Data: 03/04/2015 09:25:00 - Autore: Giovanni Tringali

Riflessioni preliminari sul concorso eventuale

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Leggendo il titolo del concorso di persone nel reato si ha l'impressione di essere entrati in un campo minato in cui si scontrano due esigenze contrapposte: da una parte vi è l'obiettivo di rendere punibili comportamenti che altrimenti non lo sarebbero in base alle singole norme incriminatrici, dall'altra i principi costituzionali in materia di responsabilità penale “personale”[1] ovvero il principio di legalità e soprattutto il sotto-princio di tassatività o sufficiente determinatezza della fattispecie penale.

La rinuncia, da parte de legislatore, ad una distinzione analitica delle varie forme di partecipazione (c.d. modello differenziato), se da parte ha rappresentato un indubbio vantaggio, per altro verso ha creato il pericolo di un eccessiva dilatazione della responsabilità a titolo di concorso. Nella relazione accompagnatoria al progetto di legge sul concorso di persone nel reato si legge che la disciplina è ispirata a due principi: determinatezza e colpevolezza. Nella realtà la norma evita di specificare cosa sia il concorso e quando si realizzi eludendo, pertanto, il problema della determinazione della responsabilità del compartecipe. Come era ovvio, la questione è passata alla dottrina e alla giurisprudenza, ma ciò non sarà oggetto di quanto si dirà appresso, che vuole essere semplicemente un contributo al “giurista di strada”, a colui, cioè, che è costretto su due piedi a decidere se un concorso, nel coso concreto, ci sia o no.

Il concorso di persone nel reato

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Il concorso di persone nel reato determina un vincolo occasionale tra più persone circoscritto alla realizzazione di uno o più reati determinati. Esso dà vita ad una entità collettiva contingente, creata da coloro che ne fanno parte sul presupposto che l'unione delle forze renda possibile o quantomeno più agevole la commissione di un reato astrattamente realizzabile anche da un autore singolo (nel reato di associazione per delinquere il vincolo non è occasionale, ma diretto all'attuazione di un programma criminoso, volto cioè alla commissione di una serie indeterminata di delitti con la permanenza del vincolo associativo tra gli autori).

Tradizionalmente si distingue tra:

a. concorso eventuale che ricorre ex art 110 quando più persone concorrono nel reato;

b. concorso necessario che ricorre quando è la stessa fattispecie incriminatrice di parte speciale a richiedere la presenza di più soggetti per la integrazione del reato (es. rissa ex art. 588 c.p., corruzione ex art. 318 c.p.).

Il concorso di persone nel reato è caratterizzato dalla presenza di una serie di elementi strutturali:

  • la pluralità di persone
  • la commissione, in forma plurisoggettiva, di un reato
  • il contributo causale di ciascun concorrente
  • l'elemento soggettivo tipico della commissione plurisoggettiva del reato

La pluralità di persone

Per aversi il concorso di persone nel reato è sufficiente che almeno due persone partecipino all'azione. Non è necessaria la punibilità di tutti i correi essendo sufficiente il materiale concorso nel reato anche laddove uno o più dei correi risultino non punibili per difetto dell'elemento soggettivo o in quanto non imputabili. Ai fini della punibilità, a titolo di concorso, è sufficiente che anche uno solo dei soggetti concorrenti sia punibile ed abbia la volontà o la consapevolezza di aver realizzato il fatto di reato in forma concorsuale.

L'assunto che il concorso si configura anche quando taluno dei concorrenti non è punibile o non imputabile trova riscontro negli artt. 112[2] e 119[3] del c.p.

In particolare, l'ultimo comma dell'art. 112 stabilendo che gli aggravamenti di pena da esso stesso stabiliti si applicano anche se taluno dei partecipi al fatto non è imputabile o non è punibile implica che ai fini della sussistenza del concorso si può prescindere dalla punibilità di qualcuno dei concorrenti.

D'altra parte l'art. 119, affermando che le circostanze "soggettive" che escludono la pena per taluno di coloro che sono concorsi nel reato hanno effetto soltanto riguardo alla persona cui si riferiscono, sancisce che la pluralità di soggetti sussiste anche se taluno sia incapace di intendere o di volere o agisca senza volontà colpevole.

La commissione, in forma plurisoggettiva, di un reato

Tradizionalmente si distingue:

1) Il concorso necessario di persone nel reato, dove è proprio la norma incriminatrice a prevedere che il fenomeno della convergenza di più condotte dia luogo ad un solo reato. La norma incriminatrice viene a qualificare un fatto che è già pensato dall'ordinamento in termini di realizzazione plurisoggettiva, per cui, in assenza di pluralità di persone, non c'è reato (es. rissa);

2) Il concorso eventuale che si realizza allorquando un reato, che può essere commesso anche da una sola persona, è in realtà commesso da più persone. La norma incriminatrice prevede la realizzazione monosoggettiva, grazie all'art. 110 c.p. il reato può essere attribuito a più persone. Con la precisazione che un concorso eventuale è ammissibile anche nella realizzazione di un reato necessariamente plurisoggettivo (il caso di chi istiga altri a una rissa).

In tema di concorso, più che in altri casi, occorrerà fare attenzione al pieno rispetto del c.d. principio di materialità secondo cui non può mai esservi reato, né di conseguenza pena, se la volontà criminosa non si materializza in un comportamento esterno (cogitationis poenam nemo patitur - nessuno può subire una pena per i suoi pensieri).

E' possibile il concorso in delitto tentato, ma non è possibile il tentativo di concorso. Vediamo cosa significa.

Per potersi applicare le norme sul concorso di persone nel reato occorre che almeno due soggetti concorrano alla commissione di un reato dove per “commissione” si intende:

Non è invece rilevante il tentativo di concorso, cioè l'attività svolta al fine di concorrere, qualora il reato non sia commesso. Il principio si desume dall'art. 115[5] c.p., che dichiara la non punibilità dell'accordo e dell'istigazione non seguiti dalla commissione del reato concertato o istigato, ammettendo solamente che tali condotte possano essere valutate come sintomo di pericolosità ai fini dell'eventuale applicazione di una misura di sicurezza.

Per quanto concerne il tentativo occorre tenere a mente che:

1) gli atti preparatori possono configurare l'ipotesi del tentativo, allorquando essi rivelino, sulla base di una valutazione ex ante (e indipendentemente dall'insuccesso determinato da fattori estranei), l'adeguatezza causale nella sequenza operativa che conduce alla consumazione del delitto. In altri termini, l'idoneità degli atti preparatori ai fini della sussistenza del tentativo va valutata ex ante e si realizza quando essi rivelino l'adeguatezza causale e l'attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto, indipendentemente dall'insuccesso determinato da fattori estranei;

2) in materia di inequivocità, gli atti stessi devono ritenersi tali quando oggettivamente e in sè medesimi, per il contesto nel quale si inseriscono e per la loro essenza e la loro natura, rivelino l'intenzione, cioè il fine dell'agente (ai fini dimostrativi della intenzione possono essere considerate anche le dichiarazioni degli agenti o altri elementi sintomatici desumibili da qualsiasi elemento di prova);

3) sulla desistenza, si è affermato nella giurisprudenza che, ove si tratti di reato commesso in concorso, per beneficiare dell'art. 56 c.p., comma 3: «Se il colpevole volontariamente desiste dall'azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sé un reato diverso», occorre che l'attività del concorrente:

In verità, ci si deve chiedere se per andare esente da pena il concorrente possa limitarsi a neutralizzare il proprio contributo alla realizzazione del fatto collettivo o debba invece impedire la consumazione del reato da parte degli altri correi. Per affrontare la questione occorre partire dal ruolo effettivamente ricoperto dal soggetto nella commissione del reato:

a) esecutore, in tal caso interrompendo l'attività già iniziata egli, avendo il massimo dominio su ciò che può accadere, produce l'effetto di impedire la consumazione del reato stesso;

b) complice, normalmente ha fornito interamente il suo apporto per la commissione del reato per cui sarà costretto ad attivarsi per neutralizzare le conseguenza della sua partecipazione. Partendo dalla considerazione che il principio cardine della "personale" responsabilità penale si applica anche al concorso di persone del reato, è da ritenere che il complice sia esente da pena e che la sua desistenza valga a sottrarlo da responsabilità tutte le volte in cui riesca a neutralizzare il suo apporto (esempio, se Pasquale ha fornito un attrezzo da scasso a Giuseppe ma poi si pente e riesce a riprenderselo, costringendo Giuseppe a ricorrere ad altri strumenti, la sua desistenza lo esonererà da responsabilità penale non essendo necessario che egli impedisca il furto).

