Data: 19/05/2015 10:25:00 - Autore: Marina Crisafi

di Marina Crisafi - Oltre a quello che il premier ha battezzato "il bonus Poletti" che verrà erogato a 3 milioni e 700 mila pensionati a partire dall'1 agosto, ma che in realtà, come rimarcato dall'opposizione (M5s in testa), rappresenta la restituzione del "maltolto" indebitamente trattenuto con il blocco della rivalutazione delle pensioni in attuazione dei principi dettati dalla sentenza n. 70/2015 della Consulta, tra le novità annunciate ieri nel Consiglio dei Ministri n. 64 (leggi " Sì del Governo al "rimborsino" ai pensionati ") c'è la tanto attesa riforma delle pensioni.

Le nuove regole troveranno spazio, a detta di Renzi, nella prossima legge di stabilità e agiranno soprattutto sul fronte dell'uscita anticipata, "sedando" le questioni nate e cresciute con la riforma Monti-Fornero che ha innalzato l'età del pensionamento allontanando per tanti lavoratori la prospettiva di lasciare il lavoro e creando il noto fenomeno degli esodati.

Molte le proposte sul tavolo del Governo, cui si aggiungerà quella dell'Inps che, per bocca del presidente Boeri, sarà pronta entro giugno.

Ma il punto fermo da cui partirà l'esecutivo sarà quello di ritoccare le "troppo rigide" regole vigenti, "dando più spazio" a chi in cambio di una riduzione dell'assegno vorrà una maggiore flessibilità. In sostanza, per dirla con le parole di Renzi, dare la possibilità "alle nonne di godersi i nipotini, rinunciando a 20-30 euro ma magari risparmiando di baby-sitter".

Ecco, in sintesi, le proposte al vaglio dell'esecutivo:

- Flessibilità in uscita tra i 62 e i 66 anni

Tra le proposte in cantiere sulla flessibilità in uscita, c'è quella a firma di Cesare Damiano sulla famosa "quota cento", ovvero la possibilità di andare in pensione raggiunta tale quota (che rappresenta la somma dell'età anagrafica e dell'anzianità contributiva) con il limite di almeno 35 anni di anzianità contributiva e 60 anni di età.

Altra ipotesi di flessibilità è quella dell'uscita con penalizzazioni a partire dai 62 anni e fino ai 66, con una penalizzazione del 2% annuo. Ciò significa che chi andrebbe in pensione a 66 anni avrebbe diritto alla pensione piena, mentre chi uscirebbe dal lavoro a 62 anni vedrebbe decurtato l'assegno dell'8%.

- Contributivo per tutti

Altra ipotesi è l'estensione a tutti i lavoratori del sistema "contributivo", agendo così sulla parte retributiva dell'assegno, quella cioè legata allo stipendio e non ai contributi versati. In tal modo, andando incontro alle richieste dell'Inps che da tempo chiede il calcolo contributivo almeno per le pensioni più elevate, tutti i trattamenti previdenziali sarebbero calcolati con il metodo contributivo. Si tratta di una possibilità, peraltro, già prevista dalla legge Fornero ma soltanto per le donne che possono ritirarsi in anticipo accettando il calcolo dell'assegno previdenziale sulla base dei contributi versati, con un taglio variabile dal 25% al 35%.

- Prestito pensionistico

Altra ipotesi realizzabile (su cui aveva lavorato il ministro del lavoro del governo Letta, Giovannini) è quella del "prestito pensionistico". Un meccanismo che consentirebbe di lasciare il lavoro a 62 anni e tre mesi compiuti (e 35 di contributi previdenziali) ricevendo un "anticipo" sull'assegno (fino alla maturazione del diritto pieno alla pensione di vecchiaia) da restituire nel tempo a rate (decurtate direttamente dalla pensione finale).


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