Data: 10/06/2015 19:50:00 - Autore: Avv. Paolo Accoti

Avv. Paolo Accoti

Che i termini dell'art. 190 c.p.c. e, pertanto, le comparse conclusionali e le repliche fossero ritenute accessorie, se non del tutto ignorate, se ne aveva il sospetto, però a pensare che fossero sacrificabili non si era mai arrivati.

Com'è noto, l'art. 190 c.p.c. prevede espressamente che: ”Le comparse conclusionali debbono essere depositate entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla rimessione della causa al collegio e le memorie di replica entro i venti giorni successivi.

Per il deposito delle comparse conclusionali il giudice istruttore, quando rimette la causa al collegio, può fissare un termine più breve, comunque non inferiore a venti giorni”.

Per come costantemente insegnato dalla giurisprudenza della Suprema Corte, la comparsa conclusionale e, a maggior ragione, la memoria di replica, hanno la sola funzione di chiarire le domande ed eccezioni già ritualmente proposte e non possono contenerne di nuove sicché, ove prospettate per la prima volta, il giudice non può e non deve pronunciarsi al riguardo (Tra le tante: Cass. civ., 12/01/2012, n. 315; Cass. civ., 14/03/2006, n. 5478; Cass. civ., 16/07/2004, n. 13165; Cass. civ., 07/04/2004, n. 6858).

Appare evidente, tuttavia, che le stesse svolgono pur sempre una funzione difensiva, altrimenti la loro esplicita previsione normativa sarebbe stata assolutamente superflua.

Tanto è vero che, l'illustrazione della domande, delle eccezioni e delle difese ben può essere chiarita con nuovi riferimenti dottrinali e giurisprudenziali che le parti si sono riservate di esplicitare e approfondire in fase conclusionale, magari anche per strategia difensiva, per non scoprire completamente tutte le “carte” a disposizione.

Possibilità strettamente connessa all'ineludibile diritto di difesa e allo stesso contraddittorio.

A tal proposito è stato affermato che: “Nell'ambito del processo civile, la mancata assegnazione dei termini, in esito all'udienza di precisazione delle conclusioni, per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie finali di replica ai sensi dell'art. 190 cod. proc .civ., costituisce motivo di nullità della conseguente sentenza, impedendo ai difensori delle parti di svolgere nella sua pienezza il diritto di difesa, con conseguente violazione del principio del contraddittorio” (Cass. civ., 06/03/2006, n. 4805. Nello stesso senso: Cass. civ., 18/10/2005, n. 20142; Cass. civ., 10/03/2008, n. 6293; Cass. civ., 24/03/2010, n. 7072).

In merito alla possibilità di far valere l'anzidetta nullità nella fase di legittimità - comportante il mancato esercizio del diritto di difesa e la violazione del contraddittorio, principio cardine del giusto processo - è stata stabilita la deducibilità nel giudizio di cassazione ai sensi dell'art. 360 -bis, n. 2), c.p.c. (previgente disciplina) né è necessario, al riguardo, che la parte indichi se e quali argomenti avrebbe potuto svolgere ove le fosse stato concesso il termine per il deposito della comparsa conclusionale (Cfr.: Cass. civ., 05/04/2011, n. 7760. Nello stesso senso tra le altre: Cass. civ., 24/03/2010, n. 7072; Cass. civ., 03/06/2008, n. 14657).

Se si è ancora nella fase di merito, ferma restando la nullità della sentenza pronunciata dal giudice di primo grado prima della scadenza dei termini per il deposito delle conclusionali o delle memorie di replica, una volta constatata tale nullità, il giudice del gravame “non può limitarsi ad una pronunzia di mero rito dichiarativa della stessa, né può rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell'art. 354 cod. proc. civ., ma - in ossequio al principio di cui all'art. 162 cod. proc. civ. ed al normale effetto devolutivo del giudizio di appello - è tenuto a decidere la causa nel merito, provvedendo in questo modo alla rinnovazione dell'attività riguardo alla quale la nullità si è verificata” (Cass. civ., 09/03/2011, n. 5590).

Non è mancata, tuttavia, una pressoché isolata decisione di segno contrario, anche abbastanza risalente nel tempo che ha stabilito come la violazione in commento non sia di per sé causa di nullità della sentenza stessa, essendo indispensabile che la irrituale conduzione del processo abbia prodotto in concreto una lesione del diritto di difesa. Pertanto, la parte che intenda far valere la dedotta nullità, dovrebbe dimostrare che l'impossibilità di assolvere all'onere del deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica ha impedito alla difesa di svolgere ulteriori e rilevanti aggiunte o specificazioni a sostegno delle proprie domande e/o eccezioni rispetto a quanto già indicato nelle precedenti fasi del giudizio (In tal senso: Cass. civ., 23/02/2006, n. 4020).

