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Data: 13/01/2015 19:00:00 - Autore: Daniele Profili di Daniele Profili L'oggettività giuridica sottesa al titolo III del c.p.m.p. riguarda condotte lesive della disciplina militare e viene assunta a motivo di incriminazione, e dunque oggetto di tutela penale, nella misura in cui questa sia funzionale alla tutela del servizio, sia generico che specifico. In altri termini è corretto affermare che anche i reati contro la disciplina, in realtà, sono offensivi del servizio. Pertanto, nella misura in cui determinati comportamenti ledano o mettano in pericolo questo bene giuridico divengono penalmente rilevanti. La “disciplina” viene intesa come compendio dei doveri che discendono dallo status militis e l'inosservanza di tali doveri, qualora previsti dalla legge penale militare, è oggetto di presidio penale mentre, nei rimanenti casi, costituisce mancanza disciplinare ai sensi dell'art. 38 c.p.m.p. Tra i reati contro la disciplina una figura particolare è costituita dai reati di sedizione, previsti dal c.p.m.p., le cui figure principali sono: 1) l'attività sediziosa prevista e punita dall'art. 182; 2) le manifestazioni sediziose sanzionate dall'art. 183. La nozione di seditio, che in generale richiama termini quali divisione o disordine, se inquadrata nel contesto penale militare, diverge in modo sensibile dalla nozione richiamata in omonimi reati comuni. Nell'ambito del c.p., infatti, rileva la pericolosità della condotta per il mantenimento dell'ordine pubblico e l'offesa della pubblica autorità. Nel c.p.m.p., invece, la sedizione è un'attività che si svolge in un ambito separato rispetto alla restante collettività e ciò che viene posto in discussione non è la pubblica autorità in genere ma l'autorità militare. Quindi ciò che rileva non è porre in pericolo l'ordine pubblico, inteso come interesse generale alla prevenzione dei reati, ma quello che può essere definito come l'”ordine pubblico militare”, ovvero l'ordine che poggia sul compendio dei doveri espressi dalla disciplina militare la cui inosservanza può astrattamente incidere sulla coesione interna della collettività militare. Il reato di sedizione non deve essere inoltre confuso con quello di istigazione, le cui fattispecie sono previste agli artt. 212 e 213 c.p.m.p.. La differenza fondamentale è che mentre nella sedizione il comportamento del soggetto crea un pericolo alla coesione della collettività militare, nella istigazione, invece, la condotta è mirata a persuadere altri militari a commettere reati militari o a disobbedire alle leggi. Andiamo ora ad analizzare le due fattispecie dei reati di sedizione di cui sopra. La prima, prevista dall'art. 182, punisce il militare che svolge un'attività diretta a suscitare in altri militari il malcontento per la prestazione del servizio alle armi o per l'adempimento di servizi speciali. Si tratta di un reato di pericolo, pertanto non è necessario che si produca effettivamente alcun malcontento ma è sufficiente che l'attività comunicativa rivolta ad altri militari sia idonea a determinarlo in astratto. A tal proposito non risultano rilevanti neanche i fini per i quali la condotta viene posta in essere. Ad esempio viola il precetto penale il soggetto che pone in essere condotte riconducibili al predetto art. 182 anche se le intenzioni che animano il suo comportamento sono quelle di costruire un esercito migliore, se tale fine si persegue creando malcontento per la prestazione del servizio nelle attuali condizioni. Al riguardo, inoltre, è da ritenersi infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo in questione in riferimento all'art. 21 della Costituzione inerente la libertà di pensiero. La Corte Costituzionale, infatti, con sentenza n. 30 del 11.02.1982 ha stabilito che non si configura come reato la puntuale critica, anche aspra, degli ordinamenti militari o la protesta, su di un singolo problema, in ordine all'operato di un determinato superiore che sia inquadrabile quale rivendicazione a sfondo o di indole sindacale. Il soggetto attivo del reato è il militare senza ulteriori specificazioni, anche se, a ben vedere, la soggettività è da ritenersi estesa anche all'estraneo alle forze armate in base al disposto di cui all'art. 14. Infine, è importante tener presente che non è necessaria una pluralità di atti per integrare il reato, come potrebbe sembrare dalla nozione di attività che viene evinta dalla lettura dell'articolo, ciò in quanto la giurisprudenza ha ritenuto sanzionabile penalmente anche un singolo atto. Contigua all'attività sediziosa è la incriminazione di cui al successivo art. 183 ove vengono sanzionate le manifestazioni e le grida sediziose del militare effettuate in pubblico, qualora il fatto non costituisca più grave reato. Ciò in quanto non tutte le manifestazioni pubbliche costituiscono manifestazione sediziosa (che potrebbero integrare altre fattispecie di reato più grave, come riportato nello stesso articolo), ma tali sono quelle che esprimono un atteggiamento psicologico di ribellione all'ordinamento e alla legittima autorità dei superiori. Il connotato della sedizione è stato ravvisato dalla giurisprudenza, ad esempio, nella astensione collettiva dal rancio così come nell'osservanza di un minuto di silenzio durante il rancio, se astensione e silenzio siano protesta contro i superiori. Il fatto per essere punibile deve essere effettuato in pubblico e, al riguardo, integra il requisito della pubblicità l'iscrizione di frasi a fini di protesta sulle pareti esterne di una garitta, costituenti esse un mezzo di propaganda riconducibile alla nozione legislativa contenuta nell'art. 266, ultimo comma, n. 1, c.p.p.. Concludendo il soggetto attivo del reato di cui all'art. 183 è esclusivamente il militare in senso generico e non anche l'estraneo alle FF.AA. come per il precedente art. 182. Daniele PROFILI – daniele.profili@gmail.com |
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