E' appena il caso di precisare che, essendo la desistenza una causa personale di esclusione della pena, essa non si estende a tutti i concorrenti ma esime da responsabilità solo il soggetto cui si riferisce.

Si parla invece di pentimento operoso tutte le volte che l'attività criminosa collettiva sia giunta a termine e che uno dei soggetti riesca ad impedire il verificarsi dell'evento. Ha natura di circostanza attenuante "soggettiva" e quindi si applica esclusivamente al correo cui strettamente si riferisce (esempio, Pasquale e Antonio si mettono d'accordo per uccidere Giuseppe a colpi d'arma da fuoco: dopo aver esploso i colpi, Antonio si pente e soccorre Giuseppe portandolo all'ospedale salvandogli la vita. L'attenuante si applicherà solo ad Antonio).

Il contributo causale di ciascun concorrente

Il modello unitario adottato dal codice Rocco del 1930 è caratterizzato dalla mancanza di ogni differenziazione descrittiva fra le varie figure dei concorrenti, difatti, l'art. 110 c.p. stabilisce che quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, non distinguendo tra le varie condotte di concorso, considerandole equivalenti.

Si riconoscono, tradizionalmente, tre teorie che cercano di individuare i “coefficienti minimi” che giustificano l'incriminazione di chi concorre nel reato:

1) teoria condizionalistica, la quale esige che l'azione del compartecipe costituisca condicio sine qua non del fatto punibile (ausilio necessario dell'azione);

2) teoria della causalità agevolatrice o rinforzo, alla stregua della quale è ritenuto penalmente rilevante anche il contributo che si limiti ad agevolare o facilitare il reato;

3) teoria dell'aumento del rischio, secondo la quale basterebbe che l'azione del partecipe appaia ex ante idonea a facilitare la commissione del reato accrescendone le probabilità di verificazione.

(1) Il concorso morale

Riguardo al tipo di contributo dato dal concorrente, si può verificare che il soggetto:

a) faccia sorgere in altri la volontà criminosa (stimolo);

b) ne rafforzi l'intento;

c) agevoli la commissione del reato dal punto di vista psicologico.

Da questo punto di vista, possiamo enucleare tre figure:

Ø determinatore, che è il compartecipe che fa sorgere in altri il proposito criminoso prima inesistente;

Ø istigatore, che è colui che si limita a rafforzare o a eccitare in altri il proposito criminoso già esistente;

Ø agevolatore, colui che si limita a facilitare il reato.

Non rileva penalmente la semplice connivenza, che ricorre quando un individuo assiste passivamente alla perpetrazione di un reato che avrebbe la possibilità - ma non l'obbligo giuridico - di impedire. Non esiste un obbligo generale per i cittadini di attivarsi per impedire la commissione di reati. E' punibile chi concorre nella commissione di un reato determinando, rafforzando o agevolando la volontà altrui, ma non colui (privato cittadino) che si “limita” a non attivarsi per impedire la commissione di un reato.

La presenza sul luogo del delitto

Qualora la presenza agevoli o rafforzi il proposito criminoso altrui (quindi, quando si realizza una connivenza che sfocia nell'istigazione) sarà penalmente rilevante giacché tale situazione è ben diversa dalla mera adesione interna all'altrui condotta (che realizzerà, semmai, la richiamata mera connivenza non punibile).

Per concludere, personalmente condivido il pensiero della Suprema Corte secondo cui siamo in presenza di concorso qualora il soggetto abbia dato un contributo causale in termini, sia pur minimi, di facilitazione della condotta delittuosa.

(2) Il concorso materiale, si ha nella fase realizzativa e materiale quando si interviene personalmente nella serie di atti concreti che danno vita all'elemento materiale del reato. Si distingue:

Ø il coautore o correo ovvero il soggetto che compie le stesse azioni (con altri) che sarebbero punibili anche considerate singolarmente quale condotta-reato;

Ø il complice o partecipe ovvero colui che si limita ad un qualsiasi intervento nella preparazione materiale o nella esecuzione del reato.

L'art. 110 c.p. richiede, per l'estensione di punibilità, una condotta causalmente efficiente nella commissione del reato.

Non sono penalmente rilevanti la mera adesione psichica, il mero compiacimento, la mera approvazione rispetto all'altrui azione delittuosa.

Per capire il limite negativo alla condotte penalmente sanzionabili è opportuno richiamare l'art. 115 c.p. che, in combinato disposto con gli artt. 56[6] e 49[7], disciplina sia l'istigazione sia l'accordo: un punto fermo è la commissione del reato, nel senso che nessuno è punibile per il semplice accordo o per la semplice istigazione (anche se accolta) qualora il reato non venga poi commesso.

Pasquale e Giuseppe si mettono d'accordo uccidere Antonio ma poi il reato non viene commesso. Non sono punibili.

Pasquale istiga Giuseppe ad uccidere Antonio, Giuseppe accoglie l'istigazione ma poi non mette in pratica l'omicidio. Non sono punibili.

«Art. 115 c.p. - Accordo per commettere un reato. Istigazione

Salvo che la legge disponga altrimenti, qualora due o più persone si accordino allo scopo di commettere un reato, e questo non sia commesso, nessuna di esse è punibile per il solo fatto dell'accordo.

Nondimeno nel caso di accordo per commettere un delitto, il giudice può applicare una misura di sicurezza.

Le stesse disposizioni si applicano nel caso di istigazione a commettere un reato, se l'istigazione è stata accolta, ma il reato non è stato commesso.

Qualora l'istigazione non sia stata accolta, e si sia trattato d'istigazione a un delitto, l'istigatore può essere sottoposto a misura di sicurezza».

L'elemento “soggettivo” tipico della commissione plurisoggettiva del reato

Quanto a contenuto, l'elemento soggettivo del reato plurisoggettivo non differisce dal dolo del reato monosoggettivo, esso consta di due elementi:

1) coscienza e volontà del fatto criminoso (dolo in almeno uno dei concorrenti)

2) volontà di concorrere con altri alla realizzazione di un reato

Affinché sussista la volontà di concorrere è sufficiente la coscienza del contributo fornito all'altrui condotta. Non è necessario un accordo preventivo dei correi essendo punibile anche la condotta di colui – anche sconosciuto agli altri agenti – che agevoli il disegno criminoso in via del tutto estemporanea, in vantaggio di un soggetto del tutto ignaro.

In altri termini, basta la volontà unilaterale di concorrere.

E' chiaro che, in tale ipotesi, soltanto nei confronti di tale soggetto sarà configurabile una responsabilità penale a titolo di concorso per il reato commesso mentre gli altri soggetti che abbiano posto in essere il fatto o una frazione di esso, risponderanno della fattispecie monosoggettiva di reato eventualmente commessa individualmente.

