Data: 15/03/2015 19:30:00 - Autore: Luana Tagliolini

Luana Tagliolini

Ogni qual volta si eseguono interventi che coinvolgono le parti comuni c'è sempre il problema dell'estetica e del rispetto del regolamento di condominio con cui fare i conti.

Se per l'interpretazione del secondo non sussistono grossi problemi, sussistono, invece, per il concetto di “estetica dell'edificio” la cui valutazione non è rimessa all'assemblea ma all'insindacabile giudizio del giudice.

In un recente caso, il Condominio aveva inoltrato domanda di rimozione di un manufatto (veranda) realizzato dalla convenuta, in quanto, a suo dire, la costruzione violava le prescrizioni del regolamento di condominio e danneggiava il decoro architettonico e l'estetica dell'edificio.

La vicenda si concluse, in primo grado, con l'accoglimento della domanda da parte del tribunale e conseguente condanna della convenuta alla "demolizione ed eliminazione" del manufatto; con il rigetto dell'appello del condomino in quanto la Corte di appello aveva ritenuto che bastava “osservare le fotografie allegate dalla CTU per rendersi conto della completa difformità della veranda rispetto al resto dell'architettura dell'edificio, che, comunque, ha un suo pregio e una sua caratteristica ben evidente all'osservatore, per cui la nuova e difforme edificazione risalta in modo evidentissimo", per cui il manufatto era lesivo dell'estetica e del decoro dell'edificio.

Alle stesse conclusioni giunge la Corte di Cassazione (sent. n. 2109 del 2015) per la quale, infatti, “l'apprezzamento reso dalla Corte di appello è motivato, non sulla base di una impressione soggettiva, ma sulla base di una descrizione di per sè molto significativa (si pensi ai materiali e alla copertura) della offensività del manufatto rispetto al fabbricato originario e al suo insieme architettonico”.

Tra l'altro, osservano i giudici di legittimità, l'opera denunciata rientra concettualmente nella nozione di intervento sulla porzione di piano di proprietà personale, ex art. 1122 codice civile, che non deve essere oggetto di modifiche che rechino danno alla cosa comune.

Il danno (art. 1122 c.c. novellato dalla legge n. 220/2012) che preclude la possibilità di eseguire l'opera sulla porzione esclusiva (ovvero sulle parti normalmente destinate all'uso comune che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale) consiste nel pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edifico; tali danni sono, tra l'altro, gli stessi che si devono evitare per le innovazioni deliberate a maggioranza dall'assemblea condominiale (art. 1120 c.c.) stante gli interessi condominiali che, in entrambi i casi, non possono essere lesi.

E' questo il percorso logico che, a dire dei giudici di legittimità, giustifica l'applicabilità dell'art. 1120 c.c., alle attività del singolo su parti di proprietà privata (o destinate all'uso individuale) comunque finalizzate all'uso più intenso della cosa comune.


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