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Data: 16/04/2015 18:00:00 - Autore: Sabrina Caporale Corte di Cassazione – Sez. VI Penale – sentenza 30 dicembre 2014 – 31 marzo 2015, n. 13798. Avv. Sabrina CAPORALE - La riqualificazione giuridica del fatto effettuata ex officio viola il principio del giusto processo e del contraddittorio solo nei casi in cui il titolo di reato ravvisato dal giudice sia più grave e l'imputato non ne abbia avuto conoscenza, ai fini della predisposizione di un'adeguata difesa, in alcuna fase della procedura. È quanto affermato dai giudici di piazza Cavour, VI Sezione Penale, lo scorso 31 marzo 2015. L'imputato, già condannato in primo grado, con sentenza confermata in sede di appello, alla pena ivi prevista per il reato di cui all'art. 319 c.p., nonché per il reato di corruzione, come disciplinato dall'art. 318 del codice penale, proponeva ricorso dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione, denunciando con il primo motivo di gravame,(l'unico che in questa sede rileva) la violazione di legge, nonché il vizio di motivazione in merito al rigetto, da parte della Corte d'appello, dell'istanza difensiva volta ad ottenere l'esame di un testimone a seguito del mutamento del nomen iuris dall'originaria qualificazione giuridica ex art. 317 c.p. a quella ex art. 319 c.p., peraltro operata senza instaurare un contraddittorio in ordine ad essa, come prescritto dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo (con la nota sentenza Drassich) e, senza che i testi fossero mai stati sentiti rispetto all'eventuale reato di corruzione. Motivo quest'ultimo che i giudici della Suprema Corte provvedevano opportunamente a dichiarare infondato, alla luce della seguente argomentazione: il principio emerso nella sentenza Drassich c. Italia - Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, 11-12-2007, n. 25575, (in Cass. Pen 2008,1646), che ravvisava la sussistenza di una violazione dell'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nella riqualificazione giuridica del fatto effettuata ex officio, senza aver dato all'imputato, in alcuna fase della procedura, la possibilità di esserne informato e di predisporre la più opportuna difesa, riguarda solo l'ipotesi in cui il titolo di reato ravvisato sia più grave e dunque l'imputato si trovi a subire conseguenze più sfavorevoli per effetto del mutamento del nomen iuris (Sez. VI, 15-5-12 n. 24631, rv. n. 253109). Solo in questa ipotesi, dunque, occorre ritenere che il diritto al contraddittorio, investendo ogni profilo dell'accusa, vada assicurato, informando l'imputato e il suo difensore dell'eventualità di una qualificazione giuridica del fatto diversa da quella contestata (Cass., Sez. VI, 12-11-2008, n. 45807). Il caso in disamina, tuttavia, non merita alcuna contestazione, essendo stata attribuita al fatto una qualificazione giuridica meno grave (art. 319 cp) di quella enunciata nell'imputazione (art. 317 cp)». Quanto, invece, alla mancata instaurazione del contraddittorio ed, in particolare, alla mancata escussione dei testimoni in ordine al nuovo reato contestato, la Cassazione ha ribadito che «non trattandosi di mutamento del fatto contestato ma solo di attribuzione ad esso di un diverso nomen iuris, non vi è alcuna necessità di sentire nuovamente i testi, poiché la vicenda su cui essi avevano deposto, era rimasta sempre la stessa. D'altronde, - e così concludeva - la possibilità, in sede decisoria, di una riqualificazione giuridica del fatto è espressamente contemplata dal codice ed appartiene alla logica del sistema, informata al principio iura novit curia, operante appieno tanto in sede di giudizio abbreviato che di giudizio ordinario». Ora, com'è noto, l'art. 521, 1° co., c.p.p. disciplina l'ipotesi in cui, terminata l'attività dibattimentale, l'organo giudicante si avveda di una erronea qualificazione giuridica dell'accusa, come contestata nel decreto di citazione o ridefinita nel corso del dibattimento ai sensi degli artt. 516 ss. c.p.p. Ebbene, nella formulazione attualmente in vigore, la disposizione codicistica pone, quale unico limite al potere del giudice di modificare la qualificazione del fatto contestato, che l'ipotesi criminosa ritenuta non ecceda la propria competenza per materia, né risulti attributio alla cognizione del Tribunale in composizione