Data: 22/04/2015 11:30:00 - Autore: Pasquale Spagnoletti

di Pasquale Spagnoletti

a) Le varie teorie

Secondo una prima teoria, sostenuta prevalentemente in giurisprudenza, dalla promessa del fatto del terzo sorgerebbe a carico del promittente un unica obbligazione di facere, consistente nell'adoperarsi a convincere il terzo a tenere il comportamento promesso1. Ma tale tesi non convince nella misura in cui non riesce a rendere conto della mancata liberazione del promittente dalle conseguenze legali previste per il mancato compimento del fatto del terzo, anche quando il promittente dimostri di aver fatto tutto il possibile per indurre il terzo ad adempiere.

Per superare tali difficoltà, secondo un'altro orientamento, sostenuto prevalentemente in dottrina2, l'obbligo di fare nascente dalla promessa consisterebbe non solo in una attività di convincimento, ma nel procurare al promissario il fatto promesso. Per cui il promittente dovrebbe ritenersi inadempiente quando sia oggettivamente mancata la realizzazione del risultato promesso, anche se provi di essersi attivato con la massima diligenza e correttezza per indurre il terzo a compiere il fatto o ad assumere l'obbligazione.

Tale tesi non appare condivisibile, non solo perché inquadra l'obbligazione in oggetto nella controversa categoria delle cosiddette obbligazioni di risultato (contrapposte alle obbligazioni di mezzi), ma soprattutto perché non è giuridicamente ammissibile una prestazione di fare che abbia ad oggetto un fatto altrui.

b) La teoria dominante

La tesi più accreditata in dottrina ritiene che la promessa del fatto del terzo sia una obbligazione di garanzia3.

I sostenitori di tale teoria affermano che oggetto dell'obbligazione del garante (promittente) è solo la prestazione indennitaria, da compiere quando manchi il fatto del terzo. La legge non prevedrebbe alcuna attività da parte del promittente, la cui obbligazione sorge direttamente dal mancato comportamento del terzo, che si pone come condizione dell'obbligazione del garante.

Si tratterebbe di una garanzia atecnica, simile a quella propria del contratto di assicurazione, che comporta una prestazione di sicurezza e la sopportazione del rischio relativamente ad un evento futuro (fatto del terzo), che rappresenta l'evento condizionante, il quale si sottrae al potere di controllo dell'obbligato, che sopporta il rischio del mancato avveramento del risultato promesso.

L'obbligo dell'indennizzo nasce automaticamente ex lege in conseguenza del mancato compimento del fatto o della obbligazione del terzo, per inadempimento colposo del promittente, che ha fatto sorgere nel promissario il ragionevole affidamento circa la realizzazione del fatto promesso, senza essere sicuro che il terzo avrebbe adempiuto4. Pertanto, il promittente risponde a titolo di responsabilità, non per fatto altrui, ma per fatto proprio.

La legge converte la promessa del fatto altrui in una promessa del fatto proprio, consistente nella promessa di corrispondere l'indennizzo: “garantendo il fatto altrui, il promittente promette il fatto proprio“.

c) Critiche alla teoria dominante

La tesi della dottrina dominante sulla natura della promessa del fatto del terzo, non può accogliersi, in primo luogo, perché l'obbligazione del garante consiste di regola in una prestazione simile a quella garantita, mentre nel caso della promessa del fatto del terzo, il promittente deve prestare qualcosa di diverso: l'indennizzo.

In secondo luogo, perché l'obbligazione di garanzia è accessoria di una obbligazione principale , mentre l'obbligazione indennitaria, data la necessaria estraneità del terzo, è autonoma5.

Ma, soprattutto, perché nella promessa del fatto del terzo, l'oggetto dell'obbligazione non è rappresentato soltanto dall'obbligo di corrispondere l'indennizzo, ma anche e soprattutto da una prestazione di attività positiva, consistente nel convincere il terzo a compiere il fatto promesso.

Il punto debole della tesi che qui si contrasta risiede proprio nel fatto di negare l'esistenza dell'obbligazione di persuasione del promissario da parte del promittente; il quale, invece, nel caso di mancato compimento del fatto del terzo, sarebbe tenuto solo a pagare l'indennizzo. Ma, poiché al promissario interessa non tanto ottenere il pagamento di una somma di denaro a titolo di indennizzo, ma proprio il conseguimento della prestazione promessa, funzionale alla realizzazione di tale interesse non può essere l'obbligo di pagare l'indennizzo, ma quello di attivarsi per indurre il terzo a compiere il fatto promesso.

