Data: 27/02/2015 10:00:00 - Autore: Pasquale Acconcia
di Pasquale acconcia 
pasquale.acconcia@gmail.com
INDICE:
§I) Agenzia: parte del progetto del Jobs Act  per la rivoluzione del Welfare e sue istituzioni?

§II) Riflessioni sulla delega  in attesa del decreto delegato: una prima Bozza 
1) La delega del Jobs Act: riproposizione di obiettivi e strumenti in una nuova strategia di globalità di intervento sul Welfare;  
2) Semplificare la vita delle Imprese,  parola d'ordine con un compromesso a tempo per la prevenzione dei rischi professionali in attesa del “nuovo” Titolo V della Costituzione; 
3) Dalle attività di controllo, a ritroso, si toccano gli oggetti del controllo, le finalità del sistema ?; 
4) Ancora sulla priorità delle riforme istituzionali per poter decidere, cambiare con la barra diritta e superando l'accavallarsi e andirivieni delle riforme; 
5) Il disagio delle imprese e le sue cause: contestualità di controlli o la cappa nebbiosa di una legislazione in continuo riciclo e stallo?; 
6) Una singolare coincidenza di date: approvazione del Jobs Act e emanazione di decreto ministeriale sul trattamento accessorio degli ispettori ministeriali; 
7) Dall'idea originaria – liberare le aziende dalla ripetitività di tutte le ispezioni (anche delle ASL) a una soluzione di attesa limitata al mondo del lavoro e previdenza; 
8) L'utilizzo di entrambi gli strumenti previsti dalla delega, anche in sovrapposizione: una opzione da valorizzare ?; 
9) Perplessità, adesioni e critiche di esperti e operatori del settore; 
10) La vigilanza è attività fine a se stessa, scorporabilee da quelle a monte e a valle del controllo ? La risposta è  nel cuore del problema; 
11) La riconduzione a unità delle funzioni e risorse non “obbliga” a vigilare sempre tutti insieme ma valorizza specificità e compiutezza dell'intervento;
12) Resta immanente l'esigenza di tenere assieme i “pezzi” del Lavoro e Welfare: la Bozza accelera la deriva centripeta con l'affermazione delle mani forti politiche e amministrative; 
13) Le agenzie fiscali e l'Agenzia per le ispezioni. Diversità di funzioni e  di collocazione al servizio, in piena autonomia,  di obiettivi e programmi dati dal Ministro del lavoro; 
14) Complessità sempre nuove nei meandri dell'”attuazione”: non impossibilità, consapevoli che la partita si chiude con la riforma del Titolo V della Costituzione;
15) Complementarietà fra Coordinamento dinamico e consolidamento di Agenzia: garanzia di passaggio ordinato verso una nuova organizzazione del Welfare a partire dalla disaggregazione – lo dice la Corte dei conti – del sistema attuale 
§III) Una prima Bozza: tutta da riscrivere? Aggiustarla con riordini paralleli dei servizi del Welfare, mai “fermarla” in un clima di  stagnazione 
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§I) L'Agenzia: parte integrante del progetto di cambiamento del Jobs Act da saldare con una rivoluzione del Welfare e delle sue istituzioni?
Dall'estate 2014, dopo gli annunci del Ministro Poletti,  seguo le vicende della proposta di riforma del sistema delle ispezioni del lavoro e del welfare con qualche scetticismo, data la lunga esperienza di analoghe vicende sul campo, e  curiosità circa la soluzione che il nuovo Governo avrebbe adottato. Da novembre scorso, poi, ho seguito l'iter di costruzione della proposta fino a una prima riflessione, all'indomani dell'approvazione dello Jobs Act, che ho cercato di riassumere, in attesa del decreto delegato, nel commento che riporto nel secondo paragrafo. Da ultimo, è  comparsa in Rete una bozza di questo decreto, preannunciato all'odg del CdM del 20.2.2015 (per una prima sintesi e il testo della bozza v. F. Colacci, Pronta la Bozza di Decreto Agenzia Unica) il cui tenore mi ha sorpreso e lasciato perplesso, allo stesso tempo. 
La sorpresa è per una sorta di film già visto anche nell'ultimo triennio  riguardante gli annunci di riforme spesso significative. Al primo annuncio mediatico di prospettive rivoluzionarie non c'è grande allarme nei potenziali oppositori, come pure nei successivi passaggi anche legislativi – purtroppo di deleghe sempre più evanescenti - che lasciano spazi per la declinazione della proposta. Alla stretta finale – con il decreto legislativo e dopo con una sorta di permanente guerriglia – il quadro s'infiamma di proteste, di critiche o applausi, rispetto a un ”oggetto” che è puntuale declinazione del primo chiodo inizialmente piantato dal riformatore e proprio rispetto al quale ritenevo – e ritengo – che bisognasse confrontarsi sui valori fondanti della riforma. Con tutto il tempo necessario in questo modo per chiarire, cambiare in modo ordinato ecc. Così non è mai stato negli anni per le vicende storiche di tanti decreti legislativi con erosione continua della portata riformatrice delle intenzioni di delega. Senza mancare di rispetto, anzi, l'impressione è che si assista a un gioco in cui tutti i giocatori “nun ce vonno sta” come si dice a Roma, anche nello stesso Consiglio dei ministri. E i fatti danno loro ragione con articoli della Legge di stabilità modificati subito dal coevo “mille proroghe”; con riforme lasciate morire nel meandro dei decreti, decreti, circolari susseguenti come, nel caso nostro, per la riforma del 2004 dei servizi ispettivi naufragata in un mare di inadempienze di cui nessuno risponde.
Ora, per il decreto in questione all'apparire della bozza sono iniziate proteste e contestazioni – per il metodo e per il merito  - con argomentazioni che con maggiore tempestività rispetto all'idea iniziale avrebbero forse consentito di imporre un confronto costruttivo sull'intero assetto organizzatorio del welfare; secondo noi, è proprio quest'ultimo, infatti, che finisce per essere messo in discussione ben di là dalla “sobrietà” della formulazione,  proprio dalla Bozza. E la conferma dello sconcerto arriva puntuale con la decisione del Ministro Poletti di ritirare dall'o.d.g. del  Consiglio dei ministri del 20 febbraio il testo già predisposto,  forse per approfondirlo in un confronto con le parti sociali.(Per la posizione della FPCGIL e il testo della Bozza v. Lavoro, Agenzia unica ispezioni: Fp Cgil, stop decreto un bene. Non c'è da gridare allo scandalo; solo sconcerto per un modo di legiferare che molti ritengono  perfetto: in fondo, per arrivare alla Bozza si è partiti, come sempre, con annunci – e relativi duelli – per passare poi a: 
1. Approvazione del disegno di legge delega in CdM; 
2. Dibattito in commissioni della Camera con relativo parere; 
3. Dibattito e voto della Assemblea; 
4. Dibattito in Commissione del Senato; 
5. Dibattito e voto in Assemblea con modifiche;  
6/7. Dibattito in Commissione e Aula alla Camera con approvazione finale da cui parte l'iter del decreto legge
8. testo del decreto approvato in Cdm, 
9. esame e parere della Commissione della Camera (con modifiche concordate rispetto al testo della delega approvato dalle stesse forze  politiche), 
10. idem per la commissione del senato; 
11. approvazione definitiva del testo da parte del CdM tenendo conto o meno dei rilievi delle commissioni. 
 Poi comincia la guerriglia con intervento di giudici, esperti, portatori d'interessi di categoria, perché comunque nessuno “ce vuo' sta'.”
Allo sconcerto per un iter rispetto al quale lo strapparsi i capelli di fronte a tentativi di riforme istituzionali è provocatorio, si aggiungono, sempre per il metodo, le perplessità rispetto alla Bozza che sta girando nei siti. Perplessità non (ancora) di merito ma già per il fatto di accompagnare l'articolato  con una Relazione tecnica che, a fronte di un disegno organizzatorio ricco d'implicazioni strategiche, si preoccupa di quantificare i risparmi, quasi che se i conti proposti fossero errati si potrebbe  metter via il provvedimento.
Non intendo, ripeto, entrare nel merito delle singole scelte, di là dalle riflessioni delle successive note del terzo paragrafo; è chiaro, però, già in prima lettura che il testo proposto finisce per mettere in discussione l'intero impianto organizzativo e strutturale del nostro Welfare per come costruito in un secolo e difficilmente smontabile, quindi, senza un'accurata preparazione d'ingegneria organizzativa. Sarebbe un grave errore liquidare osservazioni e critiche come dettate da interessi corporativi o settoriali – pur esistenti e legittimi – senza cogliere il punto focale della questione: la volontà delle “mani forti” di riprendere il controllo del sistema Paese accelerando la spinta centripeta che intende superare la frammentazione di poteri e interessi finora predominante.
Con la Bozza nasce non un ente strumentale di secondo livello rispetto a quelli primari (lo stesso Ministero per altre funzioni, l'INPS e l'INAIL) ma un ente autonomo che risponde esclusivamente al Ministro. Un ente pubblico strumentale, sganciato da qualsiasi collegamento con gli enti di servizio – e non sarebbe grave – e con i relativi processi produttivi, dei quali la vigilanza è parte integrante con crescente rilievo di compiti che vanno di là dall'accertamento di regolarità come nel caso delle ricche attribuzioni degli Ispettori INPS e del ruolo in ottica di promozione della prevenzione per gli ispettori INAIL e quelli ministeriali. La stessa regolarità è un valore privo di significato senza collegamento con i processi produttivi primari. 
