Data: 18/01/2015 10:30:00 - Autore: Marina Crisafi

Ai fini dell'integrazione del delitto di violenza privata, l'elemento oggettivo deve essere “costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l'effetto di costringere taluno a fare, tollerare od omettere una condotta determinata”. In assenza di tale determinatezza, possono integrarsi, invece, “i reati di minaccia, molestia, ingiuria, percosse, ma non, per l'appunto, quello di violenza privata”.

A stabilirlo è la quinta sezione penale della Cassazione (con sentenza n. 1215 del 13 gennaio 2015) annullando la condanna di un uomo, imputato del delitto di cui all'art. 610 c.p. (oltre che dei reati di minacce, ingiurie e danneggiamento) per avere tenuto la vittima di una tentata rapina “schiacciata” contro la portiera di un'automobile. 

Richiamando l'orientamento consolidato in materia, la S.C. ha spiegato che il delitto di violenza privata “non è configurabile qualora gli atti di violenza e di natura intimidatoria integrino, essi stessi, l'evento naturalistico del reato, vale a dire il patì cui la persona offesa sarebbe stata costretta”.

In definitiva, hanno affermato gli Ermellini, “l'evento del reato, nell'ipotesi del ricorso alla violenza, non può coincidere con il mero attentato all'integrità fisica della vittima o anche solo con la compressione della sua libertà di movimento conseguente e connaturata all'aggressione fisica subita” e perciò nel caso di specie, la spinta della vittima contro la portiera dell'auto non può integrare l'evento tipico del reato, “costituendo l'in sé dell'azione violenta strumentale alla sua realizzazione”.

Su quest'assunto la Corte ha perciò annullato la sentenza, limitatamente al capo di imputazione del reato di violenza privata, invitando il giudice di rinvio ad attenersi ai principi affermati e ribadendo la sua libertà di valutare l'eventuale sussistenza dei presupposti del reato di percosse


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