collegiale anziché monocratica. Occorre, tuttavia, domandarsi quali sono i limiti che siffatta previsione normativa conosce all'interno del nostro ordinamento. Se, infatti, gli ampi spazi concessi alla modifica dell'imputazione rispondono all'esigenza imprescindibile di garantire nel processo un costante adeguamento del fatto contestato alle risultanze probatorie, affinché il giudice possa statuire e l'imputato essere giudicato su un thema corrispondente alla realtà processuale1, esigenza quest'ultima che, peraltro, trova espresso riconscimento nell'art. 521, comma 2 c.p.p., nel noto principio di correlazione tra accusa e sentenza, volto ad assicurare una perfetta coincidenza tra gli elementi materiali del reato enunciato nell'imputazione originaria e quelli accertati nella sentenza2; occorre tuttavia, non trascurare un dato: il principale parametro di riferimento alla stregua del quale vagliare la suddetta correlazione: l'effettività – cioè - dell'esercizio del diritto di difesa. L'imputato deve, infatti, sempre venir posto nella condizione di conoscere l'addebito e svolgere la propria linea difensiva; ciò affinché non sia condannato per un fatto a lui non contestato. In questo senso, si dovrebbe considerare una lesione della “corrispondenza” ogni «trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un'effettiva incertezza sull'oggetto dell'imputaizone con evidente pregiudizio del diritto di difesa»3. Senza contare il fatto che la “diversa qualificazione giuridica del fatto”, se, in linea teorica e, come nell'intenzione del legislatore, comporta una mera modifica del nomen iuris, senza mutamento alcuno del fatto, spesso, nella prassi giudiziaria, determina -com'è da qualcuno definita - una “truffa delle etichette”: finendo cioè per far apparire mero mutamento della qualificazione giuridica, quello che, in realtà, è anche una diversa ricostruzione storica del fatto4. Tornando, tuttavia, alla sentenza in commento, è bene sottolineare che la Suprema Corte, ha espressamente richiamato il noto caso Drassich c. Italia, affrontato e deciso dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Le norme, presenti nel nostro ordinamento positivo, in tema di riqualificazione del fatto, devono infatti essere interpretate in modo adeguato e conformemente ai principi stabiliti dalla Corte di Strasburgo, primo tra tutti la tutela dell'effettività del diritto di difesa5. Nella sentenza Drassich, un dato che tra tutti emerge con grande evidenza è il seguente: fatto e diritto non sono due concetti separati, ma sono le “facce” di un stessa medaglia, l'imputazione. Il mutamento dell'una o dell'altra “faccia”, quanto ai profili che attengono alla tutela del diritto di difesa, pone i medesimi problemi, In entrambi i casi l'imputato deve essere tempestivamente informato, in maniera dettagliata, del mutamento, in modo da potere godere del tempo necessario per impostare una nuova linea difensiva. Le modalità attraverso le quali realizzare questa informaizone possono essere le più varie; tuttvia, deve trattarsi di modalità tali da assicurare una garanzia effettiva e concreta di esercizio del diritto di difesa. La Corte europea, nella citata sentenza Drassich, ha affermato che le disposizioni del par. 3 dell'art. 6 CEDU mostrano la necessità di cura speciale nel notificare la “accusa” all'interessato. L'accusa gioca un ruolo decisivo nel procedimento penale. L'art. 6, par. 3 lett. a, CEDU riconosce all'imputato il diritto di essere informato non solo della causa dell'accusa, cieè dei fatti materiali posti a suo carico e su cui si basa l'azione penale, ma anche della qualificazione giurdica data a questi fatti e ciò in modo dettagliato. La portata di questa disposizione deve essere valutata alla luce del più generale diritto ad un processo equo, come garantito dal par. 1 dell'art. 6 CEDU. In materia penale, la precisa e completa informazione delle accuse nei confronti dell'imputato e, quindi, la qualificazione giuridica del fatto che la giurisdizione potrà ritenere a suo carico, sono una condizione essenziale per l'equità del processo. Inoltre, il giudice deve attenersi al principio del giusto processo e dare alla parti la possibilità di ascoltare e discutere di qualsiasi probema fondamentale per l'esito della procedura , anche quando rigetti un ricorso o un motivo sulla