Data: 07/07/2015 16:00:00 - Autore: Avv. Paolo Accoti

Avv. Paolo Accoti - Il DDL 1557 approvato al Senato in data 30.04.2015, contiene numerose e profonde riforme della pubblica amministrazione.

L'ottica del legislatore è quella di garantire ai cittadini e alle imprese, anche per il tramite delle nuove tecnologie, l'accesso ai dati ed ai documenti di loro interesse, in modalità digitale. Tanto al fine di semplificare l'accesso ai servizi alla persona, riducendo la necessità dell'accesso fisico agli uffici pubblici.

A tal proposito il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi volti a modificare e integrare il codice dell'amministrazione digitale.

Vediamo in breve quali sono le novità.

Novità in materia di silenzio assenso. Alla legge 7 agosto 1990, n. 241, dopo l'articolo 17, viene inserito, infatti, l'art. 17 bis (art. 3 DDL), a mente del quale le amministrazioni pubbliche, per l'adozione di provvedimenti di competenza di altre amministrazioni pubbliche, comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta entro trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento. Il termine è interrotto qualora l'amministrazione che deve rendere il proprio assenso, concerto o nulla osta rappresenti esigenze istruttorie o richieste di modifica. In tal caso, l'assenso, il concerto o il nulla osta è reso nei successivi trenta giorni dalla ricezione degli elementi istruttori o dello schema di provvedimento, senza possibilità di ulteriori interruzioni di termini. Decorsi i termini di cui sopra, senza che sia stato comunicato l'assenso, il concerto o il nulla osta si intende acquisito.

Viene prevista la riorganizzazione dell'amministrazione dello stato. A tal proposito, il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per modificare la disciplina della Presidenza del Consiglio dei ministri, dei Ministeri, delle agenzie governative nazionali e degli enti pubblici non economici nazionali.

Si tende alla riduzione degli uffici e del personale anche dirigenziale destinati ad attività strumentali e al rafforzamento degli uffici che erogano prestazioni ai cittadini e alle imprese.

E' previsto il riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura.

Il Governo riceve delega ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi in materia di dirigenza pubblica e di valutazione dei rendimenti dei pubblici uffici.

Il sistema della dirigenza pubblica viene articolato in ruoli, unificati e coordinati e le procedure d'accesso saranno basate sul principio del merito, dell'aggiornamento e della formazione continua.

Viene istituita una banca dati per l'inserimento del curriculum vitae e il profilo professionale e gli esiti delle valutazioni per ciascun dirigente, con l'istituzione di un ruolo unico dei dirigenti statali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, nel quale confluiranno gli appartenenti ai ruoli delle amministrazioni statali, degli enti pubblici non economici nazionali, delle università statali, degli enti pubblici di ricerca e delle agenzie governative, il personale appartenente alle carriere speciali, ad esclusione della carriera diplomatica e, infine, l'eliminazione della distinzione in due fasce dirigenziali.

Novità anche in materia di concorsi e qui, sicuramente, iniziano le note dolenti.

É stato approvato, infatti, l'emendamento n. 13.38 presentato dal deputato PD Marco Meloni.

Ecco il testo dell'emendamento incriminato: “Al comma 1, dopo la lettera b), aggiungere la seguente: b-bis) superamento del mero voto minimo di laurea quale requisito per l'accesso ai concorsi e possibilità di valutarlo in rapporto a fattori inerenti all'istituzione che lo ha assegnato e al voto medio di classi omogenee di studenti, ferma restando la possibilità di indicare il conseguimento della laurea come requisito necessario per l'ammissione al concorso”.

Nell'ambito dei criteri direttivi previsti per il riordino della disciplina di lavoro delle p.a., inserisce un nuovo criterio direttivo volto a prevedere superamento del mero voto minimo di laurea quale requisito per l'accesso ai concorsi.

In altri termini, nei concorsi pubblici, oltre al voto di laurea, rilievo e, quindi, punteggio maggiore, assumerà l'università dove la laurea é stata conseguita.

Ciò sta a significare che oltre al voto di laurea, verrà valutata anche l'università dove l'anzidetta laurea è stata conseguita, secondo una sorta di "classifica" tra atenei, dove chiaramente risulterà avvantaggiato il partecipante al concorso pubblico che ha conseguito la laurea nell'università più "quotata".

La norma ha scatenato, comprensibilmente, le accese polemiche degli studenti, sindacati e addetti del settore specialmente perché non esistono criteri oggettivi di valutazione.

In realtà appare davvero difficile immaginare la ratio della norma che porterà sicuramente a considerare le università, quelle “premiate” dalla norma, come di “serie A”, e tutte le altre in qualche modo penalizzate dalla scelta del legislatore.

Peraltro, non si capisce neppure quale potrebbe essere il criterio di scelta ovvero i parametri per considerare un ateneo “migliore” dell'altro.

A tal proposito c'è già chi fa riferimento alle classifiche dell'Anvur (Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca), che già in passato avevano sollevato un vespaio di polemiche.

Tuttavia, si rimane nell'ambito delle "voci", non essendo al momento noti i criteri per la valutazione delle università, nonostante l'emendamento che aggiunge questo ulteriore requisito risulti già approvato.

Se mai una norma del genere dovesse venire definitivamente approvata, risulterebbe senz'altro prevedibile come la stragrande maggioranza dei neo-universitari, opterebbe proprio per quegli atenei beneficiari del “favore” della norma, con un crollo delle iscrizioni in tutti gli altri, non destinatari di analogo provvedimento.

Una distinzione davvero intollerabile che rischierebbe di penalizzare alcuni studenti in favore di altri e comporterebbe il crollo delle iscrizione in alcune università italiane.

Non ci resta, pertanto, che sperare nello stralcio dell'incomprensibile emendamento in sede di votazione definitiva.

Avv. Paolo Accoti


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