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Data: 15/05/2015 18:10:00 - Autore: Giovanna Molteni Giovanna Molteni - La gelosia morbosa connotata dalla contestazione di tradimenti inesistenti, dalla ricerca incessante di tracce di relazioni extra-coniugali attraverso controlli sui telefono della moglie, da reiterate richieste di test del dna sui figli e dalla verifica degli orari di rientro a casa e degli spostamenti configura il reato di maltrattamento, essendo al cospetto di una vessazione psicologica punita dalla legge. È quanto afferma la sesta sezione della Suprema Corte, secondo cui è reato condizionare il coniuge nella vita quotidiana e nelle scelte lavorative sottoponendolo a continue vessazioni. Nel caso di specie, la condotta ossessiva ispirata da gelosia morbosa era stata tenuta da un uomo siciliano che, tra l'altro, aveva fatto pressione sulla moglie affinché abbandonasse il suo lavoro di assistente di volo in quanto "non adatto a donne per bene". Il coniuge geloso era stato assolto dall'accusa di maltrattamenti, mentre la Corte d'appello di Palermo aveva confermato la condanna per stalking che gli era stata inflitta in primo grado. Il giudice di secondo grado aveva basato l'assoluzione sul fatto che la vita di coppia era caratterizzata da una certa animosità e che non si era raggiunta la prova della consapevolezza del marito di causare alla moglie un turbamento psichico e morale. La pronuncia d'appello è stata ribaltata dal giudice di ultima istanza secondo cui gli atteggiamenti eccessivamente gelosi tenuti dall'uomo attengono alla vessazione psicologica -punita dall'articolo 572 del codice penale con la reclusione da due a sei anni- in quanto con il suo modo di agire il partner avrebbe provocato nella moglie importanti limitazioni e condizionamenti nella vita quotidiana e nelle scelte, nonché un intollerabile stato d'ansia. |
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