Tutto questo non costituisce, come ripetiamo nei successivi paragrafi, un impedimento assoluto alla riforma che è anticamera, oltretutto, un primo passo di un accorpamento della vigilanza per prevenzione non appena modificato il Titolo V della Costituzione. Ritenerlo (un impedimento assoluto) sarebbe mistificatorio da parte di quanti hanno fatto naufragare, anche inconsapevolmente, tutti i tentativi della politica – la legge del 2004 ne è testimonianza – di costruire quel coordinamento nello spirito di leale collaborazione che, dando modo al sistema di welfare di assestarsi coerentemente in tutte le sue componenti, avrebbe realizzato parte degli obiettivi che oggi si è costretti, secondo altri, a realizzare in un colpo solo, . Così non è stato e ciò indebolisce anche la proposta di chi – come noi e lo vedremo poi - ritenga che le due possibilità dello Jobs Act (coordinamento/Agenzia) possano coesistere in sequenza vincolante per giungere al risultato finale in parallelo con la riforma generale del welfare nelle sue componenti di servizio e organizzative: previdenziale, assistenziale, assicurativo.
Pur se debole la proposta, resta peraltro suggestiva sullo sfondo di un Paese maturo in cui ci si confronti  prima di decidere – salvo decidere, poi, e nelle sedi giuste – e  si attuino le decisioni assunte: impegnative come devono essere scelte che incidono su situazioni la cui complessità di sistema e di dettaglio nemmeno è conosciuta da tutti i protagonisti: e la vicenda degli esodati e quella dei benefici pensionistici amianto restano emblematiche.
Con questa premessa a caldo rinviamo alla lettura del successivo paragrafo riguardante la fase di preparazione e attesa della “Bozza” - che non intende dare risposte a interrogativi che pure ci si è posti in questi mesi e che rischiano di essere come tante mine che gli oppositori si riservano di far esplodere via via. E' positivo, comunque, che, come vedremo nel terzo paragrafo,  si apra un confronto per sollecitare una riflessione ampia su un provvedimento che tocca gangli vitali del Welfare – per alcuni aspetti lo sgretola, forse di là dalle intenzioni – evitando che la questione sia lasciata alle contestazioni professionali; con scandalo di chi si affanna a bloccare liberalizzazioni in nome di valori etici o professionali(!) perpetuando uno sconcertante stop end go delle riforme che è difficile comprendere se un Ministro liberalizza i farmaci di fascia C e arriva subito l'altolà di un altro Ministro che rivendica la decisione al suo dicastero dando, così, l'idea che non si siano parlati prima pur essendo poi tutti d'accordo.
Per questo, nel terzo paragrafo torneremo sul tema generale per uno sguardo complessivo alla Bozza e alle prime reazioni a caldo che hanno indotto il Ministro a non presentarla nel Consiglio dei ministri del 20 febbraio 2015. In detto paragrafo vedremo come l'intera questione e le sue criticità richiamate nel paragrafo 2 sia ridotta a termini drasticamente essenziali sia dagli articoli della Bozza sia  da prime reazioni che prospettano soluzioni parimenti “semplificatrici”.
§II) Riflessioni sulla delega  in attesa del decreto delegato: una prima Bozza 
1. La delega del Jobs Act: riproposizione di obiettivi e strumenti in una nuova strategia di globalità di intervento sul welfare
Pur fra difficoltà crescenti – segnale di parallela crescita dell'incisività delle riforme – prosegue l'azione di governo volta a concretizzare modifiche del sistema istituzionale e del mondo del lavoro e welfare che sono da tempo nelle aspirazioni, pur con diversità di modi, dei Governi succedutisi negli anni. Varie sono state e sono le priorità e i percorsi, comunque accomunati dalla volontà (e conseguente impegno) di innovare, di ricondurre a unità le “cose” utilizzando sempre e comunque lo strumento legislativo. Così è per il mondo del lavoro e del welfare, con specifica attenzione per le ispezioni sul lavoro per il quale si è inteso ripartire, appunto, da una nuova norma piuttosto che promuovere  il cambiamento muovendo dalle tante previsioni legislative che già ci sono in materia di coordinamento dei controlli ispettivi.
Certamente la tentazione di usare nuovamente (e in modo migliore nella convinzione degli autori) lo strumento legislativo è comprensibile e giustificato poiché le “tante previsioni” finora succedutesi non hanno consentito di superare la persistente polverizzazione di compiti e competenze già presa di mira, in passato, con il tentativo di “accorpare” funzionalmente le varie competenze, anche creando sovrastrutture coordinatrici viste come raffinate evoluzioni del “concerto” di antica memoria. Così, soprattutto, il D.Lgs.vo 124 del 2004 che “tenta di rafforzare le sinergie esistenti (!)”  con un ripensamento organico della funzione ispettiva e la sua organizzazione”, comprensivo – il ripensamento – della previsione di una Banca dati unificata, polo di riferimento e motore delle funzioni in parola.  
Fallita la realizzazione dell'obiettivo strategico e dimenticata la Banca dati è comprensibile, quindi, che il Governo in carica nel Jobs act approvato nel dicembre scorso abbia previsto una specifica delega per “ la razionalizzazione e semplificazione dell'attivita' ispettiva, attraverso misure di coordinamento ovvero attraverso l'istituzione, ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo 300/1999, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, di una Agenzia unica per le ispezioni del lavoro, tramite l'integrazione in un'unica struttura dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro, dell'INPS e dell'INAIL, prevedendo strumenti e forme di coordinamento con i servizi ispettivi delle aziende sanitarie locali e delle agenzie regionali per la protezione ambientale.”
Può sembrare l'eco di un “mantra” antico ma la nuova delega va letta nel contesto dello Job Act, per apprezzarne la coerente funzionalità rispetto all'obiettivo di riordino in modo funzionale dell'intero mondo del “lavoro” con i suoi addendi di welfare,  nel quale  verifica e controllo ispettivo sono fondamentali per la realizzazione di un sistema equo ed efficace di tutela. Per questo occorrerebbe muoversi senza soluzione di continuità con precedenti interventi legislativi in termini che appaiono, da ultimo, recepiti a livello UE dalla Risoluzione del Parlamento Europeo «sulle ispezioni sul lavoro efficaci come strategia per migliorare le condizioni di lavoro in Europa»  richiamata da Rausei Ispezioni come strategia efficace per migliori condizioni di lavoro. 
Se inserita nel disegno generale del Jobs Act con il suo impegno di riformare il lavoro nella sua globalità e complessità il testo della specifica delega sulle ispezioni è, insomma, generico solo apparentemente poiché fissa significativi paletti coordinandoli con le restanti parti del Jobs Act:* a) un'eventuale unificazione nella Agenzia dei servizi ispettivi non potrà riguardare (almeno per il momento, aggiungiamo noi) i controlli per la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro stante l'ostacolo della competenze in materia allo stato attribuita alla regioni; * b) il coordinamento, al contrario,  dovrà comunque riguardare anche dette funzioni evitando ovvero facilitando secondo noi l'unificazione strutturale; *c) l'operazione potrà avvenire solo a costi invariati e senza acquisizione di ulteriori risorse umane e strumentali; *d) non si prevede alcuna partecipazione al coordinamento di guardia di finanza e di carabinieri;  *e) eguale esclusione riguarda altri non marginali settori titolari di poteri e responsabilità in materie contigue che rischiano di restare fuori non solo per gli aspetti strutturali ma anche per quelli di contenuto dei controlli.  
2. Semplificare la vita delle Imprese parola d'ordine con un compromesso a tempo per la prevenzione dei rischi professionali in attesa del “nuovo” Titolo V della Costituzione
Questi punti singolarmente presi riaffiorano come costanti  delle politiche del lavoro e del welfareanalogamente al leit motiv della iniziativa specifica del Governo Renzi che almeno inizialmente ha insistito fortemente sul valore salvifico delle ispezioni per le aziende vessate dal ripetersi di ispezioni di vari soggetti in un brevissimo arco di tempo. Motivazione in buona fede di Ministri forse non sufficientemente informati sulla entità del fenomeno per i profili non ASL, per un ben inferiore a quella presente nello stesso testo di delega, di complemento indispensabile a livello strategico per il successo della riforma del mondo del lavoro. 
Torneremo poi sui singoli punti per considerazioni che riteniamo, comunque, marginali rispetto al tema centrale  che già la Corte costituzionale mette in evidenza. Se può essere vero che il malessere deriva dalla frammentazione delle competenze, dalle diverse “burocrazie” che si confrontano in negativo creando un effetto alone di opprimente dimensione, è altrettanto vero che ciò trova terreno fertile nel riparto di competenze – nelle intenzioni benefico -  fra i vari livelli e comparti dello Stato.  E, aggiunge la Corte occupandosi del tema per i ricorrenti tentativi di superare il riparto di competenze in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro,  nessuno è legittimato a eliminare il confronto dialettico fra i vari livelli di competenza previsti dall'attuale quadro costituzionale e istituzionale all'insegna del principio di “leale collaborazione”. Non è consentito, cioè, aggirare il dettato costituzionale riconducendo tutte le competenze allo Stato, salvo, ovviamente, introdurre a monte le riforme della Costituzione (il famoso Titolo V) che si ritengano necessarie. 
Da ciò la conseguenza che i controlli sull'osservanza delle misure di prevenzione, pur interferenti con quelli per così dire amministrativi, devono viaggiare su due percorsi paralleli, al più coordinabili in certi punti e per volontà coincidenti dei vari attori, responsabili di funzioni di governo e di gestione . 
Le tanto snobbate (finora) riforme istituzionali e costituzionali riproposte con insistenza dai Governi degli ultimi tre/quattro anni, insomma, non sono superflue, non sono obiettivi da porre in subordine o in parallelo rispetto a mitici interventi per il rilancio di varie cose, ma sono la condicio sine qua non, il cardine di una reale stagione di riformismo in tutti i campi della vita economia e sociale. E' il tema della  riforma del Titolo V della Costituzione e della governabilità: chiave di volta per lo sviluppo del Sistema Paese senza la quale qualsiasi obiettivo deve essere realizzato per vie traverse, tortuose, alla mercé di spinte e controspinte corporative; a riporto di valutazioni di legittimità della Corte costituzionale sempre incombenti.