Assume carattere decisivo “l'unitarietà” del fatto collettivo realizzato, che si verifica quando le condotte dei concorrenti risultino, alla fine, con giudizio di prognosi postumo, integrate in unico obiettivo, perseguito in varia e diversa misura dagli imputati, sicché è sufficiente che ciascun agente abbia conoscenza, anche unilaterale, del contributo recato alla condotta altrui. (Cass. sez. 1, Sent. n. 9482, 1 luglio 1992).

Pasquale accompagna l'amico Giuseppe in banca, il quale, scherzosamente gli dice di entrare per fare una rapina. Giuseppe in realtà è veramente intenzionato ad entrare in banca per fare una rapina. Pasquale, conoscendo i precedenti penali dell'amico, ad un certo punto si rende conto che Giuseppe sta mettendo in atto la condotta tipica della rapina e decide, su due piedi e senza previo accordo con l'amico, di fargli da palo. Risponderà in concorso di rapina.

Viceversa, Pasquale accompagna Giuseppe in banca mentre quest'ultimo gli fa intendere di voler fare una rapina. Pasquale pur entrando in banca con l'amico, si limita ad avere un comportamento passivo, non aiutando assolutamente Giuseppe, neanche a livello morale ingenerando in lui, ad esempio, una sicurezza maggiore per la riuscita della rapina. Pasquale non sarà imputabile a titolo di concorso.

In definitiva, il codice penale ha adottato un modello di tipizzazione unitaria basato sul criterio dell'efficienza causale della condotta di ciascun concorrente

Nel reato monosoggettivo, il fatto tipico sussiste in presenza di un solo autore, benché in concreto esso possa venire realizzato anche da più persone: è la figura del concorso eventuale.

Nell'ordinamento penale il ruolo della causalità è quello di imputare il fatto alla persona, cioè in sostanza quello di identificare il suo autore materiale. La responsabilità a titolo di concorso eventuale nel reato viene a porsi nell'area della causalità. La logica è quella di estendere la tipicità[8] del fatto di reato, unificando le diverse condotte che si dirigono sull'evento e rendendo punibili quelle atipiche.

La norma incriminatrice contempla l'evento illecito, l'art. 110 c.p. prende in considerazione tutte le condotte causalmente efficienti ad esso e le unifica, consentendo l'imputazione dello stesso reato ai più autori.

Da un punto di vista fenomenico il fatto che un evento possa essere determinato da più fattori è del tutto ovvio anzi è la regola, perché non esiste in natura alcun fenomeno che sia il prodotto di una sola causa.

E' ben possibile che le condotte umane che intervengono nel processo causale siano più d'una.

Sostanzialmente possono verificarsi due casi:

1) il concorso di cause “indipendenti”, quindi il semplice sommarsi di più azioni nella causazione dell'evento,

2) la sinergia tra le azioni, viceversa tra loro “dipendenti”.

Il rapporto di causalità sussiste tutte le volte che l'evento dannoso o pericoloso da cui dipende il reato è conseguenza dell'azione o dell'omissione del reo (art 40[9] c.p.).

Il concorso di cause (preesistenti, simultanee o sopravvenute) non esclude il rapporto di causalità fra l'azione/omissione e l'evento. La causa che determina l'evento può consistere nel fatto illecito altrui (cfr. art. 41[10] comma 3).

Una cosa è il concorso di cause tra loro indipendenti che hanno determinato il fatto e ben altra cosa è la rilevanza di condotte legate tra loro dalla convergenza verso la realizzazione del reato collettivo.

Come affermato dalla Suprema Corte, il concorso di più persone nel reato scaturisce non già dal mero concorso di cause che fanno capo a più persone, ma dal comune intento verso il conseguimento di un determinato risultato (del risultato caratteristico di quel reato) che anima più persone legate dalla coscienza di ciascuna di contribuire, in maggiore o minore misura, alla produzione dell'evento.

I rapporti tra l'istituto del concorso di persone rispetto a quella del concorso di cause illecite possono comprendersi meglio attraverso una serie progressiva di ipotesi esemplificative, prima in un reato a forma libera (omicidio), poi in un reato a forma vincolata (rapina).

Caso 1

Pasquale aggredisce Giuseppe, che, trasportato in ospedale gravemente ferito, muore a causa della mancanza di cure mediche idonee da parte di Antonio. Entrambi “cagionano la morte” della persona, pur agendo indipendentemente l'uno dall'altro, essendo l'intervento di ciascuno concausa dell'evento. In questo caso l'art. 110 c.p. non opera, Pasquale e Antonio rispondono ai sensi degli artt. 40 e 41 c.p. per l'evento causato (Pasquale per omicidio doloso, Antonio per omicidio colposo tramite omissione).

Caso 2

Pasquale e Antonio, preventivamente accordatisi, feriscono con separate azioni Giuseppe, che muore per le lesioni riportate. Entrambi “cagionano la morte” della persona, essendo l'intervento di ciascuno concausa dell'evento. In questo caso opera l'art. 110 c.p., sicché Pasquale e Antonio rispondono di omicidio doloso in concorso. In mancanza dell'art. 110 c.p. ciascuno sarebbe stato responsabile ai sensi degli artt. 40 e 41 c.p. di omicidio doloso.

In entrambi i casi l'intervento di ciascuno è concausa dell'evento. Vediamo le differenze:

Caso 1

a) agiscono in modo indipendente, senza volontà di concorrere, nemmeno unilateralmente;

b) sussiste il nesso di causalità perché l'evento morte è conseguenza della condotta di ciascuno;

c) sussiste il concorso di cause (sopravvenuta quella di Antonio ed indipendente da quella di Pasquale).

Caso 2

a) agiscono previo accordo;

b) sussiste il nesso di causalità perché l'evento morte è conseguenza della condotta di ciascuno;

c) sussiste il concorso di cause.

Ciò che li distingue nella sostanza è il previo accordo.

Caso 3

Pasquale dà mandato ad Antonio di uccidere Giuseppe, che muore a causa dell'azione di Antonio. Solo Antonio “cagiona la morte”, poiché l'azione di Pasquale è condizione dell'evento, ma non concausa. L'art. 110 c.p. opera unificando le condotte, il che vale ad attribuire alla condotta di Pasquale efficacia causale dell'evento, sicché Pasquale e Antonio rispondono di omicidio doloso in concorso. In assenza dell'art. 110 c.p. Pasquale non avrebbe risposto di omicidio.

Caso 4

Pasquale assume il compito di sorvegliare l'entrata di un'abitazione, mentre Antonio procede ad uccidere chi vi abita. Solo Antonio “cagiona la morte”, non essendone la condotta di Pasquale una condizione. L'art. 110 c.p. opera nel senso di far acquistare alla condotta di Antonio rilevanza nell'esecuzione del reato. In mancanza dell'art. 110 c.p. Antonio non sarebbe stato responsabile di omicidio.

Caso 5

Pasquale e Antonio effettuano una rapina in banca, l'uno minacciando il cassiere, l'altro sottraendo il denaro dalla cassaforte. Entrambi pongono in essere una condotta parzialmente sussumibile negli elementi costitutivi del delitto (violenza o minaccia e sottrazione della cosa mobile altrui), ma nessuna di esse è tipica. L'art. 110 c.p. unifica le condotte, che insieme diventano tipiche, sicché Pasquale e Antonio rispondono di rapina in concorso. In assenza dell'art. 110 c.p. ciascuno avrebbe risposto limitatamente alla condotta posta in essere (Pasquale per violenza privata, Antonio per furto).