Il contratto in questione ha, dunque, un contenuto complesso, in quanto contiene due obbligazioni: una accessoria di dare, cioè di corrispondere l'indennizzo6; ed una principale di fare, consistente nel compimento di una attività di convincimento da parte del promittente, il quale deve adoperarsi con diligenza e correttezza, affinché il terzo si obblighi a fare o compia il fatto promesso7.

Pertanto, ammessa (così come fa la prevalente giurisprudenza) l'esistenza di una obbligazione di convincimento accanto a quella indennitaria, occorre esaminare i rapporti tra le due obbligazioni.

Innanzi tutto è da escludersi, che nel caso in questione, si possa configurare una ipotesi di conversione dell'oggetto dell'obbligazione. Infatti le ipotesi tipiche di mutamento dell'oggetto dell'obbligazione sono quelle della datio in solutum e della novazione oggettiva.

A parte la considerazione, che qui la conversione (ammesso che di conversione dell'obbligazione si possa parlare) opererebbe per effetto della legge e non per volontà delle parti. Riteniamo che non possa trattarsi di datio in solutum, che si avrebbe solo nel caso in cui il promissario accettasse il fatto difforme compiuto dal terzo; né di novazione oggettiva, in quanto non si costituisce un nuovo rapporto. Inoltre, sia per l'una che per l'altra ipotesi vale il rilievo che, nella promessa del fatto del terzo, la sostituzione tra le due prestazioni è prevista sin dal momento della conclusione del negozio e non ha bisogno di un successivo accordo contrattuale tra le parti.

In relazione, poi, alla dazione in pagamento che nasce dal pactum in solutum dando, con cui, sin dal momento della conclusione del contratto, si attribuisce al debitore la facoltà di liberarsi dal vincolo obbligatorio eseguendo una prestazione diversa da quella originaria; non può sfuggire la considerazione che essa costituisce pur sempre una modificazione del contratto, che attuandosi nel momento della esecuzione della prestazione, richiede (ai sensi del primo comma dell'articolo 1197 del codice civile) il necessario consenso del creditore (non è rilevante, poi, ai nostri fini, che, nell'ipotesi in parola, il consenso sia stato prestato al momento della conclusione del “pactum“). Nel caso della promessa, invece, non solo le due prestazioni costituiscono un elemento strutturale del rapporto, che lo caratterizzano come contratto a contenuto complesso; ma la sostituzione tra le due prestazioni è prevista dalla legge come possibile effetto tipico del contratto, che non importa modificazione del suo contenuto e che prescinde dal consenso del promissario.

Neanche potrebbe parlarsi di obbligazione cumulativa o ad oggetto multiplo o congiunto, in quanto le due prestazioni non devono essere entrambe eseguite.

Attesa, dunque, la duplicità di contenuto dell'obbligazione8, non resta che inquadrare la fattispecie della promessa nella categoria delle obbligazioni alternative o facoltative (c.d. obbligazioni a struttura complessa o ad oggetto disgiunto), in quanto una sola delle due prestazioni deve essere compiuta.

Poiché, però, nell'assetto degli interessi delle parti contrattuali, acquista una posizione preminente quello del promissario ad ottenere il compimento del fatto promesso; riteniamo che la promessa del fatto del terzo debba qualificarsi come una tipica ipotesi di obbligazione facoltativa (o con facoltà alternativa) di fonte legale9. Infatti, l'obbligo di pagare l'indennizzo, non essendo funzionale alla realizzazione dell'interesse che determina il sorgere del rapporto contrattuale, non può porsi in alternativa all'obbligo di convincimento, ma solo in posizione subordinata rispetto a questo.

L'obbligazione di convincimento del terzo resta l'unica dedotta in contratto, mentre quella indennitaria è in facultas solutionis, costituendo non una semplice conseguenza dell'inadempimento dell'obbligo di persuasione, ma una possibilità offerta dalla legge al promittente nella fase di esecuzione, di liberarsi dal vincolo obbligatorio compiendo una prestazione diversa.

La prestazione sostitutiva è stata prevista e voluta dalla legge (in quanto ritenuta comunque idonea a realizzare l'interesse del creditore) per consentire al promissario di ottenere in ogni caso un risultato utile; giacché appare probabile, fin dal tempo della conclusione del contratto, un eventuale rifiuto del terzo, nonostante ogni sforzo compiuto per indurlo ad adempiere.

