|
Data: 19/06/2015 10:00:00 - Autore: Marina Crisafi Le spese legali, comprendenti cioè i compensi dell'avvocato per l'attività professionale prestata al proprio assistito (nonché le spese “vive” dallo stesso anticipate), di regola, non vengono pagate nelle mani dello stesso avvocato, ma in quelle della parte vittoriosa, unitamente alle eventuali somme ad essa spettanti e liquidate nel dispositivo dal giudice. L'unica ipotesi in cui le spese legali vengono pagate direttamente al difensore è quella disciplinata dall'art. 93 c.p.c. concernente la “distrazione delle spese”. Si tratta di un istituto generale che trova applicazione nei diversi tipi di procedimento e che consente al difensore di chiedere al giudice (con apposita istanza, nel corso della causa) che nella medesima sentenza in cui condanna alle spese, provveda a distrarre appunto in suo favore (e degli eventuali altri difensori) sia gli onorari non riscossi che le spese anticipate. Una volta accolta l'istanza del difensore, mediante il provvedimento di distrazione delle spese processuali, tra questo e la parte soccombente si instaura un diritto autonomo di credito, rispetto a quello preesistente tra i contendenti. Per cui, il difensore distrattario, nell'ipotesi di controversie relative alla distrazione delle spese, assumerà la veste di vera e propria parte (Cass. n. 20744/2011) e sarà l'unico legittimato ad intimare precetto di pagamento per il recupero dell'importo delle spese e degli onorari (Trib. Bari 30.1.2012). In ogni caso, in base a quanto disposto dal comma 2 dell'art. 93 c.p.c., finchè l'avvocato non abbia conseguito il rimborso che gli è stato attribuito, la parte potrà chiedere al giudice (nelle forme della correzione delle sentenze), la revoca del provvedimento, laddove dimostri di avere già soddisfatto il credito dovuto per gli onorari e le spese. Nell'ipotesi, invece, di omessa pronuncia da parte del giudice sulla domanda di distrazione, per la più recente giurisprudenza, l'avvocato non dovrà impugnare la decisione secondo le vie ordinarie, ma potrà attivare la più celere procedura per la correzione degli errori materiali (ex artt. 287 e 288 c.p.c.), in quanto trattasi soltanto della necessità “di porre rimedio ad un errore solo formale, estraneo alla decisione - che lascia - immutata la conclusione adottata” (cfr. Cass. SS.UU. n. 16037/2010).
|
|