3. Dalle attività di controllo, a ritroso, si  toccano gli oggetti del controllo, le finalità del sistema ?
Sempre in premessa occorrerebbe chiedersi per una loro scelta oculata che cosa ci sia da controllare, sgombrando il terreno dalle facili semplificazioni che indurrebbero a rispondere “le aziende”, i lavoratori, gli automobilisti ecc. ecc. Una soluzione semplicistica  di cui l'esperienza – e l'analisi - sembrano però confermare l'inadeguatezza poiché oggetto dell'attenzione non sono mai i soggetti - le aziende come entità produttiva -  ma i comportamenti, le azioni che si compiono, conformi o non a regole a tutela di interessi che non si ritiene di “gerarchizzare”.
Questa nostra precisazione potrebbe apparire insidiosa, offrendo il destro per giustificare – motivare, anzi -  la frammentazione, la molteplicità di controlli e controllori (ben più numerosa di quanto lo stesso Ministro possa immaginare . Non è nostra intenzione, volendo creare piuttosto un ponte logico verso un'altra riflessione sull'oggetto delle “regole”,  da sviluppare per le:
dimensioni quali/quantitative delle regole nei vari campi ed il livello di coordinamento fra loro (quali regole, quante regole, come raccordate); 
modalità con cui le regole sono proposte all'adempimento e comunicate ai destinatari: nell'esperienza quotidiana con un susseguirsi, spesso circolare, di leggi, decreti, circolari, accordi quadro, direttive, aggiornamenti legislativi ecc. (come formulate)
Con il primo quesito si entra nel dibattito sull'opportunità di caricare contribuenti e  imprese del rischio non tanto di molteplicità contestuale di ispezioni quanto di gravosi impegni per rispettare principi che, validi in assoluto e per significative dimensioni aziendali, se riferiti a un tessuto di piccole e medie imprese costituiscono un onere spesso insopportabile nella sostanza e, oltretutto, da gestire con l'aiuto di specialisti. 
Proprio i contenuti delle norme, la loro sostanza, cioè, può rivelarsi spesso (soprattutto in tema di prevenzione) abnorme per il rispetto di principi e discipline validi per realizzare un certo obiettivo ma non altri o per diversi soggetti. E comunque seppur sopportabili nella sostanza (l'ammontare della spesa per stare in regola è contenuto, a esempio) gli adempimenti, rispetto al secondo quesito, sono gravosi per la loro laboriosità e complessità, spesso già interpretativa per il sistematico accavallarsi di strumenti normativi e riforme di vario rango.
4. Ancora sulla priorità delle riforme istituzionali per poter decidere, cambiare con la barra diritta e superando l'accavallarsi e andirivieni delle riforme
A quest'ultimo proposito, però, riprendendo le fila del discorso, occorre considerare che, proprio dando per scontata un'endemica farraginosità burocratica, senza le riforme istituzionali per la governabilità difficilmente si potrà cambiare rotta, uscire dal pantano degli annunci poi trasformati in disegni di legge o decreti legge, poi modificati in corso di conversione, poi calati in attuazione con avvio postdatato; nel frattempo cambia Governo, si modificano le idee guida ecc. Per non parlare delle norme regolamentari di cui occorre attendere l'emanazione ecc. 
Si accavallano, quindi, più prescrizioni, ordini, distinguo ed eccezioni che, frutto del compromesso continuo operato a posteriori su qualsiasi scelta di riforma (emblematico il rapporto fra le varie leggi di stabilità e i mille proroghe immediatamente successivi) compongono un muro compatto a fronte del quale gli interessati devono rivolgersi al circuito dei professionisti con crescita della una pressione  fiscale/parafiscale occulta.
5. Il disagio delle imprese e le sue cause: contestualità di controlli o la cappa nebbiosa di una legislazione in continuo riciclo e stallo?
Finiscono, soprattutto,  per assumere impegni senza nemmeno conoscerne i contenuti sostanziali e con l'aggravante   che sullo stesso tema – penso in primis alla sicurezza del lavoro – si confrontano, nel tessuto normativo e fra gli stessi esperti e responsabili, posizioni divergenti, già sul piano ideologico in alcuni casi. Né basta, perché la complessità si trasferisce agli altri livelli nel senso che all'impegno richiesto nei comportamenti professionali e/o gestionali si aggiunge, per questo mondo  professionale, la difficoltà di leggere e applicare testi legislativi mai scritti “sulla pietra”, sempre ricchi di rinvii, circonlocuzioni, avverbi o quant'altro possa occorrere per rendere il messaggio ancor più incomprensibile ai destinatari ma anche ai professionisti di sostegno e a quelli di controllo. Con l'ulteriore aggravante che l'affermarsi d'intermediari specializzati alimenta la tentazione dei soggetti pubblici di “parlar fra tecnici” che esclude a priori la possibilità di comprensione per gli utenti finali delle informazioni in parola.  Questi stessi difetti, infine,  sono il terreno di coltura perché alcuni o tanti si ritengano autorizzati a vivere border line nell'interpretazione delle norme  o, peggio ancora, a realizzare classiche forme di abuso del diritto di cui si è occupato di recente il legislatore o vere e proprie azioni truffaldine o criminose di palese violazione di legge. 
Non sono aspetti marginali del vivere quotidiano, della operatività professionale e imprenditoriale poiché riguardano sistemi normativi che disciplinano e impongono comportamenti virtuosi con regole fiscali, contributive, di sicurezza sul lavoro e correttezza dei rapporti di lavoro . E' una galassia magmatica in cui sono impegnate varie conoscenze e professionalità sia nel momento dell'applicazione  delle norme – lo stare a posto, non solo formale, con la legge – sia in quello speculare della verifica e quello del sostegno per rispettare le regole (un addendo nelle competenze degli ispettori su cui torneremo, da considerare in vista della riforma); fino a arrivare al controllo della legalità penale dei comportamenti dei soggetti malavitosi o semplicemente border line. E comincia ad affermarsi l'idea di una violazione delle regole non punibile a fronte dell'impossibilità di adempiere, come nel caso di chi non paga le imposte perché non ha i soldi, in assoluto o per non dover chiudere, ad esempio, l'azienda lasciando disoccupati i dipendenti. Un tema – per inciso -  di grande spessore e rilievo, con soluzioni, per la morosità incolpevole, che potrebbero portare lontano ponendo in discussione la punibilità di omissione di misure di sicurezza del lavoro che mettano in discussione, per il costo, la sopravvivenza della azienda o posti di lavoro. 
Sono primi spunti per sollecitare sul piano sostanziale (le regole da rispettare e relativi principi etici) interesse e attenzione  per i profili che stanno a monte della farragine, contribuendo ad alimentarla, ed evitando che dalla sola nascita dell'Agenzia ci si attenda una sistemazione automatica di tutto. Sul piano procedurale e dei controlli che qui interessa, poi, è intuitivo come tutto questo renda complicati adempimenti e controlli: è vero che “in caso di….si possono mettere le ganasce all'auto”, ma poi si soggiunge che non è possibile in ragione della sua utilizzazione o meno per lavoro ecc. Il dato incontrovertibile, comunque, resta che sul sistema produttivo e più in generale sociale cala a ritmo serrato una sorta di cappa nebbiosa, fatta non tanto di “troppe ispezioni contestuali” (si cui torneremo) quanto di persistenti incertezze delle regole e sulle regole che, frutto spesso del voler fare bene, gestire l'equità, alimenta sempre più:
- la necessità di specialisti non più solo nell'adempiere ma anche nel controllare sicché il tutto sembra ridursi, come si  è detto, a un dialogo fra loro di cui l'utente finale vede solo il prodotto spesso espresso solo in termini monetari;
- il proliferare di corsi, manuali, contributi scientifici e divulgativi; 
- interventi ripetuti di organi amministrativi per circolari, chiarimenti ecc.; sessioni speciali di spiegazione on line di specifici impegni fiscali riservati agli intermediari del settore; 
- il progressivo trasferimento di compiti dagli uffici delle amministrazioni agli intermediari (si pensi per tutti alla vicenda dei patronati) che dovendo comunque stare accanto a cittadini e imprese ben possono – è la tentazione forte – fare pezzi del procedimento a monte.
A una più attenta lettura, per inciso, questo groviglio sembra a volte alimentato proprio dall'impegno virtuoso di considerare tutto, di salvaguardare tutti i profili di equità sostanziale; , tutti gli interessi (il gioco de “il problema è un altro”), accompagnando la norma iniziale spesso tranciante con un'infinità di distinguo. Battaglie parlamentari fino a notte fonda, così, vedono scolorire i loro risultati all'indomani dell'approvazione da un decreto correttivo o da una sentenza. Si pensi alla scelta fra imposizione indiretta o diretta. Tutti parlano oggi–  dimenticando Ezio Vanoni -  di alleggerire la seconda, tagliando le tasse; appena si propone un trasferimento di campo dell'onere, però, ci si accorge che salta la progressività e si corre a inserire nel meccanismo indiretto differenze, con dovizia di previsioni. Si pensi al raccordo ormai istituzionalizzato fra legge di stabilità (che magari riforma la tassazione delle partite IVA  minime) e il Mille proroghe che la corregge nei contenuti o nella “decorrenza”.
Per restare al tema, quindi, è comprensibile  come sia ricorrente una forte spinta ad azzerare tutto e ricominciare da capo ad ogni cambio di guardia con ruolo crescente di esperti esterni alla burocrazia e con scarsa consapevolezza della quantità e qualità di tessuto normativo che già esiste sul tema o si va formando, addirittura, per vie parallele.(Vedremo, poi, la contestualità fra approvazione dello Jobs Act e del decreto ministeriale sugli incentivi).
Azzerare e ricominciare partendo non dall'enunciazione di un principio guida che chiaro nelle intenzioni (il riferimento all'autenticamente bisognoso per l'ISEE, ad esempio) è tradotto però in legge a mezza bocca, con terminologia approssimativa e, soprattutto partendo dal fondo della filiera attuativa: nel caso in esame,  dal controllo (anzi controlli) posti a carico di sparuti gruppi di operatori destinatari, in parallelo, di  spendig review e di provvedimenti incentivanti.