base di una questione rilevata d'ufficio. Orbene, le disposizioni di cui all'art. 6 par. 3 lett. a, CEDU non impongono alcuna forma particolare riguardante il come l'imputato deve essere informato della natura e della causa dell'accusa contro di lui. Tuttavia, c'è un legame tra le lettere a e b del par. 3 dell'art. 6 citato, sicché il diritto di essere informati della natura e della causa di accusa deve essere consoderrato alla luce del diritto dell'accusato di preparare la sua difesa. Se il giudice, quindi, ha la possibilità, secondo il diritto interno, di riqualificare i fatti di cui sia regolarmente investito, deve però garantire che l'accusato abbia la possibilità di esercitare i suoi diritti di difesa sul punto in modo concreto ed efficace. Ciò implica che l'imputato sia informato in tempo utile, non solo della causa dell'accusa, cioè dei fatti materiali posti a suo carico e sui quali si fonda l'accusa, ma ahche della riqualificazione giuridica data a questi fatti in maniera dettagliata. Pertanto, secondo il parametro in questione (art. 6 paragrafo 3 lett. a) CEDU e art. 111 comma 2 Cost., il sistema procesuale italiano dovrebbe risultare pienamente compatibile con gli standard richiesti dalla Corte europea nel caso di modifiche in fatto dell'imputazione introdotte tramite i meccanismi di cui agli artt. 516-520 c.p.p.. Irragionevole sarebbe, infatti, pensare che mutamenti anche cospicui nel quadro normativo di riferimento per l'accusa non possano incidere sul merito della attività difensiva. Già la relazione al progetto preliminare del 1988, affrontava ma non risolveva del tutto la questione, osservando come la previsione di un meccanismo ad iniziativa del pubblico ministero o del giudice volto a provocare il contraddittorio sul punto della riqualificazione giuridica del fatto avrebbe comportato un dispendio di attività probabilmente eccessivo ed il rischio, di indurre il giudice a conformarsi in ogni caso alla qualificazione giuridica ipotizzata originariamente dal pubblico ministero6 (testualmente “nel comma 1 è stato espressamte riconfermato il potere del giudice di modificare nella sentenz la qualificazione giuridica del fatto […]. Non si è dunque prevista una correlazione obbligatoria fra la decisione sul tema giuridico dell'accusa e le conclusioni del pubblico ministero: ciò indubbiamente sacrifica in qualche misura le esigenze della difesa, in particolare per il caso che la diversa qualificazione giuridica implichi una pena più grave”)7 Il legislatore del 1988 ha però, ritenuto di poter sacrificare le esigenze difensive suddette, posto che le richieste del pubblico ministero, anche nel nuovo sistema, non sarebbero state vincolanti per il giudice e perché le eventuali alternative avrebbero comportato – come anticipato - un dispendio di attività ptobabilmente eccessivo. Va altresì detto che, il fatto che un meccanismo simile non costitusca un assurdo è facilmente dimostrato dal fatto che nei sistemi processuali certo non lontani dal nostro lo contemplano espressamente: si veda, ad esmpio, quello tedesco, che vieta di emettere giudizio «sulla base di una legge penale diversa da quella presentata nell'atto di accusa …. Senza che l'accusato si stato preventivamente avvisato … e gli sia stata data la possibilità di difendersi», eventualmente mediante rinvio dl dibattimento8. Invero, ad oggi, la Corte di legimittità ha in più occasioni dimostrato di muoversi secondo una logica tipicamente europea, partendo sempre dalla piena condivisione del principio affermato dalla Corte di Strasburgo, salvo, poi, in relazione ai casi concreti, garantire livelli di tutela differenziati. Copiosa è la giurisprudenza esistente in materia. A titolo esemplificativo. La Corte ha affermato che la modifica del nomen iuris in Cassazione deve essere comunque preceduta dal contraddittorio, [nel caso di specie garantito attraverso una preventiva “informazione”, resa al difensore dell'imputato, circa la potenziale riqualificazione giuridica del fatto contenuta in un atto del collegio] (Cass.Pen., Sez. VI, 25 maggio 2009, imp. Drassich, in Cass. Pen., 2010, p. 2608)., a meno che nel ricorso presentato dal prevenuto tale eventualità sia stata espressamente presa in considerazione, ancorché per sostenere la diversità del fatto da quello contestato e la conseguente violazione