Data: 29/04/2015 10:00:00 - Autore: Claudio Parietti
Dott. Claudio Parietti - L'indegnità può essere definita come una causa di rimozione dalla successione ope legis. In dottrina sono principalmente tre gli orientamenti che si distinguono in riferimento al suo fondamento.

Indegnità: gli orientamenti dottrinali

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Salva qualche voce contraria, il suo fondamento non può ritrovarsi in una vera e propria sanzione penale ancorché accessoria stante il fatto che, salvo uno dei sette casi tassativi di indegnità previsti dall'art. 463 del codice civile (1), essa prescinde da una condanna penale (2).
Non si può nemmeno attribuire all'indegnità un fondamento soggettivo di natura privatistica ravvisabile nella presunta volontà del de cuius di escludere dalla propria successione colui che ha posto in essere un determinato comportamento poichè, come pacificamente sostenuto in dottrina ed in giurisprudenza, l'indegno è escluso sia dalla successione testamentaria che dalla successione legittima (la quale prescinde dalla volontà del de cuius).
Appare quindi preferibile, così come sostenuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza dominante, attribuire a tale istituto un fondamento oggettivo di natura pubblicistica e, più specificamente, quello di una vera e propria sanzione civile derivante dal considerare socialmente ingiusto (3) che un soggetto riceva un vantaggio conseguentemente ad una propria condotta antigiuridica tenuta nei confronti proprio del soggetto a cui succede (ovvero dei suoi congiunti).

La natura giuridica

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Appare oggi tuttora discussa la natura giuridica dell'indegnità. Principalmente si possono riassumere due diverse teorie.
A) Teoria dell'incapacità a succedere. - Diversi autori sostengono e supportano la tesi secondo la quale l'indegnità debba considerarsi un mero fatto che impedisce ipso iure la delazione ereditaria (4). Corollario di tale teoria è la considerazione che la sentenza che accerti l'indegnità abbia natura meramente dichiarativa e non costitutiva, essendo la mancata acquisizione del patrimonio ereditario un effetto automatico ab initio.
B) Teoria dell'esclusione dalla successione. - La dottrina prevalente e la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità (5), sostengono invece la tesi secondo la quale l'indegnità, più che essere una causa di incapacità relativa a succedere, sia una causa di esclusione ex post dalla successione. Gli argomenti a sostegno di tale tesi sono principalmente tre. Il primo lo si riscontra nella lettura della norma (l'art. 463 cod. civ. letteralmente parla di "esclusione"), il secondo lo si ricava dalla presenza di un capo apposito (il terzo) che si riferisce all'indegnità in netto contrasto con il codice civile del 1865 che regolava l'indegnità nell'art. 725 all'interno del capo sulle incapacità a succedere e per ultimo, ma non da ultimo, l'art. 230 della Relazione del Ministro Guardasigilli Grandi al codice civile del 1942 ove viene espressamente specificata la volontà del legislatore di seguire la tradizione romanistica dell'istituto riscoprendo il brocardo latino "Indignus potest capere sed non potest retinere" (6).
Corollario di tale teoria è la considerazione che la sentenza che accerti l'indegnità abbia natura costitutiva e carattere retroattivo.

Casi di indegnità

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L'articolo 463 del codice civile elenca i sette casi di indegnità i quali, stante la loro accertata tassatività, non sono suscettibili di interpretazione analogica.
Essi sono raggruppabili in due diverse categorie: fatti che costituiscono attentato alla personalità fisica e morale del de cuius (punti 1,2 e 3) e fatti che costituiscono attentato alla libertà di testare (punti 4, 5 e 6). In aggiunta a questi, nel 2005 è stata introdotta una settima causa di indegnità (punto 3 bis) (7) la quale viene ricondotta da alcuni autori, ancorché non pacificamente, alla prima delle due categorie sopra enunciate.