Nulla si modifica, cioè, all'origine, a mezza via, in collina (si fa per dire), lungo il percorso  dalla vetta dei principi alla piana della norma attuativa e così attenzione e critiche  si concentrano alla fine, sulle groviglio di norme di cui abbiamo parlato, con la massima visibilità del peso che grava sulle aziende e sui relativi costi di esercizio. 
6. Una singolare coincidenza di date: approvazione del Jobs Act e emanazione di decreto ministeriale sul trattamento accessorio degli ispettori ministeriali
Per inciso, emblematica appare la vicenda riguardante la emanazione pressoché contestuale con l'approvazione  dello Jobs Act del decreto con il quale il 1.1.22014 il Ministro del lavoro ha dato attuazione all'articolo 14 , comma 1 lett.b) del decreto legge 145/2013 (Legge 9/2014) , “Al fine di rafforzare l'attivita' di contrasto del fenomeno  del lavoro sommerso e  irregolare  e  la  tutela  della  salute  e  della sicurezza  nei  luoghi  di  lavoro” dispone, unitamente ad altre previsioni di ordine organizzatorio, che “” i maggiori introiti derivanti dall'incremento  delle  sanzioni di cui alle lettere  b)  e  c)  sono  versati  ad  apposito  capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati:      
1) al Fondo  sociale  per  occupazione  e  formazione,  di  cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto-legge  29  novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge  28  gennaio2009, n. 2;       
2) ad apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle  politiche  sociali,  nel  limite  massimo  di  10 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2014, destinato a misure,a definire con decreto del Ministro del  lavoro  e  delle  politiche sociali,  finalizzate  ad  una  piu'  efficiente  utilizzazione   del personale ispettivo sull'intero territorio nazionale, ad una maggiore efficacia, anche attraverso interventi  di  carattere organizzativo, della vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale,  nonche ‘alla realizzazione di iniziative di contrasto del lavoro  sommerso  e irregolare.”” E che “”con  decreto  del  Ministero  del  lavoro  e  delle  politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle  finanze, da adottarsi entro 60 giorni dalla data di conversione  del  presente decreto,   sono    individuate    forme    di    implementazione e razionalizzazione nell'utilizzo del mezzo  proprio  in  un'ottica  di economicità' complessiva finalizzata all'ottimizzazione del  servizio reso dal  personale ispettivo  del  Ministero  del  lavoro…”.  Con identica finalità prevede che:  ferme restando le competenze  della  Commissione  centrale  di coordinamento dell'attivita' di vigilanza di cui all'articolo  3  del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124, al fine di assicurare  la migliore e piu' razionale impiego del personale ispettivo degli  Enti Pubblici che  gestiscono  forme  di  assicurazioni  obbligatorie,  la programmazione delle verifiche ispettive, sia  livello  centrale  che territoriale,   da   parte   dei   predetti   Enti   e'    sottoposta all'approvazione delle rispettive strutture centrali  e  territoriali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali”.
Il conseguente decreto ministeriale del 1.12.2014 avvia l'attuazione  del punto riguardante gli ispettori con scarne previsioni riguardanti: 
1) la semplificazione delle autorizzazioni per lavoro straordinario e la erogazione di un incentivo per l'effettuazione di ispezioni con mezzo proprio in orari serali, notturni o festivi aggiuntivo rispetto agli ordinari trattamenti contrattuali per tale fattispecie. Ovviamente l'operatività della previsione è subordinata all'emanazione di direttive operative di un competente ufficio 
2) l'erogazione di un incentivo – non specificato – per l'uso del mezzo proprio (anche in orari diversi da quelli del punto uno, deve supporti) 
3) l'erogazione di un incentivo proporzionale all'incremento delle ispezioni effettuate in un determinato arco di tempo. Anche in questo caso senza alcuna specificazione di criteri – occorrerà un altro decreto? – nel presupposto implicito che il tutto sarà dimensionato rispetto all'ammontare delle risorse disponibili per l'operazione incentivante.
Sul piano generale colpisce la coincidenza, certo involontaria, dell'approvazione del decreto ministeriale con l'approvazione dello  Jobs Act . Si nota, altresì, come ancora una volta a distanza di un anno dalla norma di riferimento, la “attuazione” sia solo un primo passo di un percorso amministrativo piuttosto lungo fatto di autorizzazioni, di criteri guida da approvare ecc.  L'intero provvedimento, d'altra parte, appare calibrato – doverosamente rispetto all'obiettivo di lotta al lavoro nero – su strumenti volti ad agevolare e incentivare la possibilità di ispezioni concentrate nel tempo, mirate a cogliere sul fatto l'evasione considerata a ragione il motore di  tante inadempienze assenza di tutele contrattuali e per salute e sicurezza. In questo quadro, ma solo in esso, può comprendersi come il parametro di riferimento per l'incentivo sia la numerosità delle ispezioni (un po' il numero di contravvenzioni per i vigili urbani), fermo restando in ogni caso che la scelta non potrà non comportare uno spostamento di attenzione degli ispettori verso interventi magari più d'immagine ma meno complessi di altri e comunque più laboriosi per tempo e impegno. Oltretutto, lo stesso decreto  prevede che una quota parte dello stanziamento debba essere riservato a finanziare campagne ispettive straordinarie (i famosi blitz). Solo in questo quadro, abbiamo sottolineato, ma non senza perplessità a leggere, poi,  la Bozza che sembra attribuire valore risolutivo a questo aspetto. 
Come abbiamo già detto, insomma, resta preponderante il peso delle tante regole, delle incertezze applicative, della loro abbondanza e volubilità piuttosto che quello di una remota possibilità di duplicazione di controlli amministrativi. Rischio remoto e   meno preoccupante di quello legato al rilievo degli specifici controlli in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro che, proprio per l'assenza di riforme strutturali, continuano a stare fuori dal raggio di azione di un'istituenda Agenzia unica. Né deve far gridare al corporativismo la vivacissima reazione di specialisti del settore che applaudono la proposta governativa ovvero si affannano a elencare tutti i motivi perché l'unificazione dei controlli, nel caso di specie, non è possibile, è velleitaria ecc.  S'innesca, così, un confronto a distanza – spesso un dialogo fra sordi – di cui si coglie l'eco ad esempio nel fatto che il Ministro Poletti è partito proponendo e annunciando l'unificazione di tutti i controlli, amministrativi e sanitario prevenzionale, per poi ripiegare subito nella separazione fra i due aspetti (facenti capo a diverse filiere di comando) accompagnata da un impegno di coordinamento molto forte. 
7. Dall'idea originaria – liberare le aziende dalla ripetitività di tutte le ispezioni (anche delle ASL) a una soluzione di attesa limitata al mondo del lavoro e previdenza
Si è trattato di una messa a punto doverosa stante il chiaro disposto costituzionale in tema di ripartizione di competenze fra Stato e Regioni sistematicamente ribadito, in assenza di riforme istituzionali, dalla Corte costituzionale,  egualmente ferma nel riconoscere che in materia di vigilanza su lavoro e previdenza la competenza è dello Stato con una motivazione interessante ai nostri fini perché esclude che la vigilanza stessa sia, come ritenevano le Regioni, attività con caratteristiche proprie rispetto all'oggetto su cui si esercita (Sentenza 384 del 2005). Una messa a punto doverosa, che ha ridimensionato la portata eversiva della preannunciata “Agenzia unica” che ribadisce come la vigilanza per gli altri aspetti sia compito dello Stato.
Tutto ciò può sembrare una riproposizione, nello Jobs Act, dell'esperienza pluridecennale di norme approvate e rimaste sulla carta senza nemmeno una qualche motivazione, come nel caso della Banca dati dei controlli, ad esempio, che nel sistema della riforma del 2004 voleva essere il motore del sistema di coordinamento fra i vari protagonisti.
Come già detto all'inizio, però, sarebbe fuorviante liquidare la nuova norma alla stregua di un dejà vu senza considerare che essa fa parte  di un provvedimento organico che intende riformare l'intero assetto della normativa sul lavoro. Per questo occorre valorizzare accenni mediatici con riscontri nello stesso testo legislativo che appaiono una sorta  di “madre di tutti i criteri di delega”: il decreto legislativo per i controlli deve semplificarli per alleggerirne il peso burocratico (l'obiettivo d'immagine)  ma con lo scopo, soprattutto, di creare un meccanismo virtuoso che accresca qualità e quantità dei controlli, a parità di impegno professionale e finanziario, base a loro volta del miglioramento della qualità del mercato del lavoro.
In questo contesto anche l'ossessivo richiamarsi all'invarianza dei costi assume un elevatissimo valore strategico  pur se indiretto qualora si consideri che le riforme nel nostro sistema sono “doverosamente” accompagnate da crescita delle spese (bisogna rifare, così, la banca dati) sicché qualora manchino poi i soldi bisogna bloccare “con vivo rammarico” l'intero percorso riformatore. 
E' in gioco, insomma, l'intera filosofia dello Jobs Act che può promuovere lavoro solo a condizione e in misura che si riesca a migliorare la qualità del mercato del lavoro secondo regole presidiate appunto dalle funzioni di vigilanza e controllo. Con questa chiave di lettura è doveroso, da un lato, più agevole, dall'altro,  un sommario richiamo delle perplessità che, all'indomani dell'approvazione, sono state  riproposte per il comma 7 dell'articolo 1 del Jobs Act con privilegiata attenzione per l'aspetto più suggestivo riguardante la creazione di una nuova struttura unificante, l'Agenzia, proposta come un'opzione – l'altra è il coordinamento – e deterrente contro manovre per far fallire qualsiasi tentativo di coordinamento. Un deterrente indispensabile qualora si consideri il fallimento delle iniziative per il coordinamento già previsto, come si è detto, dall'accurata e organica normativa del 2004, figlia della riforma altrettanto organica Biagi.