Caso 6

Pasquale assume il compito di sorvegliare l'entrata della banca, mentre Antonio procede a rapinarla. Solo Antonio pone in essere una condotta tipica, mentre Pasquale non realizza alcun frammento di essa e neppure una condizione dell'evento. In questo caso l'art. 110 c.p. opera unificando le condotte e valendo ad attribuire alla condotta di Pasquale rilevanza nell'esecuzione del reato. In mancanza dell'art. 110 c.p. Pasquale non sarebbe stato responsabile di rapina.

Concorso nei reati omissivi

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Tradizionalmente i reati omissivi si distinguono in:

a. reati omissivi propri o puri che sono privi dell'evento, dunque sono reati di pura condotta omissiva;

b. reati omissivi impropri o anche detti commissivi mediante omissione.

I reati omissivi propri, sono quelli per la cui ricorrenza è necessario e sufficiente che l'autore ometta di tenere la "condotta" penalmente doverosa sulla base della norma penale, sempreché ricorrano i presupposti di fatto indicati dalla norma medesima e sia scaduto il termine esplicito od implicito per porre in essere l'azione doverosa. Nei reati omissivi propri il delitto si configura con la semplice omissione, mentre l'evento, se c'è, può essere considerato un'aggravante.

Un esempio di questo tipo di reati è l'omissione di soccorso (art. 593 c.p.), reato che si configura con la semplice inerzia del “soccorritore”, mentre l'evento lesivo si aggiunge come mera circostanza aggravante (se al mancato soccorso segue la morte del soggetto leso il reo non risponderà di omicidio, ma di omissione aggravata).

I reati omissivi impropri richiedono invece per la loro configurabilità che "l'evento", non solo si verifichi, ma che ciò avvenga proprio in conseguenza dell'omissione. Tale figura poggia:

a. sull'esistenza di un dovere giuridico di attivarsi per evitare l'evento;

b. sul nesso causale tra l'omissione e l'evento.

Mentre i reati omissivi propri sono oggetto di previsione espressa, l'individuazione di quelli omissivi impropri avviene grazie alla discrezionalità del giudice che si avvale della clausola contenuta nel secondo comma dell'art. 40 c.p. (Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo).

Le ipotesi prospettabili sono:

- concorso mediante omissione nel reato omissivo proprio, quando tutti i soggetti sono obbligati a compiere l'azione doverosa (in tal caso è improprio parlare di concorso poiché ciascuno per suo conto commette il reato nella sua interezza);

- concorso mediante azione nel reato omissivo proprio, quando un soggetto istiga un altro a omettere l'azione doverosa (es. Tizio che istiga Caio, pubblico ufficiale, a non rilasciare un atto amministrativo dovuto);

- concorso mediante omissione nel reato omissivo improprio, quando il soggetto che mette di agire è, a sua volta, garante dell'impedimento dell'evento da parte del soggetto con il quale concorre (es. capo dei vigilantes che omette di far chiudere la porta di un supermercato a uno dei suoi colleghi, con cui è d'accordo, per consentire che loro complici si introducano nel supermercato stesso per rubare);

- concorso mediante azione nel reato omissivo improprio (un soggetto istiga un altro a omettere la condotta doverosa).

Concorso nel reato proprio

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Premesso che esistono:

a. reati propri, dove l'agente deve necessariamente rivestire una particolare qualità o qualifica affinché il delitto sussista;

b. reati comuni, gli illeciti che possono essere eseguiti da qualsiasi soggetto (sono le norme che utilizzano il pronome “chiunque”).

All'interno della categoria dei reati propri si distingue ulteriormente tra:

1) reati propri esclusivi, il cui proposito criminoso può essere portato a termine solo da chi riveste una certa posizione rispetto ad un fatto (ad esempio i prossimi congiunti per il delitto di incesto);

2) reati propri non esclusivi, la presenza o meno della particolare qualità induce solo il mutamento del titolo del reato (es. l'appropriazione indebita art. 646 c.p., se commessa da un privato; peculato se commessa dal pubblico ufficiale ex art. 314 c.p.).

Il concorso nel reato proprio è comunemente ammesso dalla dottrina e dalla giurisprudenza, sul presupposto che sussista da parte dell'extraneus, la consapevolezza sulla qualità soggettiva dell'intraneus determinante il titolo di reato applicabile. In tale ipotesi, risulta direttamente applicabile l'art. 110 c.p. e la responsabilità dell'extraneus ricorre sia nel caso in cui il reato commesso sia proprio esclusivo sia nel caso in cui il reato commesso sia proprio non esclusivo.

Sostanzialmente, ai fini dell'art. 110, possiamo avere due casi:

1) Sussistenza del concorso nel reato proprio (esclusivo o non): in tutti i casi in cui l'extraneus abbia consapevolezza sulla qualità soggettiva dell'intraneus;

2) Non sussistenza del concorso nel reato proprio (esclusivo o non): se l'extraneus ignori le qualità personali dell'intraneus in quanto, in difetto di consapevolezza delle qualità personali che determinano il disvalore penale del fatto, egli ritiene di compiere un'azione lecita (salvo quanto previsto dall'art. 117 e meglio chiarito sotto).

Il fatto che l'extraneus debba avere la consapevolezza sulla qualità dell'intraneus deriva dal principio per cui la responsabilità penale è personale, e a ragionare diversamente si verserebbe in una ipotesi di responsabilità oggettiva.

Premessa la consapevolezza della qualità dell'intraneus, si ritiene inoltre, che il comportamento dell'extranues, anche se posto in essere senza la compartecipazione dell'intranues, realizzi il concorso nel reato proprio ex art. 110:

a) sia nel caso in cui il comportamento dell'extraneus risulti penalmente irrilevante;

b) sia nel caso in cui esso integrerebbe comunque una fattispecie di reato comune.

Viceversa, si applica il concorso ex art. 117 nel caso in cui l'extraneus ignori la qualifica dell'intranues, cioè risponde di concorso in reato proprio. Occorre però che la condotta dell'extranues integri comunque un reato (cioè costituisca reato a prescindere della qualifica dell'intraneo).

Reato diverso da quello voluto

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L'art. 116 c.p. stabilisce: «Qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l'evento è conseguenza della sua azione od omissione. Se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave».

Si pensi al caso di alcuni soggetti che si mettono inizialmente d'accordo per commettere un furto e successivamente gli esecutori materiali commettono, in luogo del furto, una rapina più un sequestro di persona. Attribuire i reati di rapina e sequestro di persona anche al concorrente che non li ha voluti, esclusivamente sulla base del fatto che l'evento è conseguenza della sua azione od omissione significa rinunciare ad indagare l'aspetto soggettivo del reato in capo al concorrente che voleva commettere solamente un furto: in altre parole sembra un caso di responsabilità oggettiva.

La questione è stata affrontata dalla Corte Costituzionale (Sent. 42/1965[11]) la quale ha affermato che l'art. 116 c.p. non è in contrasto con l'art. 27 comma della costituzione (la responsabilità penale è personale) affermando che la responsabilità ex art. 116 poggia sulla sussistenza:

1) del rapporto di causalità materiale;

2) del rapporto di causalità psichica (nel compartecipe vi sarebbe la necessaria presenza di un coefficiente di colpevolezza dal momento che egli avrebbe potuto rappresentarsi la realizzazione del reato – diverso e più grave - come sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto).

Il punto è, però, che la prevedibilità che sta alla base della colpevolezza dell'art. 116 può essere considerata:

a) in astratto nel senso che l'illecito non voluto deve appartenere in astratto a quelli che si prospettano come sviluppo naturale del reato originariamente voluto;

b) in concreto, ossia tenere conto di tutte le circostanze relative alla singola vicenda.

