Data: 26/04/2015 16:00:00 - Autore: Avv. Stefano Savoldelli

Avv. Stefano Savoldelli

Nel suggestivo centro storico di Firenze, nel novembre 2010, un uomo passeggia tranquillo con il suo cane quando, giunti davanti a un palazzo di dichiarato di valore storico architettonico, l'animale alza la zampa e... marca il suo territorio. 

Una cosa naturalissima, certo, ma non del tutto gradita dal proprietario dell'edificio che decide anzi di denunciare il fatto e di chiedere la condanna del proprietario del cane ex art. 639, 2° comma, del codice penale (deturpamento ed imbrattamento di cose altrui).

A quei fatti segue un procedimento nel quale il padrone dell'animale viene condannato in primo grado ed assolto in appello. Si giunge, poi, in Cassazione. 

I fatti sono pacifici: è vero che il cane ha orinato sul muro dell'edifico, ma è anche vero che il padrone ha poi utilizzato una bottiglietta d'acqua per pulire la superficie del palazzo.

Nel merito, la Cassazione evidenzia l'esistenza di una strenua contrapposizione tra la legittima tutela dei beni di proprietà e la posizione di chi conduce animali da compagnia sulla pubblica via: situazioni, sottolinea la Corte, inserite in una complesso quadro formato da elementi quali la convivenza, il rispetto civile, la tolleranza ed, ahinoi, il malcostume. 

In sentenza, la Corte afferma che l'imbrattamento si è certamente verificato, non potendosi considerare esimenti la temporaneità ovvero la superficialità del danno. Tuttavia, perché il reato sussista è altresì necessario verificare se il padrone dell'animale abbia agito volontariamente o meno, così come se debba aver previsto la possibilità che il cane potesse imbrattare il muro. 

Dopo articolato ragionamento, la Corte ha così statuito:

1- - E' innegabile (il padrone, in altre parole, non può non sapere) che, se condotto sulla pubblica via, un cane può imbrattare una proprietà pubblica o privata;

2- - E' innegabile che non è prevedibile il momento in cui il cane dovrà espletare il bisogno, il quale, peraltro, nemmeno potrà essere impedito;

3- - E' innegabile, soprattutto laddove si considerino le grandi città, che gli animali di compagnia, salvo casi specifici, non espletano i bisogni all'interno di appartamenti ovvero di altri luoghi di privata dimora

Ad avviso della Corte, il comportamento del padrone è corretto se improntato a ridurre il più possibile il rischio (prevedibile ma non evitabile) che l'animale possa sporcare i beni di proprietà di terzi. 

Il padrone deve quindi governare diligentemente il rischio e vigilare attentamente sui comportamenti dell'animale, limitandone la libertà di movimento in modo che il cane desista –quanto meno nell'immediatezza- dall'azione.

Nel caso di specie, con la sentenza n. 7082/2015 la Corte ha affermato che il padrone aveva sicuramente malgovernato il rischio a causa di disattenzione o imperizia nella conduzione dell'animale ma che, altresì, si era attivato in maniera corretta ed immediata per ripulire il palazzo. 

Il fattivo comportamento del padrone è stato ritenuto determinante per affermare la mancanza dell'elemento psicologico richiesto per la configurabilità del reato ex art. 639 c.p. 

Il padrone del cane è quindi stato assolto.

Il cane, pare affermare la Corte, può certamente continuare ad essere considerato il miglior amico dell'uomo, a patto tuttavia che l'uomo dimostri d'essere, a sua volta, il miglior amico del cane.

A cura dell'avv. Stefano Savoldelli del Foro di Bergamo

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