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Data: 16/04/2015 18:30:00 - Autore: Marina Crisafi di Marina Crisafi - In presenza di una violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 c.p.c., la Cassazione può intervenire direttamente sul “fatto” in genere riservato al giudice di merito. È questo il principio affermato dalla Suprema Corte, con sentenza n. 7374 del 13 aprile 2015, esprimendosi su una vicenda riguardante la richiesta della risoluzione del contratto da parte di un privato nei confronti di una società per il grave inadempimento conseguente ad una tecnica di infoltimento dei capelli. Il ricorrente vedeva rigettate in appello le proprie ragioni, parzialmente accolte in primo grado e adiva, quindi, la Cassazione, dolendosi dell'errore in cui era incorsa la corte territoriale nell'affermare la violazione da parte del tribunale dell'art. 112 c.p.c. per aver dichiarato la responsabilità della società convenuta per un inadempimento contrattuale diverso da quello dedotto in giudizio dall'attore (nel caso di specie, l'omissione dei test necessari per verificare la compatibilità della protesi con la cute del paziente in luogo della difformità della protesi stessa rispetto al tipo di intervento contrattualmente pattuito). Per la S.C. la doglianza è fondata. La Corte d'appello ha errato, infatti, nel considerare gli inadempimenti accolti dal tribunale diversi da quelli dedotti in giudizio, giacchè i primi sono “interdipendenti” con i secondi. Dunque, non ponendosi al di fuori della domanda attorea, non è da ravvisarsi, per i giudici di legittimità, alcuna violazione del principio di correlazione ex art. 112 c.p.c. da parte del tribunale, il quale nell'indagine diretta all'individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non si è limitato al “tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute”, agendo conformemente al principio secondo cui il giudice di merito deve avere “riguardo al contenuto sostanziale della pretesa dedotta, come desumibile dalla natura delle vicende allegate e rappresentate dalla parte istante”. L'incongruità della decisione del tribunale, come rilevato dal ricorrente e fatta oggetto dell'appello incidentale dello stesso, era consistita piuttosto nel fatto che, pur avendo affermato la plurima violazione degli obblighi contrattuali da parte della società, si era limitato a rilevare che non sussistevano i presupposti per l'accoglimento della domanda di risoluzione del contratto, rigettandola e non motivando alcunché sul punto. Omessa motivazione, peraltro, secondo gli Ermellini, seguita “dall'incongrua pronuncia” della corte territoriale, la quale ha respinto l'appello “perché concernente il ‘quantum' di un danno che l'attore non aveva comunque dimostrato di aver subito”, quando invece, il gravame riguardava la gravità degli inadempimenti della società e la loro idoneità a determinare la risoluzione del contratto. Per cui, riaffermando che il principio secondo il quale “l'interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti da luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito – non trova applicazione, quando tale interpretazione determina – un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) o a quello del tantum devolutum quantum appellatum (art. 345 c.p.c.), trattandosi della denuncia di un error in procedendo che attribuisce alla Corte di cassazione il potere-dovere di procedere direttamente all'esame ed all'interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e deduzioni delle parti", la S.C. ha accolto il ricorso con rinvio alla corte d'appello per valutare la gravità degli inadempimenti riscontrati al fine di determinare ex art. 1455 c.c. l'invocata risoluzione del contratto. |
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