI, Limiti all'utilizzabilità delle intercettazioni provenienti aliunde, DPP, 1996, p. 1242; A. CAMON, Le intercettazioni nel processo penale, Milano, 1996, p. 274. Quest'ultimo autore definisce l'art. 270 cpp come una “resa” del Legislatore: di fronte al progressivo sgretolamento della garanzia costituzionale della motivazione che ha ridotto la regola a una clausola quasi vuota, il Legislatore ha escogitato un rimedio ex post, bloccando la trasmigrazione delle intercettazioni verso altri processi. C.Cost. 23.7.1991, n. 366: la Corte costituzionale ha definito l'art. 270 cpp come l'”attuazione in via legislativa del giudizio di bilanciamento dei due valori costituzionali fra loro contrastanti: il diritto dei singoli individui alla libertà e alla segretezza delle loro comunicazioni e l'interesse pubblico a reprimere i reati e a perseguire in giudizio coloro che delinquono”. Cedu, 29.3.2005, Matheron c. Francia: La Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato la Francia per violazione dell'art. 8 Cedu perché l'impiego dei risultati di un'intercettazione disposta per un diverso procedimento potrebbe condurre a decisioni in grado di privare quelle persone nei cui confronti la prova viene utilizzata di una garanzia effettiva di controllo di legittimità di una prova, garanzia che risulta contenuta nell'Atto del 1991, che regola le intercettazioni telefoniche in Francia, il quale non opera alcuna distinzione, al riguardo, tra intercettazioni raccolte nel proprio procedimento e quelle raccolte in un altro procedimento. Il ricorrente, in tal modo, non ha potuto operare un effettivo controllo in punto di legittimità della prova. In termini analoghi si rinvia a: Cedu, 24.8.1998, Lambert c. Francia; Id., 24.4.1990, Huvig c. Francia; Id., 24.4.1990, Kruslin c. Francia.

11 Cass pen, sez. VI, 13.11.1995, Sindona: «[…] dall'inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche consegue necessariamente l'impossibilità di acquisire il contenuto delle stesse attraverso l'esame testimoniale delle persone che hanno provveduto al loro ascolto […]»; Id., sez. V, 9.6.1995, Cucciniello; Id., sez. I, 7.6.2007, Cavaliere.

12 Cass pen, SU, 20.11.1996, Glicora; Id., sez. IV, 28.1.2009, M.V.

13 Cass pen, sez. IV, 19.1.2010, V.M.: «[…] le intercettazioni che coinvolgono il ricorrente vennero disposte nell'ambito del procedimento inerente gli illeciti in ambito sanitario in cui egli operò assieme ad altri indagati, in detto settore professionale […] ed emergendo, dalle risultanze investigative, che le cessioni svolte dal ricorrente costituiscono esse stesse uno degli strumenti propulsivi del protocollo antigiuridico ivi monitorato. Ciò posto, ha già avuto occasione questa Suprema Corte di rilevare che il concetto di diverso procedimento, di cui all'art. 270 c.p.p., comma primo, non si estende fino ad escludere la possibilità di utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti concernenti indagini strettamente connesse e collegate, sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico al reato in ordine al quale il mezzo di ricerca della prova è stato disposto […] il termine diverso procedimento non equivale a diverso reato, e va collegato al dato della alterità o non uguaglianza del procedimento, in quanto instaurato in relazione ad una notitia criminis che derivi da un fatto storicamente diverso da quello oggetto di indagine nell'ambito di altro, differente, anche se connesso procedimento […]»; Id., sez. VI, 5.11.2009, M.T.; Id., sez. II, 20.10.2009, G.M.L; Id., sez. IV, 28.1.2009, M, per cui inoltre: «[…] il concetto di "diverso procedimento" va collegato al dato della alterità o non uguaglianza del procedimento, in quanto instaurato in relazione ad una notizia di reato che deriva da un fatto storicamente diverso da quello oggetto di indagine nell'ambito di altro, differente, anche se connesso, procedimento […]»; Id., sez. III, 13.11.2007, Ndoja; Id., sez. II, 3.2.2006, Polignano; Id., sez. II, 2.3.2006, P.; Id., sez. IV, 30.9.2005, M.V.; Id., sez. VI, 8.5.2003, F.; Id., sez. VI, 16.3.2004, Morelli; Id., sez. I, 26.9.2004, K; Id., sez. V, 21.1.2003, Settembrini; Id., sez. I, 1.12.2002, Semeraro; Id., sez. V, 31.5.2002, Argentata; Id., sez. I, 17.11.1999, Toscano; Id., sez. VI, 14.1.1999, Aliu; Id., sez. II, 1.7.2002, Cirillo; Id., sez. I, 11.12.1998, Tomasello (in concreto la Corte di Cassazione ha valutato, in rapporto a una misura cautelare della custodia in carcere per partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso, i risultati di un'intercettazione ambientale autorizzata in un altro procedimento a carico di ignoti per omicidio volontario); Id., sez. VI, 14.8.1998, Venturini; Id., sez. III, 14.4.1998, Romagnolo; Id., sez. VI, 25.2.1997, Gunnella; Id., sez. VI, 16.5.1997, Pacini Battaglia (nel caso di specie è riconosciuta l'utilizzabilità delle intercettazioni nei confronti di altro soggetto ove queste ultime risultino attivate sulla utenza di un imputato proprio al fine di individuare compiutamente i componenti di un' associazione mafiosa e accertarne le specifiche responsabilità); Id., sez. VI, 16.10.1995, Pulvirenti (nel caso di specie è riconosciuta l'utilizzabilità quali prove di reato di corruzione aggravata per atti contrari ai doveri di ufficio laddove poste per individuare compiutamente i componenti di un'associazione per delinquere e accertare le responsabilità dei singoli soggetti).