Non a caso, già nell'estate scorsa, all'indomani delle prime anticipazioni ministeriali sull'Agenzia, si è sviluppato un vivace dibattito fra esperti e operatori del settore pro e contro l'unificazione dei vari servizi con motivi dettati spesso da interessi di categoria da valutare con la massima attenzione già poiché nel caso di specie gli operatori addetti “sono” il servizio che si esaurisce nella loro operatività. Le critiche sono poi state ridimensionate, come si è detto,  nel testo dello Job Act ove è il coordinamento strumento ordinario – e al momento unico - di raccordo fra  controllo “giuslavoristico”/previdenziale e prevenzionale; il punto di maggior criticità, secondo alcuni, a fronte della idea iniziale di estendere le competenze dell'Agenzia ai controlli per prevenzione. Analogamente, la previsione della possibilità d'iniziative di coordinamento accanto a quella per l'Agenzia unica, ridimensiona le critiche riguardanti il mancato allargamento della sfera di attribuzioni dell'Agenzia ai sistemi di controllo di altri enti e organismi che oggi sono in vario modo titolari di poteri di vigilanza e controllo dei comportamenti delle aziende sotto diversi profili.    
8. L'utilizzo di entrambi gli strumenti previsti dalla delega, anche in sovrapposizione: una opzione da valorizzare ?
E' un' opzione da valorizzare, riteniamo, nella prospettiva di utilizzazione abbinata dei due strumenti previsti dalla norma che potrà recuperare, fra l'altro, la piena validità degli accordi e protocolli siglati da Ministero del lavoro, enti previdenziali e MEF per il coordinamento della vigilanza previdenziale con quella fiscale. Da ultimo, ad esempio, con il Protocollo d'intesa per lo scambio di dati e informazioni in materia di attività ispettiva, 28 ottobre 2014 stipulato a livello regionale (Veneto) fra Agenzia delle Entrate, INPS, INAIL, Ministero del lavoro per le scambio di  dati e informazioni in materia di attività ispettiva  il cui testo  è interessante testimonianza della ricchezza di “precedenti” del Iobs Act proprio con  i richiami alla vastità di interventi succedutisi in materia : una conferma testuale che il coordinamento è stato sempre previsto e disatteso al pari dello spirito di leale collaborazione richiamato dalla Consulta.
Per i profili finanziari, l'Agenzia, prevista come opzione (ma implicitamente come obiettivo) dovrebbe essere creata a risorse finanziarie e di personale invariate. E' un vincolo per certi aspetti di stile a tutela della formale invarianza dei conti, da molti addotto – come si è detto -  a prova dell'impossibilità di realizzare la riforma. Non siamo d'accordo, poiché nel quadro politico che va emergendo potrebbe essere piuttosto un “ordine” di riconversione per risparmiare valorizzando professionalità disponibili e investimenti già realizzati. (Sarebbe interessante a questo proposito censire tutti gli investimenti in tecnologie negli ultimi effettuati negli ultimi decenni in funzione della integrazione di banche dati e quant'altro). Certamente in questo quadro può essere letta la richiamata coincidenza con l'approvazione del Jobs Act della emanazione del decreto ministeriale citato all'inizio che regola il meccanismo dei premi incentivanti per gli ispettori del Ministero del lavoro.  
9. Perplessità, adesioni e critiche di esperti e operatori del settore
Restano numerose, comunque, e argomentate in modo articolato le perplessità rispetto allo scenario precedente alla Bozza, pur aperto a diverse possibilità. Varie e provenienti soprattutto da operatori del settore; non per questo meritevoli di minore attenzione data la complessità dell'operazione e il panorama variegato di funzioni e poteri sul quale agire. Non solo, ma l'attenzione deve essere massima, a evitare il naufragio dell'iniziativa, qualora si consideri che a diversità di controlli, a diversità di ente di riferimento corrispondono nel concreto trattamenti giuridici ed economici degli addetti ancor oggi diversificati. 
Critiche e consensi, vanno dunque letti con estrema attenzione come segnali di punti di criticità nel corso dell'attuazione della nuova normativa legati a problemi di inquadramento professionale, di trattamento economico e stato giuridico, di modalità di incentivo, ecc. senza escludere al fondo aspetti legati piuttosto al sentirsi migliori di altri da parte di alcuni dei protagonisti.
Con questa prospettiva di sfondo possiamo richiamare sommariamente perplessità e condivisioni, a partire dalle obiezioni di primo impatto già richiamate, che hanno riguardato, l'estate scorsa, l'impossibilità giuridica e anche ontologica, se così si può dire, di tenere insieme responsabilità e responsabili di controllo in materia di lavoro, da un lato, di sicurezza del lavoro dall'altro, subito corrette con la formula recepita dalla legge che non garantisce al momento il  superamento del rischio di sovrapposizioni fra Agenzia e mondo della prevenzione infortuni.
Ridimensionato questo primo fronte, in seconda battuta sono emerse forti preoccupazioni per il rischio di perdita di qualità degli accertamenti specifici dei diversi comparti a fronte della impressione – non del tutto infondata -  che in sede politica si tenda a considerare tutte le ispezioni coincidenti, quasi un duplicato l'una rispetto all'altra.  Del resto, il Ministro del Lavoro nell'anticipare mediaticamente l'iniziativa affermava che  si trattava di  “una grande operazione di semplificazione, efficienza e risparmio», finalizzata a superare l'attuale condizione per la quale le imprese si trovano di fronte a ripetuti interventi di controllo provenienti dae strutture differenti”.

Efficienza, risparmio, minor “intralcio” all'attività produttiva. A fronte di queste affermazioni, poi ridimensionate nello Jobs Act (e forse ingiustificata, l'ultima, come diremo)  resta da prendere in seria considerazione  l'anzidetta obiezione che gli interessati esprimono a volte in modo implicito quando sottolineano che quasi sempre gli ispettori, quelli ministeriali in particolar modo, nel vigilare e ispezionare fanno anche “altro” in termini di comminazione di sanzioni, risoluzione di controversie, consulenza stessa   Tanto che taluni ritengono che le preoccupazioni sarebbero superate in un sistema – magari nella stessa  Agenzia - in cui i vari professionisti mantenessero tutte le loro specializzazioni da applicare con ispezioni realizzate - da un team qualificato e articolato - in unica soluzione in modo da creare minore disagio per le aziende. Sarebbe certamente la soluzione di primo impatto, riteniamo, ed anche a regime qualora questo disagio fosse realmente il nodo centrale della questione. Il che conferma come il punto critico sia anche su questo versante il fatto che non è chiaro lo scopo della norma, l'obiettivo di ordine generale (meno peso, controlli più accurati, certezza del diritto, lotta al lavoro nero, ecc.) da perseguire con la scelta dell'una o dell'altra opzione.
Né può trascurarsi la circostanza – rimasta in ombra nel dibattito, che gli ispettori dei tre organismi si caratterizzano fra loro non solo per i poteri che possono esprimere all'atto dell'ispezione alle aziende ma anche per il fatto che fra le loro funzioni sono previsti anche compiti di vigilanza e controllo in materia di prestazioni, ad esempio, o di rischiosità aziendale in ottica assicurativa.
10. La vigilanza è attività fine a se stessa, scomputabile da quelle a monte e a valle del controllo ? La risposta è  nel cuore del problema.
Spunti e perplessità, in ogni caso, potrebbero essere ricondotti tutti a una riflessione solo apparentemente terminologica che, come si è visto, è stata posta dalla Consulta a base del riconoscimento della competenza esclusiva dello Stato in materia: l'ispezione non è attività fine a se stessa ma un momento di procedimenti complessi che partono con la valutazione della rischiosità della lavorazione, ad esempio, per snodarsi nella fissazione del tasso, la determinazione delle retribuzioni imponibili ecc. Questi procedimenti, cioè, hanno una loro dimensione ordinaria, “doppiata” o integrata in alcuni casi da procedure di controllo e verifica ispettiva i cui risultati sono destinati a rientrare nel circuito operativo ordinario. Un'eco di questi problemi si rinviene in documenti che nell'ipotizzare il futuro  assetto dell'Agenzia, sottolineano come essa debba prevedere al suo interno la presenza di un'adeguata componente amministrativa e tecnica a supporto delle attività ispettiva sul campo, responsabile per questo dei meccanismi di gestione delle fasi propedeutiche e conclusive delle operazioni sul campo.
Ma non basta, poiché, come si è accennato, le ispezioni non vivono in linea di massima di vita propria ma richiedono, in ogni caso, attività istruttorie e decisionali finali a valle della ispezione sul campo, non fosse altro che per gestire i rapporti bidirezionali con le varie “case madri” dovrebbe essere essenziale un raccordo funzionale e non solo meccanicistico e burocratico delle varie esigenze ispettive fra loro e con le rispettive “case madri”. Sembra una preoccupazione accademica, ma non lo è qualora si rilegga la cronaca della tutto sommato breve vita di Equitalia partita con ricchezza di strumenti coercitivi funzionali alla realizzazione del suo obiettivo “unico” (fare cassa e rendere quo il mondo dei “morosi”) via via ridimensionati e sottratti in ragione di esigenze e valori paralleli e confliggenti.
Da ciò un'ulteriore complessità della costruzione del nuovo soggetto, agevolmente superabile, in ipotesi, individuando sempre l'esigenza prioritaria e irrinunciabile rispetto alla quale orientare la riforma, salvo appoggiarci altre letture; non tanto per evitare fastidi alle aziende, quanto per completezza della visione dell'azienda e del suo agire, base per valutarne complessivamente la qualità e regolarità sostanziale. 