dell'obbligo di trasmissione degli atti al pubblico ministero (Cass. Pen., Sez. II, 26 febbraio 2010, imp. Salord, in CED 246922). E ancora. La garanzia del contraddittorio sulla modifica del nomen iuris deve essere concretamente assicurata all'imputato sin dalla fase di merito in cui si verifica la modifica dell'imputazione e, quindi, deve essere assicurata anche nel giudizio di appello (Cass. Pen., Sez. VI, 19 febbraio 2010, imp. Fadda, in Cass. Pen., 2011, p. 1834 e Cass. Pen., Sez. V, 28 ottobre 2011, n. 6487).. E così, Cass. Sez., I, 12 marzo 1996 – 5 aprile 1996, n. 3546,: Il giudice può dare al fatto una diversa qualificazione giuridica, senza incorrere nella violazione dell'obbligo di correlaizone tra sentenza ed accusa contestata, solo a condizione che il fatto storico addebiatato rimanga identico, in riferimento al triplice elemento della condotta, dell'evento e dell'elemento psicologico dell'autore. o, Cass. Sez. III, 2 febbraio 2005 – 12 aprile 2005, n. 13151,: “Il potere del giudice del dibattimento di attribuire a fatto una qualificazione giouridca diversa, rispetto a quella formulata nell'imputazione, sempre che non risulti in concreto pregiudicato il diritto di difesa, deve essere interpretato nel rigoroso rispetto delle esigenze del pieno contraddittorio, in applicazione del principio costituzionale del giusto processo”. E ancora, “Viola il diritto dell'accusato ad essere informato del contenuto dell'accusa e del diritto a disporre del tempo e della possibilità di preparare la propria difesa la sentenza con la quale il giudice di merito, ritenuta una diversa qualificazione giuridica del fatto descritto nell'imputazione, condanni l'imputato per un reato diverso e più grave rispetto a quello oggetto dell'atto di accusa, senza che gli sia stato permesso di avanzare le proprie difese con riferimento alla diversa fattispecie ritenuta dal giudice”. (CEDU, Sez. I, 20 aprile 2006, I.H. c. Austria). Ed è proprio in questo senso e sulla stessa linea interpretativa che quest'oggi sopraggiunge la sentenza n. 13798/2015, a conferma dell'indirizzo ormai consolidato sul tema riqualificazione giuridica del fatt operata ex officio, nonché del prinicipio della necessaria correlazione tra accusa e sentenza.
Avv. Sabrina CAPORALE - sabrinacaporale87@gmail.com - tel. 329/3837427 1 Da AA.VV., in ‘'Incontri ravvicinati' con la provapenale: Un anno di seminari a Roma Tre, p. 179 ss. 2 Diversamente, qualora la variazione ricada sugli elementi di diritto dell'addebito è espresamente previsto, in capo al giudice, ai sensi del primo comma dell'art. c.p.p., il poter-dovere di dare al fatto una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione. La riqualificazione giuridica obbedisce al tradizionale brocardo iura novit curia, in virtù del quale, il giudice è libero, nell'esercizio dello ius dicere, di individuare le norme ritenute più adeguate al caso concreto, senzaessere vincolato alle predefinizioni del pubblico ministero. 3 In questi termini, Cass., Sez. Un., 22 ottobre 1996, Di Francesco, in Cass. Pen., 1997, p. 360; in senso conforme, Cass., Sez. I, 18 febbraio 2010, Di Gati, ivi, 2011, p. 630, con nota di M. SCULCO, Diversa qualificazione giuridica del fatto e prerogative difensive, Cass., Sez. II, 23 luglio 2007, Porzio, ivi, 2008, po.1971, con nota di C. GRILLI, Difetto di correlazione tra imputazione contestata e sentenza: criteri di verifica a confronto; Cass., Sez. III, 28 giugno 2007, Di Martino, ivi, 2008, p. 4769; Cass., Sez. IV, 27gennaio 2005, Capanna, ivi, 2006, p. 3738. 5Con ciò senza trascurare come i mutamenti della qualificazoine giuridica possono ledere anche la posizione processuale del pubblico ministero (e della parte civile), le quali, ancorché non tutelate direttamente dall'art. 6 CEDU, devono essereprese in considerazione se vermanente si vuole realizzare una “parità delle armi” nel processo che non sia a senso unico a garanzia dell'imputato ma tuteli anche gli interessi (pubblici e privati) sottesi all'accertamento del reato. 8 Si tratta del § 265 Abs. 1 StPO ; lo stesso prescrive (Abs. 4) che il rinvio può essere disposto anche d'ufficio del giudice qualora appaia necessario all'idonea preparazine della difesa a seguito della ritenuta modifica della qulificazione dell'accusa. |
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