Data: 11/02/2015 12:00:00 - Autore: Prof. Luigino Sergio

Prof. Luigino Sergio

SOMMARIO: 1. Il fatto. 2. Inquadramento giuridico del controllo analogo. 3. La posizione della Corte dei Conti sul controllo analogo del Comune sulle società interamente partecipate da soggetti pubblici. 4. Conclusioni.

1. Il fatto: La Corte dei Conti, Sezione Regionale di Controllo per la Lombardia, con proprio atto n. 15/2015/PRSE  ha esaminato la relazione redatta dai revisori dei conti del Comune e della Provincia di Mantova, trasmessa ai giudici contabili, ai sensi della L. 23 dicembre 2005 n. 266, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006), art. 1, comma 166, il quale dispone che: «gli organi degli enti locali di revisione economico-finanziaria trasmettono alle competenti sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti una relazione sul bilancio di previsione dell'esercizio di competenza e sul rendiconto dell'esercizio medesimo».

Dall'esame della relazione di cui supra è emersa la cospicua perdita da parte di una società a capitale pubblico, partecipata dal Comune e dalla Provincia (Valdaro s.p.a.), all'epoca dei fatti a partecipazione maggioritaria dell'amministrazione comunale con il 62,5% delle quote, la cui mission concerne:

- acquisizione, costruzione, vendita e cessione, in uso, in affitto o leasing, permuta, gestione e amministrazione, di aree, beni immobili ed impianti finalizzati allo sviluppo del territorio compresa la progettazione e la realizzazione di opere pubbliche infrastrutturali e di urbanizzazione;

- promozione, realizzazione di servizi di assistenza tecnica e commerciale alle imprese;

- promozione, realizzazione e gestione di servizi nel campo del trasporto intermodale e della logistica;

- possibile assunzione di interessenze, quote o partecipazioni anche azionarie, in società di capitali, imprese, consorzi ed enti anche di tipo associativo aventi scopi affini, analoghi, complementari o strumentali al proprio;

- gestione su delega dei Piani per gli Insediamenti Produttivi (P.I.P.) di Mantova, San Giorgio e Roncoferraro.

 

Dalla lettura della relazione de qua risultava che la società partecipata, pur disponendo di un cospicuo patrimonio, rappresentato da circa 750.000 mq. di aree a destinazione industriale, si trovava in gravi difficoltà di cassa, causate dagli acquisti e dalle urbanizzazioni delle aree medesime, poiché vi erano stati dei notevoli ritardi concernenti la vendita in tempi idonei, delle suddette aree a causa della grave crisi economica generale che, di fatto, aveva provocato l'interruzione degli investimenti industriali.

 

A seguito di tale situazione la società, per finanziare gli investimenti, aveva contratto un rilevante indebitamento con il sistema bancario (pari a 22.000.000 di euro di esposizione), con conseguente aggravio d'interessi passivi, il cui peso era diventato difficilmente sostenibile sul conto economico della società medesima, proprio a causa della mancata continuità nella vendite delle aree; fatto che aveva indotto l'organo assembleare a deliberare la ricapitalizzazione della società, sottoscritta in massima parte dal Comune.

 

L'elevato indebitamento sorto in conseguenza dell'acquisto delle aree e la conseguente necessità di pagare gli interessi sul debito, a fronte della quale non si erano generate entrate per effetto delle mancate vendite, aveva portato al risultato della perdita di esercizio della società in questione.

 

L'amministrazione comunale, ritenendo sussistere le condizioni per il rilancio della Società, in data 4 dicembre 2013, aveva partecipato all'assemblea straordinaria, con la quale i soci avevano deliberato la riduzione del capitale sociale da euro 1.342.640 sino ad euro 228.507 a copertura delle perdite e contestualmente l'aumento del capitale da euro 228.507 ad euro 1.229.032, per la quale operazione il Comune aveva accantonato negli oneri straordinari della gestione 625.308,76 euro, necessari per la sottoscrizione dell'aumento di capitale.

 

Diversamente la società, al fine di ridurre i costi, ha posto in cassa integrazione il personale; ha disdetto a partire dal mese di luglio il contratto del direttore; ha richiesto agli istituti bancari creditori una moratoria per il primo semestre nel pagamento degli interessi sul debito.

 

2. Inquadramento giuridico del controllo analogo: Il controllo analogo rappresenta una delle condizioni previste dall'ordinamento comunitario e interno perché gli enti locali possano affidare un contratto di lavori pubblici o di pubblici servizi ad una società a capitale interamente pubblico.