Tornando all'esempio del furto, vi è certamente la sussistenza della prevedibilità in astratto in merito alla rapina essendo la stessa omogenea al furto; non altrettanto può dirsi del sequestro di persona.

Per valutare la sussistenza o meno della prevedibilità in concreto che il reato commesso possa essere la rapina e non il semplice furto, si dovrà analizzare la modalità di realizzazione dell'azione furtiva ovvero accertare il tenore degli accordi criminosi tra i compartecipi per poi stabilire se che i soggetti coinvolti nel reato prevedevano (o non prevedevano) il ricorso a mezzi violenti.

Concorso e mutamento del titolo di reato

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L'art. 117 c.p. stabilisce: «Se, per le condizioni o le qualità personali del colpevole, o per i rapporti fra il colpevole e l'offeso, muta il titolo del reato per taluno di coloro che vi sono concorsi anche gli altri rispondono dello stesso reato. Nondimeno, se questo è più grave il giudice può, rispetto a coloro per i quali non sussistano le condizioni, le qualità o i rapporti predetti, diminuire la pena».

Un soggetto privo della qualità personale (c.d. extraneus) può concorrere alla commissione di un reato realizzabile soltanto da un soggetto qualificato (c.d. intraneus). Il fondamento della responsabilità dell'extraneus nel reato proprio (esclusivo e non) sta nella consapevolezza dello stesso circa la qualifica posseduta dall'intraneo. Può accadere che la qualifica posseduta da taluno dei concorrenti non sia determinante ai fini dell'esistenza del reato.

Pasquale (privato) convince Giuseppe (pubblico ufficiale) ad appropriarsi di denaro pubblico: dal punto di vista di Pasquale (extraneus) il fatto configura l'appropriazione indebita mentre dal punto di vista di Giuseppe (intranues) configura il peculato. In base all'art. 110 c.p., Pasquale, conoscendo la qualifica dell'autore materiale del reato, risponde di concorso in peculato.

Nello stesso esempio, supponiamo che Pasquale ignorando il fatto che Giuseppe è un pubblico ufficiale, lo convinca ad appropriarsi di una soma di denaro. In tal caso, considerato quanto espresso nel precedente paragrafo 7, Pasquale non può essere responsabile di concorso in peculato ex art. 110. Ed è qui che entra in gioco l'art. 117, svolgendo un ruolo incriminatrice, mutando il titolo del reato da appropriazione indebita in peculato: Pasquale risponderà a titolo di concorso di quest'ultimo più grave reato. Può sembrare ingiusto che Pasquale venga incriminato per peculato pur ignorando la qualifica di pubblico ufficiale di Giuseppe. Ma d'altro canto non sarebbe logico che per lo stesso fatto di reato Pasquale rispondesse di appropriazione indebita e Giuseppe di peculato. Secondo l'impostazione unitaria della disciplina del concorso, quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita. E' evidente che si prescinde del tutto dall'accertamento dell'elemento soggettivo e quindi viene da pensare, anche in questo caso, che si tratti di un caso di responsabilità oggettiva. Forse per questo motivo il legislatore ha pensato di mitigare la pena per i concorrenti per i quali sussistano le condizioni, nel caso in cui il reato sia più grave del previsto.

La giurisprudenza, comunque, ritiene:

a. che il fatto commesso dall'estraneo deve costituire di per sé reato, anche in mancanza della qualifica rivestita dall'autore principale (nell'esempio occorre che Pasquale commetta l'appropriazione indebita);

b. la diminuzione di pena, prevista dall'art. 117 c.p. per colui nei confronti del quale sia mutato il titolo del reato per le condizioni o le qualità personali di un concorrente, può trovare applicazione solo quando la qualità del concorrente, che fa mutare il titolo del reato, sia ignorata dal concorrente (nell'esempio, occorre che Pasquale ignori la qualifica di pubblico ufficiale di Giuseppe altrimenti si applicherebbe il concorso ex art. 110);

c. il venir meno del reato per il soggetto qualificato, qualunque ne sia la ragione, e quindi anche per estinzione conseguente alla morte, non esclude la sussistenza del reato per il concorrente “estraneo”.

In altre parole ed in linea con quanto affermato dalla Suprema Corte, l'art. 117 tende ad evitare - nel quadro della concezione unitaria del reato concorsuale - che degli autori volontari di un medesimo fatto alcuni siano puniti per un reato ed altri per un diverso titolo solo perché abbiano interferito particolari qualità personali di un compartecipe o particolari rapporti di costui con la persona offesa.

Come già detto (cfr. supra 4.b.), nel concorso necessario di persone nel reato, è proprio la norma incriminatrice a prevedere che il fenomeno della convergenza di più condotte dia luogo a un solo reato, mentre nel concorso eventuale il reato, che può essere commesso anche da una sola persona, è in realtà commesso da più persone.

Concorso nel reato e associazione per delinquere

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La differenza tra concorso di persone e associazione per delinquere risiede essenzialmente nella natura dell'accordo criminoso. Mentre nel concorso di persone due o più soggetti si accordano occasionalmente per la commissione di uno o più reati ben determinati e dopo la realizzazione dei quali l'accordo si scioglie, nell'associazione per delinquere tre o più soggetti si accordano allo scopo di dar vita ad un'entità stabile e duratura diretta alla commissione di una pluralità indeterminata di delitti.

Il reato associativo[12] si caratterizza per tre elementi fondamentali:

a. vincolo associativo tendenzialmente permanente o comunque stabile,

Requisiti strutturali del concorso eventuale sono:

b. pluralità di soggetti agenti (almeno due);

c. realizzazione di un fatto illecito;

d. partecipazione di ciascun concorrente alla determinazione dell'evento;

e. elemento soggettivo (non si limita alla coscienza e volontà del fatto criminoso ma comprende anche la consapevolezza che il reato viene commesso con altre persone, intesa come volontà di concorrere).

Come si vede le differenze sono notevoli: numero di persone, natura del vincolo, indeterminatezza del programma criminoso, struttura organizzativa, realizzazione del fatto illecito nel concorso anziché semplice adesione nell'associazione per delinquere. Si consideri inoltre che nell'associazione per delinquere devono essere commessi più delitti talché la realizzazione di un solo delitto non configura la fattispecie, il delitto si consuma con la costituzione dell'associazione giacché solo in questo modo viene generata l'insorgenza del pericolo per l'ordine pubblico, oggetto della tutela penale. Nel concorso di persone il bene giuridico protetto è quello previsto dalla singola fattispecie di parte speciale.

Nell'associazione per delinquere, la ratio dell'incriminazione va ricercata in un'esigenza marcatamente preventiva, nel senso che punendo l'associazione in se stessa (per ciò solo) il legislatore ha inteso rimuovere il pericolo che vengano commessi i reati oggetto del programma criminoso della medesima, anticipando l'intervento diretto a prevenire la realizzazione dei singoli fatti criminosi. La ratio del concorso di persone è invece totalmente differente, infatti l'art. 110 c.p. ha una funzione estensiva della punibilità:

Altra questione non meno importante è stabilire a chi vada addossata la responsabilità penale per i "reati-scopo" dell'associazione per delinquere. Cioè, basta l'appartenenza all'associazione per vedersi accollati (per il tramite del concorso eventuale ex art. 110 c.p.) i singoli reati materialmente realizzati da altri?