Di recente, tuttavia, il predetto sostanzialmente isolato orientamento è stato riproposto, ed anzi si è aggiunto qualcosa in più, considerato che non basterebbe più dimostrare come il mancato rispetto dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. abbia semplicemente impedito alla difesa di svolgere ulteriori e rilevanti aggiunte o specificazioni a sostegno delle proprie domande e/o eccezioni ma, occorrerebbe altresì dimostrare come, ragionevolmente, la mancanza della riferita omissione avrebbe probabilmente condotto il giudice ad una decisione diversa da quella effettivamente assunta.

Dimostrazione aggiuntiva che sicuramente rende più gravoso l'onere probatorio di chi deduce siffatta, certa, violazione del codice di procedura civile.

La Corte di Cassazione, infatti, con la sentenza n. 7086, del 9 aprile 2015, ritiene di dare continuità alla ricordata giurisprudenza del 2006 senza, tuttavia, “volere in tal modo dare corso ad un vero e proprio contrasto”, con i precedenti maggioritari orientamenti.

L'affermazione, tuttavia, sembrerebbe la conferma che, in realtà, un contrasto vero è proprio sarebbe già in atto, non per nulla nella predetta sentenza si dà espressamente conto “del prevalente orientamento che ha ravvisato in siffatta ipotesi un motivo di nullità della sentenza (v. le sentenze 3 giugno 2008, n. 14657, e 24 marzo 2010, n. 7072, nonché le ordinanze 9 marzo 2011, n. 5590, e 5 aprile 2011, n. 7760)”.

Tuttavia, per spiegare l'adesione al principio minoritario, se non isolato, la stessa evidenzia che: “la tesi di cui alla sentenza appena citata vada valorizzata, soprattutto alla luce delle più recenti elaborazioni giurisprudenziali - che hanno trovato un'eco autorevole anche nella sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte 17 febbraio 2009, n. 3758 - secondo cui la lesione delle norme processuali non è invocabile in sé e per sé, essendo viceversa sempre necessario che la parte che deduce siffatta violazione adduca anche, a dimostrazione della fondatezza, la sussistenza di un effettivo pregiudizio conseguente alla violazione medesima. E' stato affermato nella sentenza 23 febbraio 2010, n. 4340, ad esempio, che in materia di impugnazioni civili, dai principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire si desume quello per cui la denunzia di vizi dell'attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), non tutela l'astratta regolarità dell'attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l'eliminazione del pregiudizio del diritto di difesa concretamente subito dalla parte che denuncia il vizio”.

La Corte, quindi, con la menzionata recente decisione ha ritenuto, in maniera sicuramente più restrittiva, che: “Da ciò quella pronuncia ha tratto la conclusione per cui, ove la parte proponga ricorso per cassazione deducendo la nullità della sentenza impugnata per non aver avuto la possibilità di replicare, con apposita memoria, alla comparsa conclusionale dell'avversario, a causa della morte del proprio procuratore, essa ha l'onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre per contrastare quelle della controparte ovvero le istanze, le modifiche o le deduzioni che si sarebbero volute presentare, nonché il pregiudizio derivato da siffatta carenza di attività processuale” (Cass. civ., 09/04/2015, n. 7086).

Ciò posto, immolare il diritto alla difesa sull'altare dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, svilisce oltre modo l'assioma di rango costituzionale per cui: “la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”.

Peraltro non si vede in che modo il protrarsi del processo per ulteriori 60+20 giorni, dalla rimessione della causa al collegio, per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie, possa incidere sull'economia processuale e sulla ragionevole durata del processo.

Questi, infatti, sono i termini perentori da concedere alle parti per svolgere compiutamente il loro diritto di difesa.

Non si può, pertanto, ponderatamente ritenere che il decorso, nella peggiore delle ipotesi, di 80 giorni, possa comportare un apprezzabile slittamento della sentenza e, conseguentemente, un'eccessiva durata del processo.

In realtà, la causa dell'irragionevole durata del processo sarebbe chiaramente da ricercare altrove, e non certo negli esigui termini per il deposito delle comparse conclusionali.

Appare equo l'orientamento maggioritario per cui al fine di valere l'eccezione del mancato rispetto dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. occorre dimostrare l'impedimento allo svolgimento di ulteriori e rilevanti difese, tuttavia, dimostrare anche la ragionevole probabilità di una decisione diversa da quella effettivamente assunta, alza oltre modo l'asticella dell'onere probatorio, che diventerebbe quasi diabolico.

Risulta innegabile che vi sia un pesantissimo carico di lavoro in tutti i Tribunali, come altrettanto evidente risulta la carenza di organico degli stessi, tuttavia, cercare di spiegare come la compressione del primario diritto di difesa, relativo all'omessa assegnazione dei termini (perentori) per il deposito delle comparse conclusionali e delle repliche, sia giustificabile alla luce dell'economia processuale e dell'irragionevole durata del processo, appare una eccessiva forzatura che, di contro, potrebbe aprire la strada alla “giustificazione” di tutte le violazioni procedurali.

Avv. Paolo Accoti



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