 

Il riferimento concernente il diritto positivo del controllo analogo era dapprima incluso nel d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, art. 113, comma 5, abrogato dall'art. 12, comma 1, lett. a) del d.p.r. 7 settembre 2010, n. 168, Regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell'articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133; successivamente il riferimento normativo venne contenuto nel d.l. 25 giugno 2008, n. 112,  Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria (convertito in legge con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 6 agosto 2008, n. 133), art. 23-bis, comma 3 (ora abrogato  dall'art. 1, comma 1, d.p.r. 18 luglio 2011, n. 113, a decorrere dal 21 luglio 2011, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1, comma 2, del medesimo d.p.r. n. 113/2011), il quale prevedeva che: «in deroga alle modalità di affidamento ordinario [della gestione dei servizi pubblici locali] di cui al comma 2, per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l'affidamento può avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico, partecipata dall'ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall'ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta “in house” e, comunque, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società e di prevalenza dell'attività svolta dalla stessa con l'ente o gli enti pubblici che la controllano».

 

L'articolo 113-bis, Gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica del TUEL, al comma 1 prevede che: «Ferme restando le disposizioni previste per i singoli settori, i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica sono gestiti mediante affidamento diretto a:

a)  istituzioni;

b)  aziende speciali, anche consortili;

c)  società a capitale interamente pubblico a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano»[1].

 

Il “vuoto normativo” per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, nell'ordinamento nazionale è stato determinato dall'abrogazione referendaria dell'articolo 23-bis del d.l. n. 112/2008 e, quindi, dalla dichiarazione di incostituzionalità dell'articolo 4 del d.l. n. 138/2011 (Corte Costituzionale, Sentenza 17 – 20 luglio 2012, n. 199).

 

Successivamente, con il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese, art. 34, comma 20, il legislatore, per i soli servizi pubblici a rilevanza economica, ha previsto che: «per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l'economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l'affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell'ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste».

 

Di seguito il d.l. 23 dicembre 2013, n. 141, Interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia”, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015, all'art. 13, comma 25-bis,                                  

(convertito in legge, 21 febbraio 2014, n. 9, recante interventi urgenti di avvio del piano «Destinazione Italia», per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei premi RC-auto, per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015), ha previsto che «gli enti locali sono tenuti ad inviare le relazioni di cui all'articolo 34, commi 20 e 21, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, all'Osservatorio per i servizi pubblici locali, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie già disponibili a legislazione vigente e comunque senza maggiori oneri per la finanza pubblica, che provvederà a pubblicarle nel proprio portale telematico contenente dati concernenti l'applicazione della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica sul territorio».

 

Ad oggi non essendo prevista una specifica disciplina nazionale, gli affidamenti di servizi pubblici sono regolati dai principi del diritto comunitario; l'articolo 14 ed il Protocollo 26 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea non prevedono un particolare modello gestionale per i servizi di “interesse generale”[2].

 

Dunque le amministrazioni locali possono decidere di:

- auto-produrre i servizi in economia, ovvero in house providing;

- commissionare i servizi a terzi selezionati con procedure ad evidenza pubblica;

- instaurare rapporti di partnership pubblico-privato scegliendo con gara l'operatore privato.

 

Il requisito prescritto dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale, per configurare il controllo analogo da parte di un ente locale socio è desumibile confrontando la fondamentale sentenza della Corte di Giustizia 18 novembre 1999, C-107/1998, Teckal, nonché la sentenza 11 gennaio 2005, C-26/2003, Stadt Halle e la sentenza 13 ottobre 2005, C-458/2003, Parking Brixen; quindi, le sentenze del Consiglio di Stato n. 7636-2004, 962-2006, 1513-2007, Ad. Plenaria 1-2008, 2765-2009, 5808-2009, 7092-2010 ed 1447-2011; le pronunce della Corte di Cassazione, ordinanze 5 aprile 2013, n. 8352, 3 maggio 2013, n. 10299 e sentenza SS.UU. 25 novembre 2013, n. 26283; nonché le sentenze della Corte Costituzionale 20 marzo 2013, n. 46 e 28 marzo 2013, n. 50).

 

Ora il Consiglio di Stato, con la sentenza della Sezione V, n. 1181 del 13 marzo 2014 dà l'occasione di approfondire per approfondire il concetto di «controllo analogo», che le amministrazioni locali debbono esercitare sulle società pubbliche affinché siano legittime le gestioni in house providing dei servizi.

 

Il massimo Giudice amministrativo ha precisato che il controllo analogo, per ritenersi tale, deve tradursi «in un potere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione dell'attività riferita a tutti gli atti di gestione straordinaria e agli aspetti che l'ente concedente ritiene opportuni di quella ordinaria».

 

La gestione in house, dunque, è una modalità di auto-produzione dei servizi, al pari della gestione diretta in economia; ne deriva che le società pubbliche destinatarie di affidamenti in house debbono sottostare a determinate condizioni che rendano effettiva l'autoproduzione:

- l'amministrazione deve esercitare sulle stesse il «controllo analogo» a quello che svolge su strutture e servizi propri;

- il capitale sociale deve essere interamente pubblico, non cedibile ai privati;

- l'attività deve essere svolta prevalentemente, se non unicamente (servizi strumentali), a beneficio dell'amministrazione proprietaria.