La potestà (di scelta o meglio) di sostituzione tra le due prestazioni è rimessa esclusivamente (come in ogni obbligazione facoltativa) al promittens. Infatti, il promittente, se lo ritiene più opportuno, potrebbe pagare l'indennizzo, non solo nel caso di rifiuto del terzo, ma anche prima di aver compiuto ogni e qualsiasi attività di persuasione ed indipendentemente dal rifiuto del terzo10. Anzi, se la prestazione promessa è fungibile (o negli altri casi in cui non potrebbe compiersi una valida opposizione da parte del promissario), il promittente potrebbe eseguirla personalmente, anche contro la volontà del promissario, il quale non potrebbe legittimamente rifiutarla (art. 1180 c.c.)11. Si ritiene di applicare analogicamente, in questo caso, per l'eadem ratio che accomuna le due fattispecie, l'articolo 1180 del codice civile (c.d. adempimento del terzo), non costituendo ostacolo insormontabile il mutamento delle posizioni giuridiche dei soggetti, in quanto, a dire il vero, il promittente, nell'ipotesi de quo, sarebbe il debitore e non il terzo.

Al promittente, dunque, è offerta la scelta tra la prestazione indennitaria e quella di convincimento. Se opta per la prima, sia dopo aver compiuto un qualche tentativo o ogni sforzo per indurre il terzo a compiere il fatto promesso, sia prima ed indipendentemente dal compimento di una simile attività, si libera dall'obbligazione ed il promissario null'altro potrà da lui pretendere12. Se sceglie, invece, di attivarsi a convincere il terzo, il promittente si libera dal vincolo obbligatorio, se il terzo compie il fatto promesso.

Nell'ipotesi di rifiuto del terzo o di mancato compimento del fatto promesso, il promittente si libera in ogni caso pagando l'indennizzo.

Non è data, però, al promittente la possibilità di sciogliersi dal vincolo obbligatorio dimostrando che, avendo fatto tutto il possibile per costringere il terzo ad adempiere (avendo provato, cioè, di aver agito con la massima diligenza e correttezza nel compimento dell'attività di persuasione e convincimento del terzo), l'impossibilità della prestazione non è a lui imputabile13. Perché, l'impossibilità sopravvenuta della prestazione estingue l'obbligazione solo se è imprevista, imprevedibile ed oggettiva. Nel nostro caso, invece, l'impossibilità non è imprevista o imprevedibile14, perché poteva invece essere probabile il rifiuto del terzo estraneo, il cui comportamento si sottrae al potere di controllo e all'influenza del promittente; non è oggettiva, perché dipende dalla mera volontà del terzo.

Per tale ragione, pur essendo la promessa del fatto del terzo una obbligazione facoltativa, non è ad essa applicabile, nell'ipotesi del rifiuto del terzo (o del mancato compimento del fatto promesso), quella regola che vuole la liberazione del debitore dall'obbligazione in facultas solutionis (obbligo indennitario), quando l'obbligazione di convincimento, essendo l'unica obbligazione dedotta in contratto, si estingue per impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore. Comunque, non potrebbe qui correttamente parlarsi di impossibilità sopravvenuta della prestazione, perché il mancato compimento del fatto promesso da parte del terzo estraneo rientra o dovrebbe rientrare nella prudente stima delle parti al momento della stipula del contratto.

Non potendo liberarsi altrimenti dal vincolo obbligatorio al promittente non resta che pagare l'indennizzo.

La facoltà alternativa potrebbe, inoltre, essere esercitata dal promittente-debitore anche se è stato costituito in mora dal promissario-creditore, e anche dopo la sentenza di condanna; poiché la mora e la sentenza non modificano il contenuto dell'obbligazione e la facoltà può esercitarsi fino a che il creditore non realizza il proprio diritto con l'esecuzione della prestazione principale.

Ove, poi, (mancando il fatto del terzo) il promittente non eserciti la facultas solutionis (pagando l'indennizzo), il promissario potrà sempre agire in giudizio nei suoi confronti per esperire le azioni previste per le ipotesi di inadempimento contrattuale, quali: la risoluzione del contratto, il risarcimento dei danni e l'azione di adempimento15.

Inoltre, il promissario potrà utilizzare l'ordinario rimedio dell'eccezione di inadempimento, qualora sia tenuto ad una controprestazione nei confronti del promittente, o nel caso in cui la promessa sia inserita come controprestazione in un più ampio regolamento di interessi, funzionalmente collegata ad altro negozio giuridico16.

