Data: 09/03/2015 19:10:00 - Autore: Avv. Gabriele Mercanti

La Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 25.614 depositata in data 3 dicembre 2014, esclude l'esperibilità dell'azione revocatoria – per insussistenza del c.d. consilium fraudis – avverso una vendita immobiliare effettuata in spregio al vincolo derivante da un precedente contratto preliminare di vendita stipulato dal proprietario con un altro soggetto.

In estrema sintesi questi sono i fatti di causa: il proprietario di un immobile, nonostante avesse concluso un regolare contratto preliminare di compravendita (1) avente ad oggetto tale cespite, vendeva il bene ad un soggetto diverso dal promissario acquirente, che – pertanto – agiva in revocatoria per vedere dichiarata l'inefficacia della vendita medesima.

La difesa del promissario acquirente, peraltro soccombente in entrambi i giudizi di merito (2), era imperniata su di un'asserita incontrovertibilità del c.d. consilium fraudis in capo all'acquirente: infatti, essendo quest'ultimo a conoscenza dell'esistenza di un precedente contratto preliminare, sarebbe stato ipso iure altresì a conoscenza del pregiudizio che l'atto di vendita avrebbe arrecato alle ragioni del promissario acquirente.

Prima di capire le ragioni sulle quali il S.C. ha fondato la reiezione della tesi de quo (e – quindi – anche del ricorso), occorre fare un piccolo passo indietro.

Uno dei presupposti legislativamente stabiliti per l'esercizio dell'azione revocatoria è che, trattandosi – come nel caso di specie – di atto a titolo oneroso concluso dal debitore dopo l'insorgenza del debito, il terzo “fosse a conoscenza del pregiudizio” (c.d. consilium fraudis) che l'atto avrebbe arrecato alle ragioni creditorie.

La ratio della necessaria sussistenza di tale presupposto soggettivo – il cui onere probatorio grava su chi agisce in revocatoria in base al principio generale di cui all'art. 2697 c.c. – è quella di salvaguardare il terzo acquirente di buona fede e, con esso, la sicurezza del traffico giuridico in genere: se così non fosse, nessun acquirente potrebbe mai sentirsi al sicuro in ordine al proprio acquisto non avendo – tranne che in casi eclatanti – la possibilità materiale e/o giuridica di verificare l'idoneità dell'atto a pregiudicare le ragioni del creditore del proprio dante causa. (3)

Ebbene, per ritornare alla fattispecie in indagine, può ritenersi automaticamente realizzato il consilium fraudis per il solo fatto che l'acquirente fosse a conoscenza dell'esistenza di un precedente contratto preliminare concluso dal proprietario con un altro soggetto?

Gli Ermellini non esitano nel dare risposta negativa al quesito, in quanto “la prova che l'acquirente dell'immobile era a conoscenza dell'avvenuta stipula del precedente contratto preliminare, da sola, non permette di ritenere dimostrata la sussistenza del “consilium fraudis”, ma è necessaria la prova della sua partecipazione alla dolosa preordinazione dell'alienante, consistente nella specifica intenzione di pregiudicare la garanzia del futuro credito”.

Si rileva che nel caso in esame, però, l'utilizzo del principio de quo (4) allo scopo di rigettare il ricorso era presumibilmente inconferente, in quanto in un passaggio del pronunciamento si percepisce chiaramente come fosse nei fatti indimostrata l'effettiva conoscenza in capo all'acquirente dell'esistenza del precedente contratto preliminare (5): il consilium fraudis, pertanto, non si sarebbe potuto per definizione avere.

In termini generali, invece, il principio di diritto enunciato dai Giudici del Palazzaccio impone – a parere di chi scrive – un'ulteriore riflessione: in particolare, ci si può legittimamente interrogare sulla compatibilità dello stesso con il noto principio giurisprudenziale della c.d. responsabilità (extracontrattuale) da induzione all'inadempimento (6).

Nella sostanza, ad un occhio miope, sembrerebbe che una medesima condotta (cioè l'aver concluso un contratto definitivo a danno del promissario acquirente) possa avere una differente valutazione nelle Aule di Giustizia a seconda della prospettiva dalla quale viene esaminata: irrilevante ai fini dell'accoglimento di un'azione revocatoria, rilevante – invece – ai fini di un'azione risarcitoria. Vi è comunque da sottolineare, a parere di chi scrive, che il maggior rigore richiesto per l'esercizio dell'azione revocatoria rispetto a quello per l'esperimento dell'azione risarcitoria può trovare spiegazione nella natura lato sensu reale della prima che, invece, manca nella seconda.

Avv. Gabriele Mercanti - Foro di Brescia - avv.gabrielemercanti@gmail.com

www.avvocatogabrielemercanti.it

(1) Nel caso in commento si trattava di un contratto preliminare non trascritto nei Pubblici Registri e, quindi, il promissario acquirente leso non poteva opporne gli effetti all'acquirente. Diverso esito avrebbe avuto la vicenda ove il preliminare fosse stato – invece – pubblicizzato presso l'Agenzia del Territorio – Servizi di Pubblicità Immobiliare perché in tal caso sarebbero potuti scattare gli effetti prenotativi di cui all'art. 2645 bis c.c. con conseguente inopponibilità della vendita al promissario acquirente.

(2) Cfr. Sentenze Tribunale di Venezia n. 93/2005 e Corte d'Appello di Venezia n. 1.210/2011.

(3) Anzi, salvi i casi in cui la sussistenza della situazione debitoria sia già degenerata in vicende pubblicizzate nei Pubblici Registri (una su tutte l'ipoteca giudiziale), il terzo nemmeno ha alcuno strumento per sapere se esistono debitori del proprio dante causa.

(4) Per analoga petizione di principio – scaturente dal simile caso della c.d. doppia vendita - cfr. Cass. n. 20.118/2013 a sua volta citata dalla Sentenza in commento.

(5) Nello specifico la mancata conoscenza è fondata sul triplice passaggio logico - giuridico: 1) la parte acquirente era una società non ancora costituita al momento della conclusione del preliminare; 2) non avendo la società acquisito ancora la soggettività giuridica si sarebbe dovuto accertare l'eventuale elemento psicologico non in capo all'organo gestorio della società bensì in capo ai soci della stessa; 3) l'elemento soggettivo in capo ai soci era stato escluso nel giudizio di merito con congrua motivazione.

(6) L'induzione all'inadempimento è una figura di creazione giurisprudenziale e dottrinale la cui sussistenza – in linea di principio – può aversi in tutti in cui “il terzo, con il proprio comportamento, abbia indotto il contraente a non adempiere”, cfr. sulle linee generali della figura Di Majo, ne “Le tutele contrattuali” – Giappichelli 2012 – pg. 84 ss. In giurisprudenza cfr su tutte, stante l'ontologica eterogeneità della figura, Cass. n. 6.160/1983 in base alla quale “il terzo che abbia cooperato con il debitore per rendere impossibile l'adempimento risponde ex art. 2043 c.c. verso il creditore”.


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