 

Il controllo analogo non è di matrice civilistica, paragonabile al controllo esercitato dalla maggioranza assembleare nei confronti del consiglio d'amministrazione della società; è un controllo di tipo amministrativo, simile ad un controllo amministrativo di natura gerarchica in quanto la società in house è in realtà assimilabile nella sostanza ad un ente pubblico[3].

 

È necessario che l'ente locale partecipante alla società in house presti particolare attenzione all'intensità del controllo che deve svolgersi sia sugli organi che sulla gestione[4]. Sugli organi l'ente locale deve avere il potere di nomina e revoca quanto meno della maggioranza dei componenti degli organi di gestione, di amministrazione e di controllo; sull'attività gestionale l'ente locale territoriale, in aggiunta al potere di direttiva e di indirizzo, deve poter autorizzare o annullare gli atti più importanti della società, come il bilancio, i contratti che superino un determinato importo ed in generale gli atti più qualificanti della gestione che non si risolvano in meri atti ordinari e burocratici[5].

 

La Corte di Giustizia si è espressa in merito al rapporto tra controllo analogo e proprietà al 100% del capitale sociale[6]; la Cortedi Giustizia ha stabilito che il possesso della totalità del pacchetto sociale non è sufficiente a garantire l'effettivo controllo da parte dell'ente pubblico. Di conseguenza è necessario che il consiglio di amministrazione della società in house non disponga di rilevanti poteri gestionali e che l'ente pubblico affidante eserciti «poteri di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli tipici del diritto societario» che, al contrario, si caratterizzano per un margine di rilevante autonomia della governance rispetto alla maggioranza azionaria; pertanto è indispensabile che tutte le decisioni più importanti siano sempre sottoposte all'esame preventivo dell'ente affidante.

 

Ciò detto occorre evidenziare, altresì, che per il Giudice amministrativo, i vincoli devono «tradursi in pertinenti clausole statutarie che comprimano del tutto, nel senso sopra precisato, i poteri dell'organo di amministrazione»[7].

 

La sussistenza del «controllo analogo» viene esclusa in presenza di una compagine societaria composta anche da capitale privato, essendo necessaria la partecipazione pubblica totalitaria.

 

Infatti, la partecipazione (pure minoritaria) di un soggetto privato al capitale di una società, alla quale partecipi anche l'amministrazione aggiudicatrice, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare su detta società un controllo analogo a quello che essa svolge sui propri servizi[8].

 

È indispensabile che l'ente pubblico possegga tutto il pacchetto azionario della società affidataria[9].

 

Tuttavia, la partecipazione pubblica totalitaria è condizione necessaria ma non sufficiente[10], essendo necessari maggiori strumenti di controllo da parte dell'ente rispetto a quelli previsti dal diritto civile:

 

Nel caso di specie:

a) lo statuto della società non deve consentire che una quota del capitale sociale, anche minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati[11];

b) il consiglio di amministrazione della società non deve avere rilevanti poteri gestionali e all'ente pubblico controllante deve essere permesso di esercitare poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario assegna alla maggioranza sociale[12];

c) l'impresa non deve avere acquisito una tipologia commerciale che rende incerto il controllo societario da parte dell'ente pubblico[13];

d) le decisioni più importanti devono essere sottoposte all'esame preventivo dell'ente affidante[14].

 

Si evince come il solo controllo societario totalitario non dia garanzia della ricorrenza dei presupposti dell'in house, essendo necessaria pure un'influenza determinante da parte del socio pubblico, tanto sugli obiettivi strategici, quanto sulle decisioni importanti[15].

 

Ad avviso dei giudici amministrativi siciliani[16], in aggiunta alla necessaria totale proprietà del capitale da parte del soggetto pubblico, è stato ritenuto essenziale il concorso di ulteriori fattori, idonei a realizzare una forma di controllo effettiva e non solo formale, come:

- il controllo del bilancio;

- il controllo sulla qualità della amministrazione;

- il diritto di esercitare poteri ispettivi diretti e concreti;

- la totale dipendenza dell'affidatario diretto concernente le strategie e le politiche aziendali.

 

Nella sostanza, lo si ribadisce, il controllo analogo si articola nel controllo sugli obiettivi gestionali; nel controllo strutturale nei confronti degli organismi societari; nel controllo sull'attività della società partecipata, le cui modalità di esercizio sono contemplate nel contratto di servizio.

 

L'ente affidante ha il dovere il assegnare gli obiettivi strategici alla società in house e una volta che essi sono stati affidati ha il conseguente obbligo di monitorarli, al fine della loro verifica e delle eventuali azioni correttive, in relazione agli eventuali squilibri di natura economico-finanziaria riscontrati che hanno ripercussione nel bilancio proprio dell'ente affidante.