Una risposta positiva non sembra possibile visto che la partecipazione all'associazione non può confondersi con l'attività esecutiva dei vari delitti. Sono due cose distinte: da una parte vi è l'attività di organizzazione, proselitismo, l'acquisizione dei messi finanziari e strumentali propri dell'associazione per delinquere, dall'altra la realizzazione dei singoli atti criminosi. In conclusione, non tutti gli appartenenti l'associazione possono ritenersi responsabili ex art. 110 c.p. dei "reati-fine", ma soltanto coloro che vi hanno contribuito moralmente o materialmente.

Fin qui la teoria. Nella pratica le cose sono un po' più complesse, specie per gli operatori della giustizia ed in particolare per le forze di polizia. Immaginiamo che sia in atto una rapina in banca da parte di tre soggetti: questo fatto naturalistico può integrare indifferentemente il concorso di persone nel reato ovvero l'associazione per delinquere finalizzata a commettere le rapine. Sarebbe bello bloccare i delinquenti, perquisirli e trovare loro addosso la tessera di socio dell'associazione per delinquere. Occorre, invece, provare l'esistenza di un accordo stabile, l'indeterminatezza del programma criminoso, l'esistenza di una struttura organizzativa tale da far pensare che ci si trovi di fronte ad una vera e propria associazione per delinquere. Le cose si complicano non poco in materia di reati tributari, societari e fallimentari dato che, già per la stessa natura dei reati suddetti, si è quasi sempre in presenza di un'associazione di persone. Si pensi alle società di capitali che sono governate da consigli di amministrazione, alle situazioni in cui vi sono amministratori di fatto che affiancano amministratori di diritto, o al fatto che queste "associazioni di persone" possono ben accordarsi per "stabilmente" evadere le tasse, falsificare i bilanci, ricorrere abusivamente al credito, distrarre beni societari a danno dei creditori, con comportamenti, quindi, ripetuti nel tempo e frutto di un accordo criminoso a monte. In casi come questi, la differenza tra associazione per delinquere e concorso eventuale di persone può risultare meno evidente che in altri.

Concorso e favoreggiamento

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Il legislatore inserendo la clausola "fuori dei casi di concorso" sia nell'art. 378[13] sia nell'art. 379[14] del c.p. ha voluto escludere il favoreggiamento tutte le volte che vi sia partecipazione morale o materiale alla commissione di un reato. Di conseguenza risponderà ad esempio di concorso di persone chi prima della commissione del reato promette al reo di facilitargli la fuga o chi aiuta i sequestratori durante la permanenza del sequestro stesso. Vi è, pertanto, un rapporto di alternatività tra concorso e favoreggiamento e questo, in linea teorica, dovrebbe aiutare a delimitare i confini del concorso stesso.

Si avrà concorso nel caso in cui l'atto posto in essere dal soggetto è destinato ad inserirsi nella realizzazione complessiva del'azione illecita (secondo una visione unitaria del reato).

Si avrà favoreggiamento nel caso in cui, a seguito della completa attuazione della fattispecie criminosa, si presti aiuto al reo.

Il criterio distintivo tra concorso e favoreggiamento non può essere quello cronologico (nel senso che non è importante stabilire se l'aiuto sia stato prestato prima, durante o dopo la consumazione del reato), ma deve essere piuttosto il peso che l'aiuto promesso ha avuto nell'ambito del reato (nel senso che bisogna stabilire quanto questo aiuto si collochi nell'elaborazione o nella esecuzione del piano criminoso). E, d'altro canto, la stessa Corte Suprema ci insegna che il favoreggiamento deve sempre consistere in una autonoma condotta agevolatrice, ove sia già avvenuta la consumazione della condotta presupposta (Sent. 1705/2008[15]).

Pasquale promette a Giuseppe di aiutarlo nella fuga dopo la rapina che lo stesso ha in mente di fare: in questo caso risponderà di concorso per aver agevolato il proposito di Giuseppe.

Pasquale aiuta Giuseppe a fuggire dalla polizia che lo insegue a causa di una precedente rapina di cui Pasquale non sapeva nulla: risponderà di favoreggiamento personale.

Giurisprudenza

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Contributo agevolatore

Sussiste il concorso pure laddove la condotta assuma la forma di un contributo agevolatore, tale per cui il reato, in assenza di tale condotta, sarebbe stato ugualmente realizzato ma con maggiori difficoltà o incertezze di riuscita.

(Cass. Sez. VI, Sent. n. 36818/2012)

Circostanza attenuante

La circostanza attenuante della partecipazione di minima importanza è applicabile nei casi in cui il ruolo assunto da taluno dei concorrenti, nella fase preparatoria o in quella esecutiva, abbia avuto un'efficacia causale del tutto marginale nella causazione dell'evento, nel senso che il reato sarebbe stato egualmente posto in essere anche senza l'attività del correo. In altri termini, la norma di cui all'art. 114[16] c.p. è applicabile solo nell'ipotesi che la condotta del correo abbia inciso sul risultato finale dell'impresa criminosa in maniera del tutto marginale, tanto da poter essere avulsa, senza apprezzabili conseguenze pratiche, dalla serie causale produttiva dell'evento.

(Cass. Sent. n. 6922/2011)

Presenza sul luogo

Integra il concorso nel reato di detenzione illecita di sostanze stupefacenti anche la semplice presenza nel luogo di esecuzione del reato, purché tale presenza non sia meramente causale, ed a patto che il soggetto abbia fornito all'autore del fatto stimolo all'azione o un maggior senso di sicurezza; ciò che avviene nel caso del c.d. “palo”. Viceversa, il comportamento meramente passivo, privo di qualsiasi efficacia causale, non è punibile”.

(Cass. Sez. IV, Sent. n. 30479/2014)

Differenza tra associazione per delinquere e concorso di persone

L'elemento distintivo tra il delitto di associazione per delinquere e il concorso di persone nel reato continuato va individuato nel carattere dell'accordo criminoso, che nel concorso di persone nel reato continuato si concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati – anche nell'ambito di un medesimo disegno criminoso – con la realizzazione dei quali si esaurisce l'accordo e cessa ogni motivo di allarme sociale, mentre nel reato associativo risulta diretto all'attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente e al di fuori dell'effettiva commissione dei singoli reati programmata.

(Cass. Sez. II, Sent. n. 933/2014)

Desistenza e tentativo punibile

In tema di concorso di persone nel reato, la desistenza di uno dei concorrenti deve instaurare, perché si riverberi favorevolmente sulla posizione degli altri compartecipi, un processo causale che arresti l'azione di questi ultimi e impedisca comunque l'evento. Ma nel caso di specie la desistenza del singolo ha eliminato soltanto gli effetti della condotta individuale, rendendola estranea ed irrilevante rispetto al tentativo di reato commesso dagli altri, con la conseguenza che di tale desistenza non possono beneficiare gli altri compartecipi, le cui condotte pregresse, conservando intatta la loro valenza causale, hanno prodotto conseguenze ormai irreversibili, funzionali alla configurazione del tentativo punibile.

(Cass. Sez. II, Sent. n. 48128/2013)

Differenza tra connivenza e concorso nel reato

La distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato va individuata nel fatto che, mentre la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, nel concorso di persona punibile è richiesto, invece, un contributo partecipativo – morale o materiale – alla condotta criminosa altrui, caratterizzato, sotto il profilo psicologico, dalla coscienza e volontà di arrecare un contributo concorsuale alla realizzazione dell'evento illecito. Il concorso ex art. 110 cod. pen. esige infatti un contributo causale in termini, sia pur minimi, di facilitazione della condotta delittuosa, mentre la semplice conoscenza o anche l'adesione morale, l'assistenza inerte e senza iniziative a tale condotta non realizzano la fattispecie concorsuale (Fattispecie nella quale la Corte ha escluso la configurabilità del concorso nell'altrui illecita detenzione di stupefacente di un soggetto che si era limitato ad accompagnare un amico in treno, pur consapevole che quest'ultimo doveva acquistare droga).