Azione diretta a far valere l'indegnità

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Coerentemente con la natura giuridica di esclusione dalla successione dell'indegnità officio iudicis, la dottrina e la giurisprudenza prevalente ritengono che gli interessati a far valere l'indegnità di un soggetto debbano promuovere un'apposita azione per far annullare l'acquisto di quest'ultimo.
Preliminarmente occorre analizzare la natura giuridica dell'azione.
È discusso in dottrina ed in giurisprudenza se l'indegnità operi esclusivamente in favore di chi la domandi oppure se operi in favore di tutti i chiamati alla successione e quindi se debba aversi o meno litisconsorzio necessario fra di essi.
La tesi positiva è seguita principalmente dalla giurisprudenza di legittimità (8) sante il risultato a cui mira detta azione; essa, riguardando l'accertamento della qualità di erede, è una situazione giuridica unitaria che riguarda immancabilmente tutti gli eredi con la conseguenza che una sentenza relativa soltanto ad alcuni di essi sarebbe inutiliter data.
La tesi negativa è invece sostenuta dalla dottrina maggioritaria facendo leva sulla natura personale dell'azione.
A) Legittimazione attiva. - Si è talvolta affermato, sia in dottrina sia in giurisprudenza, che l'azione volta ad accertare l'indegnità di un soggetto possa essere fatta valere da chiunque vi abbia un interesse, ancorchè non patrimoniale.
Si ritiene invece preferibilmente, così come evidenziato anche dalla Cassazione (9), che la legittimazione spetti solo a coloro che abbiano un interesse di natura patrimoniale e non meramente morale o familiare poichè, trattandosi di un'esclusione successiva dalla successione, l'azione condurrà ad un passaggio dell'eredità agli altri eredi ovvero ai chiamati in subordine oppure, in caso di legato, a colui che ha il diritto di conseguirlo in luogo dell'indegno.
B) Legittimazione passiva. - L'esclusione dalla successione, per ovvie ragioni, può essere pronunciata solo contro colui che abbia accettato l'eredità ovvero che non abbia rinunciato al legato.
Qualora la delazione permanga in capo all'indegno a causa della sua mancata accettazione ovvero mancata rinuncia all'eredità, gli interessati a promuovere l'azione potranno ricorrere all'actio interrogatoria ex art. 481 del codice civile per richiedere all'autorità giudiziaria la fissazione di un termine entro il quale il delato dichiari se accettare o rinunciare.
C) Prescrizione dell'azione. - Con riferimento alla prescrizione dell'azione, la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza di legittimità ritengono coerentemente che l'azione si prescriva nel termine ordinario decennale con decorrenza dal giorno dell'apertura della successione ovvero dalla data di commissione del fatto a seconda che il fatto venga commesso prima o dopo la morte del de cuius.

Effetti della sentenza di indegnità

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Ai sensi dell'art. 464 del codice civile, l'indegno è obbligato a restituire i frutti che gli sono pervenuti dopo l'apertura della successione. L'indegno, infatti, viene considerato a tutti gli effetti possessore di mala fede con la precisazione però che che non deve restituire anche i frutti che avrebbe potuto percepire e che invece non ha percepito.
Gli atti di ordinaria amministrazione posti in essere dall'indegno antecedentemente alla sentenza costitutiva non vengono minimamente colpiti da quest'ultima mentre agli atti di straordinaria amministrazione, e precisamente agli atti dispositivi, non vi è ragione di escludere l'applicazione della disciplina prevista per il c.d."Erede apparente".

Riabilitazione dell'indegno

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L'art. 466, primo comma, del codice civile ammette la possibilità che la persona della cui successione si tratta abiliti colui che è incorso nell'indegnità per mezzo di atto pubblico o con testamento.
É di tutta evidenza che la riabilitazione possa quindi avvenire solo qualora il fatto sia stato commesso anteriormente la morte del de cuius essendo richiesta un'espressa manifestazione di volontà di quest'ultimo in tal senso.
La riabilitazione, essendo una vera e propria dichiarazione di volontà, ha natura negoziale ed è un atto personalissimo (non ammette quindi rappresentanza e deve essere necessariamente rivolta ad un soggetto determinato). Tra le sue altre caratteristiche si riscontra inoltre la sua non recettizietà e la sua irrevocabilità.
Diverso dalla riabilitazione fin ad ora descritta è quanto previsto dal legislatore al secondo comma dell'art. 466 del codice civile in virtù del quale l'indegno, non espressamente abilitato dal testatore, viene da quest'ultimo comunque contemplato nel testamento mediante una o più attribuzioni fattegli a titolo di eredità o legato (10).
La peculiarità di tale fattispecie è che, purché emerga dal testamento la conoscenza del testatore della causa di indegnità, l'indegno viene ammesso a succedere esclusivamente nei limiti di quanto ad esso attribuito nel testamento.
Dott. Claudio Parietti
claudio.parietti@hotmail.com
Tel. +39 3397980612
Note:
(1) Precisamente il n. 3.
(2) A conferma di ciò è utile sottolineare come tale causa di rimozione dalla successione operi anche qualora vi sia l'estinzione del reato.
(3) È proprio nella natura sociale della sanzione che si evidenzia il carattere pubblicistico e non meramente privatistico della sanzione stessa.
(4) La delazione è l'offerta del patrimonio ereditario ai successori del de cuius.
(5) App. Milano, 22 dicembre 1970; Trib. Cagliari, 22 agosto 1994; Cass. civ. 7266/2006; Cass. civ. 5402/2009.
(6) L'indegno può acquistare ma non può trattenere.
(7) Introdotta dall'art. 11, lett. c), della legge 8 luglio 2005, n. 137.
(8) Cass. civ. 5402/2009; Cass. civ. 4533/1986.
(9) Cass. civ. 6859/1993.
(10) E' discussa in dottrina la natura giuridica di tale secondo comma. Per parte della dottrina essa è una riabilitazione parziale a tutti gli effetti, ancorchè tacita. Per altra dottrina, che si ritiene preferibile, invece non si tratta di un riabilitazione bensì della mera volontà del testatore di conferire validità ed efficacia alla propria disposizione senza eliminare l'indegnità del successore.

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