 

Il “vecchio” art. 170, comma 6, del d.lgs. n. 267/2000, prevedeva che per gli organismi gestionali dell'ente locale, la relazione previsionale e programmatica dovesse indicare anche gli «obiettivi che si intendono raggiungere, sia in termine di bilancio che in termini di efficacia, efficienza ed economicità del servizio».

 

L'attuale art. 170 del TUEL fa riferimento al Documento unico di programmazione[17]; TUEL che contiene il lavoro per obiettivi che va perseguito anche per le società partecipate, previste dall'art. 11-quinquies del d.lgs. n. 118/2014[18].

 

Le società a totale partecipazione pubblica hanno, conseguentemente, l'obbligo di organizzare le complessive risorse aziendali, rispettando gli obiettivi ad esse assegnati ed allestendo al loro interno un sistema di controllo, finalizzato al perseguimento degli obbiettivi strategici e di gestione di propria competenza e realizzando le condizioni perché tra l'ente affidante e la società affidataria dei servizi pubblici vi sia una sorta di feedback, di scambio d'informazioni verso l'ente locale, con il fine di rilevazione degli scostamenti; della valutazione del percorso aziendale e dell'attivazione di eventuali azioni correttive.

 

Relativamente alla ritenuta eccezionalità dell'in house, è da ribadire che tale istituto più che una eccezione al diritto comunitario degli appalti e delle concessioni, è espressione di un principio generale: il principio di autoorganizzazione ovvero di autonomia istituzionale; principio di autonomia istituzionale che è stato più volte affermato a livello comunitario.

 

Infatti nella Risoluzione 14 gennaio 2004 del Parlamento europeo concernente il Libro verde sui servizi di interesse generale [COM (2003) 270-2003/2152(INI)], al punto 35, si formula l'auspicio che, in ossequio al principio di sussidiarietà, venga riconosciuto il diritto degli enti locali e regionali di “autoprodurre” in modo autonomo servizi di interesse generale a condizione che l'operatore addetto alla gestione diretta non eserciti una concorrenza al di fuori del territorio interessato».

 

Il d.l. 6 luglio 2012 n. 95, Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 135, all'art. 4, comma 8, prevede che «a decorrere dal 1° gennaio 2014 l'affidamento diretto può avvenire solo a favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house. Sono fatti salvi gli affidamenti in essere fino alla scadenza naturale e comunque fino al 31 dicembre 2014».

 

Tutto ciò detto, è necessario, giunti a questo punto, soffermarsi sul parere del Consiglio di Stato, n. 298 del 30 gennaio 2015, attraverso il quale il supremo organo di giustizia amministrativa dà via libera agli appalti in house senza evidenza pubblica, assegnati, ed è questa la novità, anche a società pubbliche partecipate da privati, sulla base dei principi posti in essere dalla Direttiva europea sugli appalti 24/2014 (allo stato ancora da recepirsi nell'ordinamento nazionale) che crea un ulteriore percorso concernente gli affidamenti diretti a tali società; affidamenti possibili, a parere dei giudici del Consiglio di Stato, se vi è «controllo analogo» e se esiste il tetto pari all'80% dei servizi svolti a favore dei controllanti, mentre il restante 20% può essere raccolto sul mercato; affidamenti in house possibili anche in presenza di capitali privati, a condizione che tale partecipazione non comporti un'influenza dominante.

 

3. La posizione della Corte dei Conti sul controllo analogo del Comune sulle società interamente partecipate da soggetti pubblici: La Corte dei Conti, Sezione Regionale di Controllo per la Lombardia, nel proprio atto n. 15/2015/PRSE esamina dapprima la natura giuridica della società partecipata Valdaro s.p.a. e la natura giuridica dell'attività svolta dalla Valdaro s.p.a.; quindi, prima del dispositivo, analizza i profili di diseconomicità dell'attività della Valdaro s.p.a. e le conseguenze derivanti dai risultati negativi della gestione.

 

La Valdaro s.p.a. è un soggetto partecipato dal Comune di Mantova, dalla Provincia di Mantova, da tre Comuni e dalla locale Camera di Commercio; dunque essa è partecipata interamente da cinque enti locali territoriali e da un ente pubblico dotato di autonomia funzionale[19] (Camera di Commercio).

 

Con riferimento al requisito del c.d. «controllo analogo», emerge che:

i) gli obiettivi delle stessa sono definiti nell'assemblea di rinnovo delle cariche sociali;

ii) il bilancio dell'azienda viene trasmesso agli uffici comunali prima dell'approvazione in assemblea, per i previsti controlli e le eventuali osservazioni;

iii) attraverso apposite analisi di bilancio, effettuate dal Servizio controllo di gestione del comune, si procede al controllo dell'andamento societario, nonché a suggerire eventuali azioni di miglioramento.