(Cass. Sez. IV, Sent. n. 4055/2014)

Mutamento del titolo di reato

Ai fini dell'applicabilità dell'art. 117 c.p., che disciplina il mutamento del titolo del reato per taluno dei concorrenti, è necessario che il fatto commesso dall'estraneo costituisca comunque reato anche in mancanza della qualifica rivestita dall'autore principale. Ne consegue che, quando l'azione del concorrente è di per sé lecita e la sua illiceità dipende dalla qualità personale di altro concorrente, trova applicazione la norma generale sul concorso di persone, di cui all'art. 110 c.p. (Fattispecie relativa a falsità materiale in atto pubblico consistita nella sostituzione, in un verbale, degli estremi identificativi di una autovettura, operata da un ufficiale dei carabinieri in concorso con un privato cittadino).

(Cass. Sez. 1, Sent. n. 39292/2008)

Mutamento del titolo di reato

In tema di falso documentale, nel caso di falsa dichiarazione, in sede di rogito notarile, del venditore in ordine alla proprietà del bene, è configurabile in capo al notaio (salvo ogni accertamento in ordine all'elemento soggettivo), la responsabilità penale a titolo di concorso per omesso impedimento della falsa e rilevante dichiarazione del venditore, considerata la posizione di garanzia rivestita dal notaio, la cui prestazione d'opera, in virtù dell'art. 47 della legge notarile, non si riduce al mero accertamento della volontà delle parti ma si estende alle attività preparatorie e successive, onde assicurare la certezza dell'atto da rogare e il conseguimento dello scopo tipico, di guisa che la prestazione di detto pubblico ufficiale - quale garante e interprete della validità delle scelte negoziali delle parti - riveste una funzione non solo di mezzi ma anche di risultato. Ne consegue che, in tal caso, per il pubblico ufficiale viene ad integrarsi l'ipotesi criminosa di cui all'art. 479 cod. pen. e che il mutamento del titolo opera ex art. 117 cod. pen. anche per il privato.

(Cass. Sez. 5, Sent. n. 24972/2012)

Correità e complicità

La distinzione tra attività di correità ed atti di mera complicità continua a costituire, contrariamente alle intenzioni dei compilatori del codice del 1930, la base dell'intera disciplina dell'istituto del concorso di persone nel reato. A tal fine rileva il fatto oggettivo che la decisione di commettere il reato sia stata presa direttamente anche dal correo, cosicché l'opera di ciascun correo - sia essa attività di esecuzione in senso tecnico o sia invece attività di semplice preparazione - costituisce l'attuazione concreta della decisione presa in comune da tutti. Al complice, invece, che pur tende alla realizzazione dell'evento criminoso, non appartiene la decisione comune di agire, essendo il contenuto immediato della sua volontà quello di sollecitare in altre persone (autore o coautori) la risoluzione criminosa ovvero di facilitarne l'attuazione. Ne deriva una precisa diversità nel contenuto volitivo dei singoli concorrenti: il dolo del complice ha di mira la realizzazione della fattispecie criminosa decisa da altri, ma "dominus" dell'azione resta sempre e soltanto l'autore (o il correo) perché a lui è concesso di rifiutarsi sin dall'inizio all'istigazione o di cambiare in seguito la propria decisione. (Fattispecie di concorso nel reato di false comunicazioni sociali, previsto dall'art. 2621 cod. civ.).

(Cass. Sez. 2, Sent. n. 5522//1992)

Diminuzione di pena ex art 117

La diminuzione di pena, prevista dall'art. 117 c.p. per colui, nei confronti del quale sia mutato il titolo del reato per le condizioni o le qualità personali di un concorrente, può trovare applicazione solo quando la qualità del concorrente, che fa mutare il titolo del reato, sia ignorata dal concorrente.

(Cass., Sez. I, 15 ottobre 1971, Kalmetta)

Considerazioni conclusive

Le norme sul concorso assolvono la funzione di rendere punibili anche comportamenti che altrimenti non lo sarebbero in base alla singola norma incriminatrice. Quando si affronta il tema del concorso dei reati non ci si può limitare ad esaminare l'art. 110 del c.p. ma occorre leggere attentamente tutto il Titolo IV, Capo III, del Libro I. Nonostante la disciplina poggi essenzialmente sulla parificazione della responsabilità di ciascun concorrente, lo stesso legislatore, consapevole della diversità di ruoli e apporti che di solito caratterizza la partecipazione criminosa, si è preoccupato di prevedere dei correttivi prevedendo ad esempio circostanze aggravanti ed attenuanti al fine di graduare la pena in funzione dell'effettivo contributo di ciascun soggetto. Si pensi all'aggravante prevista per chi ha promosso, organizzato o diretto la partecipazione al reato (art. 112[17]) oppure all'attenuante prevista dall'art. 114[18] in base alla quale il giudice può diminuire la pena qualora ritenga che l'opera prestata da taluno dei concorrenti abbia avuto minima importanza nella preparazione o nell'esecuzione del reato. Come si diceva in premessa, la disciplina in oggetto sembra un campo minato, fatto di norme al limite della costituzionalità, laddove, tuttavia, non si può fare a meno di notare lo sforzo fatto dal legislatore per trovare un difficile equilibrio tra diverse esigenze.

Bibliografia

  • Diritto penale - parte generale, seconda edizione, di Giovanni Fiandaca ed Enzo Musco - Zanichelli Bologna
  • http://www.corsomagistratura.it (Cap. XVII - Il concorso di persone)
  • Studi di diritto penale: parte speciale di Roberto Giovagnoli
  • Il concorso di persone nel reato proprio di Malaika Bianchi
  • Il concorso di persone nel reato proprio di Nicola Angioni

A Martina


[1] Art. 27 Cost.

La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

[2] Art. 112. - c.p. - Circostanze aggravanti

La pena da infliggere per il reato commesso è aumentata:

1) se il numero delle persone, che sono concorse nel reato, è di cinque o più salvo che la legge disponga altrimenti;

2) per chi, anche fuori dei casi preveduti dai due numeri seguenti, ha promosso od organizzato la cooperazione nel reato, ovvero diretto l'attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo;

3) per chi nell'esercizio della sua autorità, direzione o vigilanza ha determinato a commettere il reato persone ad esso soggette;

4) per chi, fuori del caso preveduto dall'articolo 111, ha determinato a commettere il reato un minore di anni 18 o una persona in stato di infermità o di deficienza psichica, ovvero si è comunque avvalso degli stessi o con gli stessi ha partecipato nella commissione di un delitto per il quale è previsto l'arresto in flagranza.

La pena è aumentata fino alla metà per chi si è avvalso di persona non imputabile o non punibile, a cagione di una condizione o qualità personale, o con la stessa ha partecipato nella commissione di un delitto per il quale è previsto l'arresto in flagranza.

Se chi ha determinato altri a commettere il reato o si è avvalso di altri o con questi ha partecipato nella commissione del delitto ne è il genitore esercente la potestà, nel caso previsto dal numero 4 del primo comma la pena è aumentata fino alla metà e in quello previsto dal secondo comma la pena è aumentata fino a due terzi.

Gli aggravamenti di pena stabiliti nei numeri 1, 2 e 3 di questo articolo si applicano anche se taluno dei partecipi al fatto non è imputabile o non è punibile.