11. La riconduzione a unità delle funzioni e risorse non “obbliga” a vigilare sempre tutti insieme ma valorizza anzi specificità e compiutezza dell'intervento
Al fondo delle obiezioni, cioè, e delle stesse repliche c'è forse un equivoco, a  nostro parere, nel senso che la creazione dell'Agenzia vuol essere garanzia della razionalità dell'intervento, strumento per sollecitare comportamenti virtuosi a 360°  ma non un obbligo a realizzare comunque ad ogni accesso l'intera lettura della condizione aziendale. Ciò anche al fine di non sopprimere la tipica ispezione “improvvisa” di cui la Risoluzione dell'Eurogruppo (v. retro) sottolinea l'efficacia   rispetto alla funzione ritenuta essenziale delle ispezione, la lotta al lavoro nero.
In questo senso, quindi, non dovrebbe essere necessario guardare tutto ma tutto quello che serve nell'ambito del una strategia coordinata volta a garantire, come si sollecita nella Risoluzione un'efficace tutela sostanziale dei lavoratori in azienda e un adeguato controllo del rispetto delle condizioni di equità della concorrenza sul mercato. A quest'ultimo proposito, del resto, la lettera l) del comma 6  del Jobs Act stabilisce che il Legislatore delegato deve operare con l'introduzione di specifiche disposizioni che concorrano a promuovere il principio di legalità, dando priorità alle politiche volte a prevenire e scoraggiare il lavoro sommerso in tutte le sue forme secondo quanto espressamente affermato nelle Risoluzioni del Parlamento europeo del 9 ottobre 2008 sul rafforzamento della lotta al lavoro sommerso e del 14 gennaio 2014 sulle ispezioni sul lavoro efficaci come strategia per migliorare le condizioni di lavoro in Europa . 
A leggere, dunque, il comma 7 nel contesto della Legge 183 e in continuità con la Legge del 2004 sui servizi ispettivi e il decreto 81/08 sulla prevenzione può cogliersi l'idea guida di una funzione di servizio degli interventi ispettivi, un modo per stare (anche)  accanto  a imprenditori e lavoratori che nella situazione di confusione e “nebbiosità” richiamata all'inizio potrebbe assumere una positiva valenza tenuto conto soprattutto della composizione del tessuto produttivo del Paese e, oltretutto.
Non a caso, del resto, proprio le riforme succedutesi nell'ultimo decennio hanno valorizzato – come sottolineato dalla Corte dei conti nella già citata Relazione - il ruolo attivo dell'ispettore con funzioni che travalicano il meccanicismo del mero riscontro indagatorio.  Nel rileggere l'iter di formazione del decreto 124/2004,  Paolo Pennesi (in La riforma dei servizi ispettivi a cura di Pennesi, Massi, Rausei……) sottolinea come la delega per detta riforma costituisse uno dei pilastri della riforma del mercato del lavoro dell'epoca con strumenti atti a promuovere e orientare correttamente i datori di lavoro e a dare effettive e sollecite risposte alle concrete esigenze dei lavoratori.
Questo obiettivo trovava, ricordano gli AA.,  concreto riscontro nel decreto  che affiancava all'ordinaria “vigilanza”, funzioni prevenzionali anche consulenziali, nonché il potere di incidere – come già ricordato - sui rapporti contrattuali in termini conciliativi  (la conciliazione monocratica) tali da fornire ai lavoratori un immediato riscontro a loro pretese economiche (la diffida accertativa per crediti patrimoniali).
Non interessa, in questa sede, l'esame di tali poteri e prerogative nel loro dinamismo operativo essendo sufficiente l'accenno alla loro varietà e alla significativa differenza fra ispettori del lavoro e previdenziali di là dalla identità di “oggetto” dell'attenzione con raggio, peraltro, non interamente coincidente. Diversità, del resto, che trova riscontro nel ruolo di coordinamento assegnato ai primi per interventi sul territorio; un'opportunità mai utilizzata fino in fondo in sede amministrativa di là dalle previsioni legislative che, peraltro, hanno sempre cercato di collegare ruoli ministeriali e previdenziali con la previsione di comitati e commissioni di coordinamento.
12. Resta immanente l'esigenza di tenere assieme i “pezzi” del Lavoro e Welfare: la Bozza accelera la deriva centripeta con l'affermazione delle mani forti politiche e amministrative.
Il richiamo ci interessa, piuttosto, per “ arricchire” il panorama delle complessità della riforma proposta con lo Jobs Act. E' chiaro, infatti,  che qualunque sia la scelta del decreto delegato (coordinamento/Agenzia) essa sicuramente dovrà farsi carico della integrazione nel nuovo circuito istituzionale di funzioni e responsabilità che già fanno parte del nuovo DNA dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro. Farsi carico subito o a mano a mano che esplodono contraddizioni o problemi come nel caso della riforma delle pensioni.
Questo DNA è stato fino a ora disegnato con una volontà di fondo di restituire allo Stato, le mani forti del sistema pubblico, l'effettivo governo dell'intero meccanismo di controllo. Un obiettivo legittimo, trasfuso anche nelle proposte di riforma del Titolo V della Costituzione, che proprio con riferimento all'istituenda Agenzia potrebbe entrare in rotta di collisione con il parallelo processo di riconduzione  all'INPS dei compiti più vari, ormai consolidatosi fino a configurarlo operatore unico del sistema di Welfare con il corollario delle reti di intermediari.   Al p di quello 
Il profilo non è da sottovalutare qualora si consideri che il progressivo trasferimento all'INPS della generalità delle funzioni previdenziali e assistenziali è stato operato per esigenze architetturali ma soprattutto in ragione della comprovata capacità gestionale dell'Istituto da tutti ritenuta eccellente; tanto che, come vedremo da ultimo,  non a caso per la vicenda delle ispezioni è stata ventilata l'idea di semplificare i problemi realizzando l'unificazione con i trasferimento di tutte le funzioni ispettive non sanitarie all'INPS salvo riaprire la partita dopo la riforma del Titolo V della Costituzione.
E' un aspetto importante, come vedremo nel successivo paragrafo, soprattutto perché rende più complessa la soluzione di un altro nodo della scelta per l'Agenzia, riguardante i rapporti che essa dovrebbe intrattenere, per definizione, con una propria “casa madre”;  una questione già affrontata per le Agenzie fiscali in termini che potranno fornire utili riferimenti per la nuova Agenzia.
13. Le agenzie fiscali e l'Agenzia per le ispezioni. Diversità di funzioni e  di collocazione 
al servizio, in piena autonomia,  di obiettivi e programmi dati dal Ministro del lavoro
Le Agenzie fiscali, infatti, si muovono nell'ambito dei poteri e delle funzioni del MEF che definisce gli  obiettivi e finalità che esse devono realizzare nell'ambito delle loro competenze specifiche, tutte riconducibili alla gestione e acquisizione delle entrate pubbliche  e correlativi beni pubblici. La Bozza poi ritirata affronta il problema in modo “semplice” come vedremo nel successivo paragrafo, limitandoci in questa sede di prima riflessione a spunti tratti, appunto, dall'esperienza delle Agenzie fiscali e, ma è dubbio il riferimento, di Equitalia. 
In questo contesto l'Agenzia delle Ispezioni dovrebbe essere posta sotto la sovrintendenza del Ministero del lavoro al servizio degli obiettivi fissati con il programma generale dal Ministero; fissati, si dovrebbe ritenere salvo il disposto della Bozza a tale riguardo (V. POI), comunque d'intesa (anche) con gli enti utilizzatori  - e in sostanza committenti - dei servizi e dei prodotti dell'Agenzia. Lo stesso Ministero, al suo interno, dovrebbe accentuare la separazione fra funzioni politico-amministrative e funzioni operative – nel caso di specie le attività ispettive – creando un meccanismo cliente-fornitore parallelo e non confliggente con quello strategico di programmazione, indirizzo e controllo rispetto sull'Agenzia nella sua funzionalità complessiva. 
E' alto a questo punto il rischio di “incomprensioni” fra i vari livelli di responsabilità stante l'attuale assetto del mondo del lavoro e del welfare nel quale le leve gestionali delle questioni “da ispezionare” resterebbero fuori dalla responsabilità e gestione del Ministero. Da ciò una presumibile, forse inevitabile, accelerazione del processo di trasformazione degli enti previdenziali in enti strumentali puri, allineati per livello di  gerarchia rispetto al Ministero, alla stessa Agenzia per le ispezioni e all'altra Agenzia, per il lavoro, prevista dal Jobs Act.
Il panorama si presenta indubbiamente complesso, anche perché l'obiettivo della delega è più ambizioso: vorrebbe essere – ma è solo un enunciato mediatico a beneficio della categoria - il ridimensionamento del “peso” sulle aziende di tutte le forme di vigilanza che inevitabilmente passa per il coinvolgimento dei controlli per la prevenzione (oggi tenuti fuori dati i vincoli costituzionali superabili in una “imminente” riforma del Titolo V), della Guardia di Finanza e di svariati organismi nazionali e regionali di cui manca lo stesso censimento.
14. Complessità sempre nuove nei meandri dell'”attuazione”: non impossibilità, consapevoli che la partita si chiude con la riforma del Titolo V della Costituzione
La complessità, peraltro, è un elemento che può dimensionare tempi e modi di realizzazione dell'obiettivo ma non  può essere un ostacolo per riforme che incidano su situazioni sedimentate in un secolo con accavallarsi di ideologie politiche e amministrative, leggi ecc. Un analogo complesso di difficoltà, ad esempio, non ha impedito la nascita di Riscossione spa, poi Equitalia a partire da un mondo di esattori che si riteneva insuperabile. Non a caso, quindi, l'operazione si è snodata per più fasi con avanzamenti e arretramenti scontati quando si toccano interessi consolidati, posizioni differenti, a partire dalle persistenti differenze di stato giuridico e trattamento economico fra gli addetti ai vari comparti. Senza trascurare le rivendicazioni di orgoglio di questi addetti da cogliere non come manifestazioni corporative ma come espressione preziosa di senso di appartenenza, essenziale per la riforma.
Siamo di fronte, insomma, a un obiettivo complesso ma non impossibile poiché la complessità non può essere, non deve essere una scusa per non fare. 