 

Del resto la giurisprudenza comunitaria ammette anche l'esistenza di società in house pluripatecipate, laddove il «controllo analogo» sia riscontrabile nei poteri esercitabili congiuntamente dagli enti di riferimento[20].

 

Al fine di analizzare se la società Valdaro s.p.a. si situi nell'alveo delle società in house, i giudici contabili hanno già avuto modo di precisare[21] che:

«- l'organismo societario in house si caratterizza per la presenza totalitaria di capitale pubblico versato dall'ente o dagli enti pubblici di riferimento, nonché dalla necessaria direzione della preponderante parte dell'attività societaria in favore dell'amministrazione che partecipa alla compagine societaria.

- oltre alla dotazione di capitale pubblico, l'attività sociale deve essere condotta a favore dell'amministrazione di riferimento, in modo analogo alle modalità di erogazione di un servizio pubblico o di un servizio strumentale poste in essere da un ufficio o da un organo dell'ente locale.

- la società in house è in sostanza un braccio operativo della pubblica amministrazione, nei cui confronti la medesima esercita i poteri di direzione, vigilanza, controllo e indirizzo della gestione, del tutto simili ai poteri tipici di diritto amministrativo esercitati sui propri uffici e organi».

 

Con riguardo alla natura giuridica dell'attività espletata dalla società Valdaro s.p.a., la Corte dei Conti evidenzia che in termini astratti lo strumento societario si caratterizza per una relazione di sostanziale incompatibilità rispetto all'utilizzazione da parte di pubbliche amministrazioni, poiché esso è mezzo per il conseguimento di utili che possano remunerare l'iniziale conferimento di capitale; ne consegue che tale modello spesso presente in relazione a entità pubblicistiche può più semplicemente motivarsi con la necessità di utilizzazione di un esempio caratterizzato da particolare duttilità e flessibilità o almeno ritenuto tale al confronto del più tradizionale strumento dell'azienda autonoma (o speciale).

 

Il d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla L. 4 agosto 2006 n. 248, nonché la L. 24 dicembre 2007, n. 244, (legge finanziaria per il 2008, art. 3), dispone che gli enti locali possono costituire società (di diritto pubblico) al solo fine di svolgere, alternativamente:

a) attività di produzione di beni e servizi strettamente necessari al perseguimento delle finalità istituzionali proprie dell'ente di riferimento (società c.d. strumentali);

b) attività di produzione di servizi di interesse generale e, cioè, che forniscono servizi di committenza a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici, fermo restando che tali società devono avere un oggetto sociale esclusivo e non possono cumulare le proprie finalità con quelle di una società strumentale.

 

Al fine di verificare se l'attività della Valdaro s.p.a. debba essere ascritta alla tipologia a) oppure alla tipologia b), i giudici contabili rilevano che l'oggetto sociale della società Valdaro s.p.a., desunto testualmente dall'art. 4 dello statuto, è il seguente:

«La società Valdaro s.p.a. viene costituita al fine di promuovere e sostenere lo sviluppo economico ed imprenditoriale nell'interesse della comunità locale. Per il conseguimento delle sopra indicate finalità, la società potrà compiere, sia in Italia che all'estero, le seguenti attività:

a) acquisizione, costruzione, vendita e cessione, in uso o in affitto, permuta, gestione ed amministrazione, di aree, beni immobili ed impianti finalizzati a supportare lo sviluppo del territorio, ivi compresa la progettazione e realizzazione di opere pubbliche, infrastrutturali e di urbanizzazione, da affidarsi all'esterno nel rispetto del Codice dei Contratti pubblici;

b) la progettazione e la realizzazione, per conto degli Enti Pubblici Territoriali soci o, previa apposita convenzione, per conto di altri Enti Pubblici Territoriali, di Piani per Insediamenti Produttivi, di opere pubbliche, infrastrutturali e di urbanizzazione con poteri di esproprio su delega dell'Ente Pubblico Territoriale interessato, anche tramite affidamenti a terzi ai sensi del Codice dei contratti pubblici;

c) promozione e realizzazione di servizi di assistenza tecnica e commerciale alle imprese;

d) promozione, progettazione, realizzazione e gestione di servizi nel campo del trasporto intermodale e fluviale (scali merci, aree portuali raccordate, impianti intermodali);

e) erogazione di beni e servizi di interesse generale ed a supporto delle funzioni amministrative di natura pubblicistica oltre che delle finalità istituzionali degli Enti soci, con particolare riferimento alla mobilità ed al collegamento dei territori a fini di pubblica utilità al fine di perseguire e valorizzare anche l'interesse della collettività territoriale;

f) gestione di servizi strumentali e/o servizi di interesse generale anche mediante l'utilizzo di finanziamenti pubblici europei, nazionali e regionali. Per il conseguimento del proprio oggetto sociale la Società potrà altresì svolgere tutte le attività complementari, accessorie ed ausiliarie a quelle sopra indicate, nonché, in via non prevalente e con esclusione delle attività riservate dalla L. 2 gennaio 1991, n. 1 e dal d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, tutte le operazioni commerciali, industriali, mobiliari, immobiliari e finanziarie necessarie o comunque utili, compresi l'acquisto, la rivendita, l'assunzione in affitto o in appalto di altre aziende purché operanti in settori affini a quelli in cui opera la Società».

