Data: 20/03/2015 15:00:00 - Autore: Licia Albertazzi
di Licia AlbertazziCorte di Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza n. 3989 del 27 Febbraio 2015. 

Quando il datore di lavoro è responsabile nei confronti del dipendente che, affetto da patologia ne attribuisca le cause alle mansioni svolte, in perenne e costante stato di stress psicofisico

La domanda di risarcimento del danno del ricorrente, dopo essere stata rigettata sia in primo che in secondo grado di giudizio, viene presentata in Cassazione.

La Suprema corte riporta il principio ormai consolidato in giurisprudenza secondo il quale “la responsabilità del datore di lavoro, ex art. 2087 cod. civ., non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, è di natura contrattuale e sul piano della ripartizione dell'onere probatorio incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro ed il nesso causale tra questi due elementi, gravando invece sul datore di lavoro, una volta che il lavoratore abbia provato le suddette circostanze, l'onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno, sì che non possa essere a lui addebitabile l'inadempimento dell'obbligo di sicurezza previsto dalla norma”. 

L'art. 2087 cod. civ. infatti impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure idonee a tutelare l'integrità psicofisica del lavoratore. Nel caso in oggetto controversa è la situazione lavorativa prospettata dal ricorrente, secondo il quale sarebbe stato adibito a mansioni oltre l'orario lavorativo e in maniera continuativa, nonostante fosse lesivo per le proprie condizioni di salute. Tale valutazione tuttavia è riservata al giudice del merito, il quale ha correttamente proceduto ad accertare il fatto, conseguentemente dandone idonea motivazione in sentenza. Il ricorso è rigettato.


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