Non è, invece, ammissibile una domanda giudiziale volta ad ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligazione del promittente, in quanto essa, avendo ad oggetto un facere, cioè una attività di persuasione, consiste in una condotta autonoma e strettamente personale, come tale insostituibile17.

Pertanto, solo impropriamente può dirsi che la legge converte la promessa del fatto altrui in promessa del fatto proprio, garantendo in ogni caso al promissario un risultato utile, per il sol fatto che il terzo non compia il fatto promesso. La verità è che la locuzione “è tenuto“ usata nella stesura dell'articolo 1381 del codice civile, tradisce lo spirito della legge, che in realtà ha voluto porre accanto all'obbligazione principale di convincimento, una ulteriore obbligazione, accessoria rispetto alla prima, che consiste nel pagamento di una indennità e che costituisce una facultas solutionis volta ad assicurare: al creditore, comunque, una utilità (anche se non proprio quella programmata); ed al debitore una comoda via di fuga dalle conseguenze legali (eo anche morali: in quanto in un certo qual modo onora e tiene fede all'impegno assunto con la promessa) dell'inadempimento.

1Cassazione: sentenze del: 1942 n.1235, 1955 n.1236, 1960 n.797, 1963 n.2995, 1964 n.961, 1964 n.1531, 1966 n.910, 1967 n.2098, 1967 n. 2998, 1968 n.315, 1969 n.1050, 1973 n.3036, 1974 n.312, 1974 n.1836, 1974 n. 3601, 1975 n.19, 1975 n.4209, 1977 n.1315, 1980 n.1379, 1987 n.1136, 1987 n. 8433, 1990 n. 2965, 1991 n.6984, 1992 n.12118.

2 Cassazione: sentenza del 1975 n.15. Sacco: “Obbligazioni e contratto“.

3 Scalfi: “La Promessa del Fatto Altrui”; Betti: “Teoria Generale del Contratto”; Mirabelli: “Dei contratti in generale “in Commentario al codice civile; Scognamiglio: “Contratto in generale“.

4 Cassazione: sentenze del: 1966 n.2699, 1968 n.1702, 1968 n.2480 , 1975 n.19, 1993 n.5216.

5 Cassazione: sentenze del: 1964 n.1531, 1967 n.2098, 1967 n.2998, 1973 n.3036, 1974 n.3601, 1980 n.1379, 1980 n.3411.

6Cassazione: sentenza del 1995 n.12793.

7Cassazione: sentenze del: 1942 n.1235, 1955 n.1236, 1960 n.797, 1963 n.2995, 1964 n.961, 1964 n.1531, 1966 n.910, 1967 n.2098, 1967 n. 2998, 1968 n.315, 1969 n.1050, 1973 n.3036, 1974 n.312, 1974 n.1836, 1974 n. 3601, 1975 n.19, 1975 n.4209, 1977 n.1315, 1980 n.1379, 1987 n.1136, 1987 n. 8433, 1990 n. 2965, 1991 n.6984, 1992 n.12118.

8Cassazione: sentenza del 1995 n.12793.

9Ipotesi di obbligazioni facoltative di fonte legale sono ritenute, tra le altre, quelle di cui ai seguenti articoli del codice civile: 547 1° comma, 574 capoverso, 581 3° comma, 593, 651 1° comma, 746 1° comma, 1182 3° comma, 1278, 1279, 1557, 1717 2° comma, 1735.

10 Contra: cassazione: sentenza del 1995 n.12793.

11 Messineo: “Dottrina generale del contratto“.

12 Contra: cassazione: sentenza del 1995 n.12793.

13 Cassazione: sentenze del: 1955 n.1236, 1966 n.910, 1967 n. 2098 1968 n. 315, 1975 n.19, 1975 n.4209, 1980 n. 1379. Scalfi: opera citata.

14 Scalfi: opera citata.

15 Cassazione sentenza del 1995 n.12793. Contra: cassazione: sentenze del: 1974 n.1836, 1980 n.1315, 1987 n.1991, 1987 n.4093.

16 Cassazione: sentenze del: 1993 n.5216, 1995 n.12793.

17 Cassazione: sentenze del: 1966 n.1488, 1969 n.1050, 1980 n.131,1987 n.1991, 1987 n.4093, 1992 n.12118, 1993 n.12507, 1995 n.12793.


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