 

I giudici contabili evidenziano che il requisito della strumentalità sussiste «allorquando l'attività che le società sono chiamate a svolgere sia rivolta agli stessi enti promotori o comunque azionisti della società per svolgere le funzioni di supporto di tali amministrazioni pubbliche, secondo l'ordinamento amministrativo» in relazione al perseguimento dei loro fini istituzionali[22].

 

Nel caso che ci riguarda è l'unico elemento che appare dubbio al fine della collocazione dell'attività della società nell'alveo dei servizi di interesse generale, sia pure connotati dalla peculiarità del caso di specie, ovvero nell'ambito delle società strumentali.

 

Per quanto riguarda i Profili di diseconomicità dell'attività della Valdaro s.p.a. viene rilevato che il risultato gestionale negativo della Valdaro s.p.a. mostra indubbi profili di non economicità, il che pone l'interrogativo se detti risultati possano essere ricondotti all'ente di riferimento della società in house.

 

In tali enti il concreto esercizio dei poteri di «controllo analogo» si deve snodare principalmente attraverso l'emanazione di direttive impartite all'organismo societario, sotto forma di delibere della Giunta o del Consiglio comunale; mediante la nomina diretta degli amministratori della società; per opera della stipulazione di equilibrati contratti di servizio; mediante il controllo contabile sulla società[23].

 

Ad avviso dei giudici contabili «la carenza di un adeguato “controllo analogo” da parte dell'ente proprietario

emerge quantomeno in relazione alla presenza di una gestione caratteristica negativa nei settori nevralgici di attività, dall'elencazione delle attività (non) svolte nel corso degli ultimi anni».

 

Ne consegue che in quanto la società in house costituisce un'articolazione sostanziale dell'ente proprietario, sia pure organizzata nelle forme del diritto privato, le sue decisioni amministrative, come quelle dell'ente proprietario nell'esercizio del «controllo analogo», presuppongono una prodromica valutazione in termini di efficacia ed economicità, quali corollari del buon andamento dell'azione amministrativa ex art. 97 Cost., ovvero il rispetto del principio della “legalità finanziaria”. Risulta che la strutturale perdita non risponde al richiamato principio di buon andamento e legalità finanziaria.

 

In merito alle conseguenze derivanti dai risultati negativi della gestione, i giudici contabili ribadiscono che al fine di evitare che l'inopinato ricorso allo strumento societario possa risolversi in un depauperamento dell'ente pubblico di riferimento, il legislatore ha dettato una serie di cautele dirette a evitare la protrazione di iniziative societarie dagli esiti non particolarmente vantaggiosi.

 

La legge di stabilità 2014, (legge 24 dicembre 2013, n. 147, commi 550 - 569) ha precisato che, nel caso di aziende speciali, istituzioni o società partecipate dalle pubbliche amministrazioni in perdita, che presentino cioè un risultato di esercizio o saldo finanziario negativo, a partire dal 2015 gli enti di riferimento debbano accantonare nell'anno successivo in un apposito fondo vincolato un importo pari al risultato negativo non immediatamente ripianato, in misura proporzionale alla quota di partecipazione, facendo quindi ridondare la perdita sulla stessa amministrazione di riferimento[24].

 

Ogni opzione che determini la traslazione di un rischio o di un risultato economico negativo dovrebbe mostrare un'adeguata razionalità economica che il Comune deve valutare nella fase pubblicistica che precede l'esercizio della sua potestà negoziale e «deve corrispondere ad uno specifico e concreto pubblico interesse, la cui esistenza va motivata alla luce degli scopi istituzionali e della necessità di perseguire i canoni di efficienza, efficacia ed economicità dell'azione amministrativa (art. 97 Costituzione, artt. 1 e 3 della Legge n. 241/1990), soprattutto, in termini di razionalità economica», valutazione e motivazione che nel caso di specie non pare essere stata presente[25].

 

Ciò detto, ad avviso dei giudici della Corte dei Conti, il risultato negativo complessivo e per i singoli settori di attività non può essere giustificato adducendo lo stesso ad una direttiva dell'ente proprietario, secondo cui l'organismo è semplicemente tenuto a realizzare un equilibrio complessivo tra costi e ricavi tra i vari settori di attività, ma al mancato perseguimento di una politica di gestione, specie del personale, in grado di garantire redditività e produttività adeguate al volume di affari sviluppato per i vari settori»; ne deriva che «la responsabilità dell'andamento societario va condivisa con l'ente proprietario che, negli anni, non ha esercitato le sue prerogative in modo adeguato».