[3] Art. 119. - c.p. - Valutazione delle circostanze di esclusione della pena

Le circostanze soggettive le quali escludono la pena per taluno di coloro che sono concorsi nel reato hanno effetto soltanto riguardo alla persona a cui si riferiscono.

Le circostanze oggettive che escludono la pena hanno effetto per tutti coloro che sono concorsi nel reato.

[4] Art. 56. – c.p. - Delitto tentato

Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l'azione non si compie o l'evento non si verifica.

[5] Art. 115. . c.p. - Accordo per commettere un reato. Istigazione

Salvo che la legge disponga altrimenti, qualora due o più persone si accordino allo scopo di commettere un reato, e questo non sia commesso, nessuna di esse è punibile per il solo fatto dell'accordo.

Nondimeno nel caso di accordo per commettere un delitto, il giudice può applicare una misura di sicurezza.

Le stesse disposizioni si applicano nel caso di istigazione a commettere un reato, se l'istigazione è stata accolta, ma il reato non è stato commesso.

Qualora l'istigazione non sia stata accolta, e si sia trattato d'istigazione a un delitto, l'istigatore può essere sottoposto a misura di sicurezza.

[6] Art. 56 c.p. - Delitto tentato

Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto risponde di delitto tentato, se l'azione non si compie o l'evento non si verifica.

Il colpevole di delitto tentato è punito: con la reclusione non inferiore a dodici anni, se la pena stabilita è l'ergastolo; e, negli altri casi con la pena stabilita per il delitto, diminuita da un terzo a due terzi.

Se il colpevole volontariamente desiste dall'azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sé un reato diverso.

Se volontariamente impedisce l'evento, soggiace alla pena stabilita per il delitto tentato, diminuita da un terzo alla metà.

[7] Art. 49 c.p. - Reato supposto erroneamente e reato impossibile

Non è punibile chi commette un fatto non costituente reato, nella supposizione erronea che esso costituisca reato.

La punibilità è altresì esclusa quando, per la inidoneità dell'azione o per l'inesistenza dell'oggetto di essa, è impossibile l'evento dannoso o pericoloso.

Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, se concorrono nel fatto gli elementi costitutivi di un reato diverso, si applica la pena stabilita per il reato effettivamente commesso.

Nel caso indicato nel primo capoverso, il giudice può ordinare che l'imputato prosciolto sia sottoposto a misura di sicurezza.

[8] Corrispondenza del fatto umano a una delle fattispecie criminose configurate dall'ordinamento.

[9] Art. 40. – c.p. - Rapporto di causalità

«Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l'esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione.

Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo».

[10] Art. 41. - c.p. - Concorso di cause

«Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l'azione od omissione e l'evento.

Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento. In tal caso, se l'azione od omissione precedentemente commessa costituisce per sé un reato, si applica la pena per questo stabilita.

Le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui».

[11] Sent. 42/1965 - La responsabilità del compartecipe per fatto diverso o più grave di quello voluto, sancita dall'art. 116 del codice penale, si fonda non solo su un rapporto di casualità materiale, ma anche su un rapporto di casualità psichica, nel senso che il reato diverso o più grave commesso del concorrente deve rappresentarsi alla psiche dell'agente come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto. È pertanto infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 116 del codice penale in riferimento all'art. 27, primo comma, della Costituzione.

[12] Art. 416. Associazione per delinquere

Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni.

Per il solo fatto di partecipare all'associazione, la pena è della reclusione da uno a cinque anni.

I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.

Se gli associati scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie si applica la reclusione da cinque a quindici anni.

La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più.

Se l'associazione è diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602, nonché all'articolo 12, comma 3 bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, si applica la reclusione da cinque a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da quattro a nove anni nei casi previsti dal secondo comma.

Se l'associazione è diretta a commettere taluno dei delitti previsti dagli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto, e 609-undecies, si applica la reclusione da quattro a otto anni nei casi previsti dal primo comma e la reclusione da due a sei anni nei casi previsti dal secondo comma (3).

[13] Art. 378 c.p. - Favoreggiamento personale

Chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce la pena di morte) o l'ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere le investigazioni dell'autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti, è punito con la reclusione fino a quattro anni.

Quando il delitto commesso è quello previsto dall'art. 416-bis, si applica, in ogni caso, la pena della reclusione non inferiore a due anni.

Se si tratta di delitti per i quali la legge stabilisce una pena diversa, ovvero di contravvenzioni, la pena è della multa fino a euro 516.

Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando la la persona aiutata non è imputabile o risulta che non ha commesso il delitto.

[14] Art. 379 c.p. - Favoreggiamento reale

Chiunque fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648, 648-bis, 648-ter, aiuta taluno ad assicurare il prodotto o il profitto o il prezzo di un reato, è punito con la reclusione fino a cinque anni se si tratta di delitto, e con la multa da euro 51 a euro 1.032 se si tratta di contravvenzione.

Si applicano le disposizioni del primo e dell'ultimo capoverso dell'articolo precedente.

[15] Sent. 1705/2008 È principio pressoché uniforme che colui che, per i legami con l'autore del furto, conduca le trattative rivolte a far ottenere al derubato la restituzione della refurtiva contro il pagamento di una somma, ben può ritenersi responsabile di estorsione, ovvero di concorso in essa, quando agisca anche nell'interesse del ladro, contribuendo in tal caso con la sua condotta all'opera di pressione nei confronti del derubato oppure sia intervenuto nelle trattative per lucrare una somma di danaro (Sez. 2, 27 aprile 1988, dep. 25 luglio 1989, n. 10491; Sez. 2, 8 aprile 1988, dep. 19 ottobre 1988, n. 10176).

Ne discende che non risponde di concorso in estorsione colui che, per incarico della vittima di un furto e nell'esclusivo interesse di quest'ultima, si metta in contatto con gli autori del reato, per ottenere la restituzione della cosa sottratta mediante esborso di denaro, senza conseguire alcuna parte del prezzo.

[16] Art. 114. c.p. - Circostanze attenuanti

Il giudice, qualora ritenga che l'opera prestata da talune delle persone che sono concorse nel reato a norma degli articoli 110 e 113 abbia avuto minima importanza nella preparazione o nell'esecuzione del reato, può diminuire la pena.

Tale disposizione non si applica nei casi indicati nell'articolo 112.

La pena può altresì essere diminuita per chi è stato determinato a commettere il reato o a cooperare nel reato, quando concorrono, le condizioni stabilite nei numeri 3 e 4 del primo comma e nel terzo comma dell'articolo 112.

[17] Art. 112 c.p. - Circostanze aggravanti

La pena da infliggere per il reato commesso è aumentata:

1) se il numero delle persone, che sono concorse nel reato, è di cinque o piùsalvo che la legge disponga altrimenti;

2) per chi, anche fuori dei casi preveduti dai due numeri seguenti, ha promosso od organizzato la cooperazione nel reato, ovvero diretto l'attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo;

3) per chi nell'esercizio della sua autorità, direzione o vigilanza ha determinato a commettere il reato persone ad esso soggette;

4) per chi, fuori del caso preveduto dall'articolo 111, ha determinato a commettere il reato un minore di anni 18 o una persona in stato di infermità o di deficienza psichica, ovvero si è comunque avvalso degli stessi o con gli stessi ha partecipato (1) nella commissione di un delitto per il quale è previsto l'arresto in flagranza. Omissis …

[18] Art. 114 c.p - Circostanze attenuanti

Il giudice, qualora ritenga che l'opera prestata da talune delle persone che sono concorse nel reato a norma degli articoli 110 e 113 abbia avuto minima importanza nella preparazione o nell'esecuzione del reato, può diminuire la pena. Omissis ...


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