14 Cass, SU, 23.7.2014, n. 23697; si veda, infatti: Cass pen, sez. VI, 11.12.2014, n. 51670; Id., sez. III, 15.11.2012, n. 46244, Filippi; Id., II, 05.07.2013, n. 43434 Bianco; Id., sez. V, 25.5.2014, n. 21313;

 

15 Cass pen, sez. III, 3.7.1991, Cerra. Nel caso di specie si contempla un processo per evasione fiscale in cui il pm chiede l'acquisizione delle intercettazioni telefoniche eseguite nell'ambito di un procedimento contro l'associazione per delinquere costituita allo scopo di procedere a quel traffico illecito di capitali da cui era derivato l'imponibile evaso.

16 Cass pen, sez. VI, 27.3.2001, Cugnetto: fattispecie relativa al delitto di rivelazione di segreto d'ufficio avvenuta nel corso di una telefonata intercettata nell'ambito di un diverso procedimento; Id., sez. VI, 7.5.1993, Olivieri: «[…] le limitazioni probatorie, in tema di intercettazioni telefoniche da utilizzare in altri procedimenti, non valgono allorquando la bobina della registrazione viene ad essere essa stessa corpo di reato […]». Nel caso di specie sono state disposte intercettazioni telefoniche nell'ambito di un procedimento per omicidio, e si era poi proceduto a parte per il reato di favoreggiamento costituito da una telefonata, registrata nel corso di quelle intercettazioni, con la quale la titolare dell'utenza sotto controllo viene avvertita che all'indomani sarebbe stata effettuata una perquisizione; in termini conformi si veda inoltre: Id., sez. VI 3.4.2003, C. secondo cui, in tema di intercettazioni telefoniche da utilizzare in altri procedimenti, le limitazioni probatorie di cui all' art. 270 cpp non valgono allorquando la comunicazione intercettata costituisce essa stessa condotta delittuosa, che, imprimendosi contestualmente alla commissione sul supporto magnetico registrante, lo rende corpo di reato (fattispecie relativa a conversazione estorsiva nell'ambito di un procedimento, utilizzata in un diverso procedimento quale saggio fonico a fini di consulenza); Id., sez. VI, 18.12.2007, C: «[…] qualora la comunicazione intercettata costituisca essa stessa una condotta delittuosa, la sua acquisizione deve essere inquadrata nelle norme che regolano l'uso processuale del corpo di reato e non si applicano, pertanto, le limitazioni probatorie di cui all'art. 270 cod. proc. pen. [...]» (Fattispecie nella quale l' intercettazione riguardava la comunicazione con cui l'imputato, appartenente all'Arma dei Carabinieri, aveva avvertito il latitante di un'imminente operazione volta proprio alla sua cattura); Id., sez. VI, 21.2.2003, Di Canosa.

17 Cass pen, sez. VI, 4.9.2001, Ruggiero. In applicazione di tale principio la Corte ha escluso che nel procedimento relativo al reato di segreto d'ufficio commesso mediante una comunicazione telefonica su una utenza soggetta per altre ragioni ed in un diverso procedimento ad intercettazione, la registrazione potesse in ogni caso essere utilizzata come corpo di reato.

18 Cass pen, sez. VI, 29.5.2009, I.F.; Id., sez. VI, 11.7.2005, T. Fattispecie nella quale la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata, per violazione dell' art. 270, in quanto la fattispecie di millantato credito si era realizzata, oltre che con le richieste telefoniche di danaro, con il successivo accordo per l'interessamento presso i pubblici funzionari e con la consegna del danaro; Id., sez. VI, 25.5.2005, T.S.: «[…]le limitazioni probatorie di cui all'art. 270 c.p.p. non si applicano quando la comunicazione intercettata costituisca essa stessa condotta delittuosa, divenendone pertanto " corpo di reato ", ma non quando essa ne rappresenti solo un frammento, non esaurendosi la fattispecie criminosa con le conversazioni intercettate […]».

19Cass pen, sez. V, 23.6.2005, Vattese; Id., sez. I, 7.7.2004, Boccuni; Id., sez. VI, 30.09.2004, Floridia; Id., sez. V, 14.11.1997, Paolini.

20 Si rinvia alla nota n. 16 per i dettagli sui casi di specie.


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