 

Ciò non significa che, a priori, è preclusa all'ente locale la possibilità di contribuire finanziariamente o economicamente alla gestione della propria partecipata per rendere un servizio migliore alla collettività di riferimento; secondo i giudici contabili «per garantire tale effetto l'ente proprietario può provvedere in vari modi: la fisiologica modalità, è la programmazione di un contributo (anche in forma di corrispettivo) da parte dell'ente proprietario adeguato a sopperire allo squilibrio.

 

Nel caso di servizi strumentali, il corrispettivo deve essere adeguato a coprire integralmente i costi per l‘approvvigionamento del servizio; mentre nel caso di servizi pubblici locali, dato che il prezzo per le prestazioni viene corrisposto direttamente dagli utenti, il corrispettivo dell'ente deve essere tale da compensare il “costo sociale” del servizio universale (vale a dire lo standard minimo garantito all'intera collettività). Tutto ciò deve tradursi in un'adeguata programmazione (sia in sede di fissazione delle regole e della struttura dei contratti di servizio, che in sede di individuazione delle direttive di gestione) nonché in una rigorosa applicazione delle regole contrattuali».

 

Da tutto ciò ne consegue, secondo la Corte dei Conti, che a fronte di una gestione indubbiamente diseconomica, si sarebbe dovuta imporre agli amministratori degli enti di riferimento una profonda riflessione circa l'opportunità di proseguire la partecipazione nella società interessata, ovvero la stessa partecipazione nell'ente societario, suscitando forti dubbi «il dato che, in sede di ricapitalizzazione della società, pur a fronte di una situazione patrimoniale già potenzialmente pregiudizievole il Comune di Mantova abbia ritenuto di incrementare la propria partecipazione sino all'88%, non sembrando la generica motivazione della necessità di provvedere al rilancio, ovvero di un possibile miglioramento del mercato immobiliare, sufficiente a sorreggere la decisione di investimento foriera di un pregiudizio patrimoniale».

 

Conclusioni: La Corte dei Conti, Sezione Regionale di Controllo per la Regione Lombardia, dopo avere accertato «anomalie nella gestione della società Valdaro s.p.a. che hanno determinato perdite a danno della società, nonché agli enti di riferimento», invita «gli enti di riferimento ad assumere idonee iniziative al fine di ripristinare e mantenere gli equilibri di bilancio della società, ovvero a dismettere la relativa attività» e dispone a tale proposito che «le Amministrazioni interessate comunichino entro tre mesi dalla ricezione della

presente gli adempimenti conseguenti e le proprie determinazioni in ordine alle criticità emerse circa la sana gestione della società» e trasmettano i documenti al Presidente della Provincia e al Presidente del Consiglio provinciale della Provincia di Mantova, nonché al Sindaco e al Presidente del Consiglio comunale dei Comuni di Mantova, Roncoferraro, Bigarello e San Giorgio di Mantova, affinché informino il rispettivo l'organo consiliare dei contenuti della presente delibera; all'organo di revisione della Provincia e dei Comuni interessati; al Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ragioneria Generale dello Stato e al Ministero dell'interno, Dipartimento Affari Interni e Territoriali.

Lecce 11 febbraio 2015

Prof. Luigino Sergio, già Direttore Generale della Provincia di Lecce

luiginosergio@yahoo.it

Note:


[1] Lettera c) così sostituita dall'art. 14, comma 2, lett. c), d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2003, n. 326.

[2] Articolo 14 (ex articolo 16 del TCE) «Fatti salvi l'articolo 4 del trattato sull'Unione europea e gli articoli 93, 106 e 107 del presente trattato, in considerazione dell'importanza dei servizi di interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, nonché del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, l'Unione e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito del campo di applicazione dei trattati, provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri compiti. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono tali principi e fissano tali condizioni, fatta salva la competenza degli Stati membri, nel rispetto dei trattati, di fornire, fare eseguire e finanziare tali servizi»; Protocollo (n. 26) SUI SERVIZI DI INTERESSE GENERALE. LE ALTE PARTI CONTRAENTI, DESIDERANDO sottolineare l'importanza dei servizi di interesse generale, HANNO CONVENUTO le disposizioni interpretative seguenti, che sono allegate al trattato sull'Unione europea e al trattato sul funzionamento dell'Unione europea:

«Articolo 1: I valori comuni dell'Unione con riguardo al settore dei servizi di interesse economico generale ai sensi dell'articolo 14 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea comprendono in particolare:

- il ruolo essenziale e l'ampio potere discrezionale delle autorità nazionali, regionali e locali di fornire, commissionare e organizzare servizi di interesse economico generale il più vicini possibile alle esigenze degli utenti;

- la diversità tra i vari servizi di interesse economico generale e le differenze delle esigenze e preferenze degli utenti che possono discendere da situazioni geografiche, sociali e culturali diverse;

- un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità economica, la parità di trattamento e la promozione dell'accesso universale e dei diritti dell'utente.