La realizzazione è doverosa e urgente, anzi, poiché da essa dipende, come tutti rilevano, la riuscita stessa della riforma del mercato del lavoro e il rilancio di un'economia tarpata dal “nero” e dalla illegalità. Non a caso, così,  l'Agenzia per le ispezioni è collocata nello stesso Jobs Act accanto all'Agenzia federale per il lavoro  che si propone, rispetto a uno scenario ben più ampio, di creare una funzione di sovrintendenza e coordinamento fra tutte le funzioni e competenze riguardanti i vari aspetti del mercato del lavoro e della sua disciplina (ponendosi nella ideale scala gerarchica fra il Ministero, organo politico, enti previdenziali, Agenzia per i controlli ecc.? Oppure con l'Agenzia equi ordinata rispetto agli enti, come vedremo poi ? 
A fronte di ciò la soluzione dei problemi resterebbe “abborracciata” o, peggio, dannosa qualora, preso atto dell'attuate quadro istituzionale, si  tentasse di creare un surrogato in attesa – come clausola di stile - di un nuovo Titolo V della Costituzione con recupero centripeto di funzioni in materia di lavoro allo Stato: L'esperienza insegna che le soluzioni abborracciate comportano il rischio e le trappole di tante riforme che si sono succedute – da ultima quella del 2004 – con serena inconsapevolezza (penso sempre al rapporto riforma delle pensioni- esodati)  delle insidie di percorso e difficoltà oggettive da superare.
Nel caso nostro la prima insidia, è quella di ricominciare tutto da capo, creando una micidiale catena di prerequisiti come quello, classico del settore, della necessità di  una “Banca dati”, senza la quale non sarebbe possibile nemmeno prendere in considerazione ulteriori passaggi. E per fare la Banca dati, ovviamente, si deve partire da zero – nessuno in politica sa bene di che si tratta, salvo buttare là qualche micidiale accenno a suggestive prospettive di “cooperazione applicativa” -  e ci vogliono soldi, tanti soldi che non ci sono e nemmeno sono previsti perché il legislatore ha chiarito che la riforma deve essere a costo zero.  E' questa la criticità da battere in breccia e da cui partire per realizzare la riforma, dando per scontato che l'alternativa presente nell'articolo della delega tale non è o non deve essere e una soluzione coerente per l'avvio potrebbe essere (ma la Bozza va già oltre) quella di poiché per definizione:
quale che sia il momento di nascita dell'Agenzia, la complessità e la rapida evoluzione degli scenari potrebbe comportare che comunque dovrà esistere un parallelo sviluppo dell'Agenzia, da un lato, del coordinamento dall'altro, sempre immanente sia pure con contenuti e modalità mutevoli. Coordinamento, non fosse altro, fra i servizi e obiettivi dell'Agenzia e quelli dei vari committenti del suo agire;
con riferimento agli strumenti e strutture strettamente ispettive, poi, solo partendo subito dal coordinamento, dalla messa a fattor comune di tutti gli addendi  potrà realizzarsi un primo nucleo di avvio dell'Agenzia da affinare via via rispetto a obiettivi magari circoscritti ma da realizzare come  obbligo sanzionato.
15. Complementarietà fra Coordinamento dinamico e consolidamento di Agenzia: garanzia di passaggio ordinato verso una nuova organizzazione del Welfare a partire dalla disaggregazione – lo dice la Corte dei conti – dell'attuale.
I due termini del problema – Coordinamento e Agenzia – non sono dunque alternativi ma complementari: permanentemente complementari sia pur a geometrie variabili in relazione all'evolversi del sistema, del mercato del lavoro ecc. Si eviterebbe, così, il rischio – ma è comunque problema di volontà politica – che anche questa ipotesi funzionale, nelle intenzioni, al successo della operazione possa risolversi in un alibi per fermare tutto, come è stato per il decreto del 2014 con il chiaro richiamo a una Banca dati, mai realizzata ma rimasta come foglia di fico per la volontà di non fare. 
Proprio le esperienze maturate da INPS e da INAIL confermano, invece, che rispetto a un messaggio certo e governabile nella modularità sono possibili risultati significativi “in progress”  con strumenti e risorse tecnologiche e  professionali a disposizione per costruire il futuro realizzando nel frattempo il presente degli obiettivi. Là stessa esperienza, peraltro, ha dimostrato e sta dimostrando come sia scarsa in generale la disponibilità a muoversi  su questa strada, forse più apparentemente lunga, ma di sicuro successo come le esperienze maturate in proposito stanno a dimostrare. A partire, cioè, da una chiara e consapevole volontà politica che sia ferma e accurata nel definire gli  obiettivi i risultati (autenticamente) vincolanti che si propongano ai responsabili dell'operazione, rifiutando qualsiasi tentazione di definire con la legge il “come”, rifiutando la logica del “il problema è un altro”,  dando per scontato che le sistema Paese e in quello della Pubblica amministrazione esistono risorse professionali, risorse tecnologiche già operative, masse ordinate di informazioni che consentono di partire con una riforma via via da perfezionale.
Tutto questo senza dimenticare il punto chiave richiamato all'inizio di questa nota e cioè che sarebbe vano – un mero virtuosismo gestionale e tecnologico – partire dalla coda, dal momento della vigilanza, senza accelerare a monte, in parallelo con la fase di primo coordinamento e impianto dell'Agenzia, l'avvio dei presupposti di ordine strutturale e sostanziale che consentano un conclusivo e duraturo snellimento, la semplificazione da tutti invocata e sempre ricercata – a torto – nelle fasi finali dei percorsi di gestione e riforma. 
E' chiaro, così, che solo la riforma del Titolo V della Costituzione per un ricompattamento delle competenze in materia di lavoro e Welfare potrà garantire un “semplice” ricompattamento a valle dell'operatività ispettiva, qualora sia questo l'obiettivo che si intende perseguire. E' chiaro anche come solo la semplificazione delle normative in materia di lavoro, la definizione di parametri certi per la regolarità sostanziale in materia di sicurezza del lavoro ecc. potranno rendere agevole la costruzione di un sistema coordinato.
Questo sistema, e solo esso, potrebbe consentire,  ad esempio, la valorizzazione delle norme in tema di abuso del diritto e, in parallelo, la massima espansione delle potenzialità di sviluppo di un'Agenzia per i controlli od altro organismo similare. Si tratta, per quest'ultimo aspetto, di operazioni di ingegneria istituzionale da vagliare attentamente alla luce de requisito generale prima richiamato, la riforma del Titolo V della Costituzione. Questa riforma può e deve avere contenuti ormai largamente  condivisi che possono fornire una sponda organica alla concretizzazione di molte riforme ipotizzate con il Jobs Act. Puntare, oggi, esclusivamente su alchimie organizzative e non su un forte impegno per sinergie e l'”uso di quello che c'è” significherebbe creare altre sovrastrutture, rigidità e, comunque, i presupposti per fiere resistenze a una riforma complessiva e lineare.
Non a caso, nella Relazione più volte citata la Corte dei conti chiude le considerazioni conclusive rilevando che
A questo proposito si esprime l'avviso che un assetto regolatorio correttamente impostato in tema di lavoro e previdenza  sociale  debba affidarsi maggiormente ad interventi legislativi di tipo preventivo- promozionale con aspetti di premialità verso le imprese virtuose,  da coniugarsi con le misure afflittive in modo da orientare i comportamenti dei soggetti coinvolti, datori di lavoro e lavoratori, verso un maggiore adempimento spontaneo delle disposizioni di settore. Rimane, peraltro, ancora insoddisfatta l'esigenza di realizzare l'integrale messa in rete delle varie banche dati esistenti e definire una strategia che, nel superamento della legislazione emergenziale, esalti il ruolo centrale della funzione ispettiva, possibilmente “integrata” nel rispetto delle professionalità e competenze specifiche, ed assicuri un coordinamento veramente efficace degli interventi sia nella fase programmatoria che in quella  operativa. Senza una vera e propria cabina di regia a livello nazionale con incisivi poteri di coordinamento, la presenza di una molteplicità di soggetti ispettivi, che dovreb be di norma ampliare la capacità complessiva del sistema di controllo, rischia di determinare nella realtà sovrapposizioni di interventi e di competenze, difformità di  valutazioni e di  criteri  di  selezione ed anche,    in taluni casi, forme di trattamento sperequate nei confronti delle diverse posizioni oggetto di ispezione. Non sembra che esistano alternative alla forte richiesta di potenziamento dell'attività di vigilanza e controllo nel mercato del lavoro se non l'opzione favorevole all'accentramento in un unico soggetto di diritto pubblico dell'attività di pianificazione e gestione delle proiezioni ispettive nella materia giuslavoristica e previdenziale, con la previsione di efficaci strumenti di coordinamento con la vigilanza resa in materia di sicurezza e tutela sui luoghi di lavoro. Ovviamente, un'eventuale iniziativa normativa in tal senso presuppone il venir meno di qualsiasi residuale potere ispettivo in capo al Ministero ed agli Istituti previdenziali ed assicurativi. 
Non occorre aggiungere altro come viatico per la riforma – e individuazione di scenari - che il Governo e il Parlamento si accingono a completare; come viatico e come spinta a un intervento meditato ma chiaro nell'obiettivo e nel percorso, senza trascurare i contraccolpi sull'assetto generale del Welfare istituzionale, da governare  senza lasciarsi condizionare da essi.
§III) Una prima Bozza: tutta da riscrivere? Aggiustarla con riordini paralleli dei servizi del Welfare, mai “fermarla” in un clima di  stagnazione 
Nei precedenti capitoli abbiamo sviluppato un ragionamento sugli scenari della delega in attesa di valutarne l'attuazione nella “Bozza” più volte citata con un percorso ricognitivo di spunti di riflessione circa le dimensioni della manovra che si intenderebbe avviare: “avviare”  -  non a caso - poiché riteniamo, senza alcun giudizio di valore, che la nascita dell'Agenzia nei termini poi prospettati con la Bozza creerebbe, se confermata,  uno smottamento progressivo dell'assetto organizzativo del nostro Welfare destinato ormai - non solo per questo motivo - a un progressivo riassestamento. Lo confermano, pur se non in modo esplicito e consapevole le prime reazioni alla lettura della Bozza i cui contenuti tendono proprio ad avviare l'anzidetto smottamento con le loro affermazioni “trancianti”. 
