Data: 14/04/2015 20:00:00 - Autore: Avv. Stefano Savoldelli

Avv. Stefano Savoldelli

E' un giorno qualsiasi nella provincia di Domodossola quando un uomo parcheggia il proprio camion dotato di impianto frigorifero nel cortile della locale Società Cooperativa Latteria.

Un altro uomo, la cui abitazione confina con quella del predetto stabile, sentendosi disturbato dal rumore del refrigeratore scende in strada e, dopo essersi rivolto al conducente del camion, minaccia, per il caso non venga spento l'impianto, di tagliarne il filo della corrente

L'avvertimento non viene tenuto in alcuna considerazione sicchè l'uomo rientra in casa e, dopo aver raccolto una piccola accetta, torna risoluto al camion al quale, facendosi giustizia da sé, taglia – come d'altra parte preannunciato - il filo della corrente. 

Tutto finito? No di certo: l'autore del gesto, infatti, viene prontamente denunciato. 

Ne segue un processo che, in primo grado, innanzi al Tribunale di Verbania, sezione distaccata di Domodossola, condanna l'imputato, ricorrendo l'ipotesi lieve, alla pena di euro 700 di ammenda (da pagarsi in dieci comode rate) per il reato di porto abusivo di uno strumento atto ad offendere. Nessuna condanna segue exart. 392 c.p. (esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose) stante l'intervenuta remissione di querela. Contro la sentenza ricorre in Cassazione lo stesso reo, deducendo due motivi:

- Nella sentenza non è detto qual'era lo strumento utilizzato, la sua capacità lesiva ed il luogo ove era stato portato

- Il Giudice non aveva motivato in ordine alla sussistenza degli elementi materiali del reato né in merito all'elemento psicologico

In decisione, la Corte richiama l'art. 4, comma 2, della legge 110/1975 secondo cui "senza giustificato motivo non possono portarsi fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, bastoni muniti di puntale acuminato, strumenti da punta o da taglio atti ad offendere, mazze, tubi, catene, fionde, bulloni, sfere metalliche, nonche' qualsiasi altro strumento non considerato espressamente come arma da punta o da taglio, chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di luogo, per l'offesa alla persona". 

Gli strumenti in elenco, afferma la Corte, sono del tutto equiparabili ad armi improprie sicchè il loro porto costituisce reato laddove avvenga senza giustificato motivo. 

L'accetta, continua la Corte, non rientra nel dettagliato elenco di cui sopra, ma vi può rientare quale strumento "non considerato espressamente come arma da punta o da taglio, chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di luogo, per l'offesa alla persona". 

Servono pertanto due condizioni perchè l'imputato possa essere condannato: l'utilizzo senza giustificato motivo dello strumento e la possibilità che il medesimo possa essere utilizzato per l'offesa alla persona. 

Ebbene, fermo questo ragionamento, la Corte ha concluso (sentenza n. 6261/2015) che lo strumento utilizzato dal reo non poteva rientrare tra quelli di cui all'art 4, comma 2 della legge 110/1975, dal momento che si trattava di "un arnese utilizzato nei lavori di montagna per il taglio di piccoli pezzi di legno", pertanto non utilizzabile in concreto per l'offesa alle persone. 

La Corte ha quindi annullato la sentenza di primo grado perché il fatto non sussiste. E' lecito pensare che l'imputato abbia ben accettato (in senso figurato) la sentenza.

Avv. Stefano Savoldelli del foro di Bergamo


Tutte le notizie