Articolo 2: Le disposizioni dei trattati lasciano impregiudicata la competenza degli Stati membri a fornire, a commissionare e ad organizzare servizi di interesse generale non economico».

[3] Cfr. Corte di Cassazione, ordinanza 3 maggio 2013 n. 10299 e sentenza SS.UU. 25 novembre 2013, n. 26283.

[4] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 6 maggio 2002, n. 2418.

[5] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 762.

[6] Cfr. Sentenza Parking Brixen, del 13 novembre 2005 n. 458.

[7] Consiglio di Stato, Sezione V, n. 1181 del 13 marzo 2014.

[8] Corte di Giust. CE, 11 maggio 2006, C-340/04; Cons. Stato, Sez. VI, 1 giugno 2007, n. 2932 e 3 aprile 2007, n. 1514.

[9] Cons. Stato, Sez. V, 13 luglio 2006, n. 4440.

[10] Corte di Giust. CE, 11 maggio 2006, C-340/04; Cons. Stato, Sez. VI, 1 giugno 2007, n. 2932 e 3 aprile 2007, n. 1514.

[11] Cons. Stato, Sez. V, 30 agosto 2006, n. 5072.

[12] Cons. Stato, Sez. VI, 3 aprile 2007, n. 1514.

[13] Corte di Giust. CE: 10 novembre 2005, C-29/04, Mödling o Commissione c. Austria; 13 ottobre 2005, C-458/03, Parking Brixen.

[14] Cons. Stato, Sez. V, 8 gennaio 2007, n. 5.

[15] Corte di Giust. CE, 11 maggio 2006, C-340/04, società Carbotermo e Consorzio Alisei c. Comune di Busto Arsizio.

[16] Cons. Giust. amm. Reg. Sicilia, 4 settembre 2007, n. 719.

[17] Articolo così sostituito dall' art. 74, comma 1, n. 19), d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118, aggiunto dall' art. 1, comma 1, lett. aa), d.lgs. 10 agosto 2014, n. 126.

[18] d.lgs. 23 giugno 2011 n. 118, Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42, art. 11-quinquies: «1. Per società partecipata da una Regione o da un ente locale, si intende la società nella quale la Regione o l'ente locale, direttamente o indirettamente, dispone di una quota di voti, esercitabili in assemblea, pari o superiore al 20 per cento, o al 10 per cento se trattasi di società quotata.

2.   Le società partecipate sono distinte nelle medesime tipologie previste per gli enti strumentali.

3.   In fase di prima applicazione del presente decreto, con riferimento agli esercizi 2015 - 2017, per società partecipata da una Regione o da un ente locale, si intende la società a totale partecipazione pubblica affidataria di servizi pubblici locali della Regione o dell'ente locale, indipendentemente dalla quota di partecipazione».

[19] Le autonomie funzionali sono state introdotte nel nostro ordinamento in seguito alla riforma amministrativa avviata dalla legge n. 59/1997 che stabiliva, tra le funzioni e i compiti di carattere amministrativo da sottrarre al conferimento alle Regioni e agli enti locali, «i compiti esercitati localmente in regime di autonomia funzionale dalle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e dalle Università degli studi» (art. 1, comma 3, lettera d).

[20] (Sentenza 13 novembre 2008, causa C-324/07, Coditel Brabant SA c. Commune di Uccle e al.)

[21] Cfr. deliberazione 15 giugno 2012.

[22] Sul punto si rinvia alla giurisprudenza amministrativa e, per tutte: Cons. Stato, V, Sentenza 5 marzo 2010, n. 1282 e Cons. Stato, sez. V, Sentenza 12 giugno 2009, n. 3766

[23] Cfr. del. 19 luglio 2011, n. 464.

 

 

[24] In precedenza l'art. 6 comma 19 del d.l. n. 78/2010 (conv. dalla L. n. 122/2010, successivamente modificato e integrato) ha vietato alle amministrazioni pubbliche di effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito o rilasciare garanzie a favore delle società partecipate non quotate che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali; il medesimo art. 6, comma 19, ha offerto la possibilità alla p.a. di derogare a tale divieto, nelle ipotesi espressamente previste.

Si trattava, in particolare: a) dei trasferimenti conseguenti ad obbligazioni pubbliche già assunte (trasferimenti effettuati in ragione di convenzioni, contratti di servizio e di programma) per lo svolgimento del servizio di pubblico interesse ovvero b) per operazioni rese necessarie da eventi eccezionali (mediante una procedura particolarmente gravata e demandata in ultima analisi sia a valutazioni di tipo politico che a verifiche di legalità).

[25] Deliberazione Corte dei Conti 27 dicembre 2012, Lombardia/535/2012/PAR.

 


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