E ciò senza nulla togliere (apriamo una parentesi) al nostro iniziale sconcerto a fronte di un ennesimo capitolo dello “stop and go” con il Ministro che a fronte delle prime rimostranze sindacali ritira il decreto dall'ordine del giorno del CdM per approfondimenti; quasi che si trattasse di un ballon d'essai lanciato per vedere l'effetto che fa, dove spira il vento (b.d.e. :Palloncino che, lanciato in aria prima dell'ascensione di una mongolfiera, segnalava la direzione del vento). 
Il vento, ovviamente, non è sembrato favorevole se già all'indomani delle prime notizie a fronte delle critiche sindacali (quelle della FP CGIL) la Bozza è stata congelata con un'indiretta conferma della complessità della questione e quale riconoscimento di una doverosa attenzione per le ragioni degli interlocutori. Sarebbe incomprensibile, altrimenti, il fatto che una scelta architetturale come quella della Bozza possa essere stata ideata senza conoscere perplessità, difficoltà e antitetiche posizioni di ordine sindacale ma anche di sistema. In questa sede non interessano le preoccupazioni più strettamente sindacali rispetto alle quali il Governo dovrà riconoscere la legittimità di critiche e rivendicazioni da parte di un corpo professionale fra i più qualificati, consapevole del proprio ruolo pur se frammentato per trattamento economico e giuridico. E già il fatto che i vari frammenti abbiano convissuto in un'autorevole associazione come l'ANIV è conferma della qualità di operatori che, come già accennato, non rendono un servizio ma per c.d., “sono il servizio”. E' un aspetto, quest'ultimo, che traspare poco dal testo della delega – se non per le “induzioni” che genera, mentre è molto chiaro nella Bozza come già è evidente da un sommario richiamo dei contenuti  molto scarni; e anche questo è un segnale.
Già nel primo articolo così la Bozza: - apre con un richiamo terminologicamente “retro” che accomuna nella dizione di  legislazione sociale i temi della previdenza, dell'assistenza sociale, dell'assicurazione infortuni e in parte della prevenzione; - - istituisce a partire dal 1. Gennaio 2016 l'Agenzia senza specificazioni sicchè l'”apertura” dovrebbe essere automatica salvo nuovo provvedimento di (eventuale) blocco; - riguarda i servizi e le funzioni ispettive del Ministero del lavoro, dell'INPS e dell'INAIL, con una previsione riduttiva a una più attenta lettura delle funzioni ispettive nel campo del lavoro e legislazione sociale; - prevede 18 sedi territoriali confermando così il carattere operativo della missione aziendale rispetto alla quale ampio spazio dedica ad assicurare al nuovo soggetto adeguati ambienti e risorse strumentali facendone carico agli enti previdenziali in forma pressoché gratuita.
Già con l'articolo 2, poi,  introduce un classico rinvio a 90 giorni per l'approvazione dello Statuto dell'Agenzia di cui non ritiene necessario fissare contenuti specifici e, senza soluzione di continuità,  precisa i compiti dell'Agenzia con formule che fanno pensare piuttosto all'elencazione di funzioni e compiti degli organi e uffici nulla aggiungendo alla già scarna previsione del Jobs Act perpetuando così il meccanismo di rinvio progressivo ad “altro testo” che esalta i difetti di un meccanismo di legiferazione con riprodursi continuo di “battaglie” sui punti caldi delle varie riforme.
Pur con questo limite di fondo, i successivi articoli riguardante le componenti organizzative del nuovo ente offrono una buona lettura delle prospettive strategiche di cui una con accurate argomentazioni. Riguarda l'esigenza di ridimensionare i costi di esercizio e a tal fine riduce il carico finanziario del servizio, dando per scontato che l'altro obiettivo – i benefici per le aziende – verrebbero da sé per il sol fatto dell'accorpamento. E' un assunto tutto da dimostrare, anche perché i disagi maggiori per le aziende continuerebbero a scaturire dal parallelismo con la vigilanza in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, vero obiettivo di proteste e richieste di modifica . 
Prescindiamo in questo primo approccio da queste considerazioni, già oggetto di vari approfondimenti e riflessioni di vario tenore. L'aspetto che più colpisce nel complesso delle previsioni organizzatorie, piuttosto, è la trasparente volontà di tenere fuori da tutta l'operazione proprio gli enti previdenziali finora protagonisti del sistema. Gli articoli della Bozza disciplinano, infatti, gli organi dell'Agenzia – Direttore, Comitato Direttivo con suo Presidente, Collegio dei revisori - che restano in carica per tre anni rinnovabili una sola volta a fugare le preoccupazioni del riprodursi di una “casta”, analogamente all'esclusione di rimborsi spese (divieto un po' limitativo dello scegliere soggetti non residenti a Roma).
Significativo è dunque il fatto che, elencati i compiti di Direttore e Comitato e glissando sulla presenza di un Presidente del Comitato a fronte del Direttore-organo (un'eco del dualismo Presidente INPS e Presidente del CIV INPS), non è prevista alcuna presenza di rappresentanti degli enti previdenziali né nel Comitato e nemmeno nella Commissione ministeriale di coordinamento dove sono presenti varie autorità ma i direttori degli enti previdenziali possono essere invitati a presenziare.
Se a ciò si aggiunga il continuo riferimento pur nello scarno testo – e poi nella Relazione tecnica- ai locali di proprietà degli enti da mettere a disposizione gratuitamente, allo scorporo del personale non ispettivo occorrente al funzionamento dell'Agenzia, alla “semplicità” con la quale si scaricano esuberi sui due enti (già gravati da Province e ex ISPESL), alle banche dati dei due enti da rendere disponibili magari con problemi di privacy ecc. sembra quasi un'“Opa ostile” nei confronti di detti enti previdenziali chiamati a fornire risorse, strutture operative, applicazioni gestionali, personale ecc. senza poter in nessun modo partecipare alla gestione e scelte del nuovo Ente del quale pur essi dovrebbero essere committenti e dal quale sono invece esclusi diversamente da quanto accaduto, ad esempio, per Equitalia. Eppure l'intreccio fra funzioni di gestione, servizio, controllo nel welfare sono ben più penetranti di quelli del mondo fiscale e non meraviglia, quindi, che a fronte di essa affiorino qua e là proposte alternative volte a affidare l'intera responsabilità organizzativa e funzionale del “sistema coordinato” proprio all'INPS, forte dell'esperienza e delle garanzie di capacità da tempo dimostrata e riconosciuta. 
E' un punto nodale che ripropone un antico dibattito sulla gestione del sistema dell'F24” che, all'epoca, l'INPS propose di gestire con analoghe motivazioni non condivise dal Ministro delle Finanze secondo il quale un servizio del genere non poteva che essere gestito dallo Stato, che avrebbe imparato a fare bene i compiti . Si riproporrà un dibattito del genere nell'approfondimento che il Ministro Poletti si è riservato di effettuare ? Certamente, a fronte di un testo della Bozza che sembra preoccuparsi solo del risparmio dimostrato da una Relazione tecnica simile a una nota per Bruxelles, la suggestione della scorciatoia INPS potrebbe essere forte. Di là dal merito della proposta, per la quale valgono le stesse obiezioni dell'epoca per l'F24, dubito però che essa possa essere condivisa in uno scenario di recupero, come già detto e come avvenuto con l'F24, di funzioni e poteri da parte delle “mani forti” della politica e dell'Amministrazione. 
In ogni caso, tutto ciò conferma che, quale che sia la scelta specifica, essa  contribuisce a un percorso di trasformazione senza meta – almeno dichiarata - del sistema di Welfare, frutto di spinte e controspinte, decisioni (apparentemente) episodiche per temi contingenti, come nel caso di specie che, peraltro, già potrebbe essere accostato per una prima sintesi alla parallela trasformazione dei servizi di front end del Welfare con centralità dei patronati; anche in questo caso con l'obiettivo che sembra prioritario di ridurre i costi dei servizi ma con risultati che si rifletteranno a ritroso sull'intero impianto organizzativo del Welfare.
A fronte di queste complessità e varietà di obiettivi strategici, resta, comunque, meritevole di attenzione l'idea di coniugare nascita di Agenzia e Coordinamento (le due possibilità dello Jobs Act)  per una gestione graduale ma certa della fase di passaggio e dei suoi problemi; senza escludere, magari, come primo passo una sorta di commissariamento, all'interno degli enti, dei servizi ispettivi, analogamente a quanto avvenne all'epoca della riforma sanitaria per lo scorporo dei servizi sanitari dell'INAIL.  
Quale che sia la bontà di proposte alternative, osservazioni critiche, preoccupazioni organizzative ecc. riteniamo, però, che esse abbiano nel tempo perso legittimazione per essere state  - oggettivamente - solo strumento per rinviare, non affrontare i problemi, lasciar cadere proposte politiche e decisioni legislative pur meritevoli di rispettosa attuazione. Il problema è stato sempre “un altro” e forse è scaduto il tempo per andare a cercarlo e occorre procedere con prudente fermezza consapevoli che lo stare fermi non supera i problemi ma li fa solo deteriorare ulteriormente. Solo una richiesta, per concludere riprendendo i temi del primo paragrafo. Il sistema della vigilanza va rifatto, i controlli resi più efficienti ed efficaci a parità di spesa ma non perché la loro immanenza è il male oscuro di aziende e mercato: il male, non oscuro, è – lo abbiamo detto all'inizio - il peso opprimente del “sistema” di regole, impegni, adempimenti ecc. che grava con crescente nebulosità sulle imprese e i cittadini; al confronto i controlli amministrativi, peraltro pochi, sono solo un povero “untorello”.
Pasquale Acconcia

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