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Data: 09/02/2015 19:00:00 - Autore: Avv. Eraldo Quici L'evoluzione ontologica del danno morale, a cura dell' Avv. Eraldo Quici. Nel corso degli ultimi sette anni, la natura del danno morale ha subìto un radicale mutamento da parte della Suprema Corte di Cassazione. Attraverso le cd. “sentenze di San Martino”, i giudici del Palazzaccio hanno ridefinito l'essenza ed i confini del pregiudizio morale, dotandolo di una propria autonomia. L'origine di questa evoluzione è da ricercarsi nella sent. Cass. SS.UU. nr. 26972 del 2008, nella quale si è stabilito che il danno non patrimoniale è una categoria generale non suscettibile di frazionamenti in eventuali sottocategorie. Nella decisione appena citata, pertanto, i giudici di legittimità hanno evidenziato l'univocità della natura del danno non patrimoniale, ritenendo, tuttavia, ancora il danno morale come parte integrante di quello più ampio e generale del biologico; mancava, in sostanza, il riconoscimento dell'autonomia del primo rispetto al secondo. Sul piano processuale, una simile impostazione comportava l'esclusione della richiesta di condanna al risarcimento di entrambi i pregiudizi, in quanto la stessa era intesa come ultronea duplicazione di una medesima voce. L'orientamento giurisprudenziale sul tema de quo mutò ben presto, riconoscendosi sempre più l'autonomia ontologica del danno morale rispetto a quello biologico. Il punto di demarcazione tra i due elementi fu individuato dalla Suprema Corte nel testo costituzionale. Difatti, il danno biologico, inteso come menomazione dell'integrità psico-fisica di un soggetto, è stato collocato nell' alveo di tutela dell'art. 32 della vigente Costituzione, mentre il pregiudizio morale, definito come turbamento dell'animo ed insieme di sofferenze patite dall' individuo, ha trovato (e trova ancora) legittimazione essenzialmente negli artt. 2 e 3 della nostra Magna Carta. Gli Ermellini, dunque, hanno inquadrato due distinte situazioni soggettive: la lesione del diritto alla salute (danno biologico), e l'offesa alla dignità umana (danno morale). La prima storica sentenza che ha decretato l'autonomia ontologica del pregiudizio morale, è stata la nr. 24082/2011 della III Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione. I giudici di legittimità sono stati chiamati in causa per rovesciare la decisione adottata dalla Corte di Appello di Catanzaro in merito alla vicenda di un padre che aveva perso la figlia a seguito di un sinistro stradale. Il giudice calabrese aveva respinto la richiesta di risarcimento del pregiudizio morale subìto, non riconoscendo al ricorrente il cd. danno morale riflesso da morte di un congiunto. La Cassazione, accogliendo il ricorso, ha invece statuito che il danno morale riflesso può essere individuato ed identificato indipendentemente dall' esistenza dell'insorgere di una patologia (come, al contrario, sosteneva il giudice di merito). Secondo la Suprema Corte, il danno morale trova causa diretta ed immediata nel medesimo fatto dannoso, (l'incidente mortale), mentre la prova del pregiudizio riflesso può essere dedotta dal vincolo familiare di coabitazione che i congiunti avevano con la vittima. In tale maniera, è stata fortemente sottolineata l'autonomia del danno morale, pur in assenza di una specifica offesa di tipo biologica. Lo svincolo del primo elemento da quello biologico è stato infine ribadito dalla recente sentenza nr. 811 del 2015. La Cassazione è stata chiamata a giudicare il caso di un ragazzo travolto a bordo del suo ciclomotore da una cisterna; in sede di Appello, i congiunti del giovane si erano visti ridotti l'entità del risarcimento del danno morale, in quanto quello biologico risultava essere di lieve consistenza. I congiunti del ragazzo, nel ricorso presentato alla S.C., adducevano una falsa applicazione dell'art. 2059 c.c. da parte del giudice di merito in ordine al quantum del pregiudizio morale patito. La Corte di Cassazione, ribaltando il precedente esito decisionale, e richiamando apertamente le storiche sentenze di San Martino del 2008, ha stabilito che la valutazione del danno morale, inteso come entità autonoma, deve essere effettuata caso per caso, senza che il pregiudizio biologico funga da riferimento assoluto e necessario. La quantificazione della lesione morale subìta prescinde in toto da quella relativa al danno biologico: se questo risulta essere lieve, pertanto, non significa che l'altro tipo di pregiudizio non debba essere valutato autonomamente, e che non possa essere rilevante. In definitiva, possiamo oggi confermare che l'evoluzione ontologica del danno morale sia terminata con una netta affermazione della propria indipendenza rispetto al pregiudizio biologico. Avv. Eraldo Quici |
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