Data: 10/07/2015 19:35:00 - Autore: Stefano Tamagna

Dott. Stefano Tamagna

"Con il provvedimento di condanna il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle controversie di lavoro subordinato pubblico e privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'articolo 409.
Il giudice determina l'ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile".

Introduzione e funzione dell'istituto

Il presente disposto normativo è stato inserito ex novo nel c.p.c. dall'art. 49, comma primo, della Legge numero 69 del 18/06/2009. Tale istituto è stato improntato sull'analoga misura francese denominata astreinte (dal latino ‘adstringere' ossia costringere) e si sostanzia in una misura accessoria al provvedimento di condanna principale, inflitta al debitore, che lo costringe a pagare una somma di denaro per ogni giorno (o diversa unità di tempo) di ritardo nell'adempimento del provvedimento, oppure, ma meno frequentemente, a versare una somma fissa per ogni singola violazione dell'obbligazione al beneficiario della suddetta somma che si identifica nel creditore.

La sua introduzione nel codice di rito è stata da molti considerata una svolta ‘epocale' dato che la sua mancanza causava un notevole vuoto legislativo nell'ordinamento processuale in quanto, prima del suo avvento, non esisteva un adeguato sistema di esecuzione indiretta con cui le obbligazioni e gli obblighi infungibili -nascenti da una sentenza o da altro provvedimento- potessero trovare soddisfazione.

Il suddetto ‘vuoto normativo' era dovuto al fatto che, trattandosi di obblighi di natura infungibile, essi non potevano essere attuati mediante la tecnica sostitutiva dell'esecuzione forzata diretta e ciò causava una mancanza a danno dell'effettività della tutela giurisdizionale dei diritti creditori. Infatti, l'ordinamento processuale ante-riforma prevedeva: l'espropriazione per crediti consistenti somme di denaro, l'esecuzione per consegna o rilascio e l'esecuzione di obblighi (di natura fungibile) di fare o non fare, che rappresentavano i tre tipi di esecuzione diretta, ma eravamo totalmente sprovvisti di una forma tipica di tutela per le obbligazioni a carattere infungibile; ciò, a parere di diversi commentatori, era del tutto inaccettabile, poiché la sua mancanza ‘mutilava' il nostro sistema dell'esecuzione civile indiretta. Detto disposto, quindi, consiste in uno strumento di coercizione indiretta -di natura patrimoniale e di applicazione pressochè generalizzata- del debitore, ed è strumentale a favorire l'adempimento di quegli obblighi che da esso dipendono e non possono essere adempiuti da altri soggetti diversi dal debitore. Con il suddetto provvedimento di condanna, dunque, il giudice, su richiesta del creditore, quantifica, in base al ‘valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile' quello che sarà l'ammontare della somma dovuta in caso di inosservanza, violazione o mero ritardo nell'esecuzione di suddetto provvedimento.

La suddetta misura potrà essere applicata solo in determinati casi, nella specie: quando non si possa ricorrere ad esecuzione diretta e si abbia ad oggetto una prestazione infungibile.

La stessa ha inoltre natura rafforzativa, in quanto può essere uno strumento volto ad ottenere più velocemente la soddisfazione o l'adempimento del diritto.

La norma è ubicata nel titolo 4, sezione 5 del terzo libro del c.p.c. dedicato all'esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, nonostante il provvedimento venga richiesto -ed eventualmente concesso- dal giudice della cognizione; al giudice dell'esecuzione spetterà solo dare ossequio a detta disposizione essendo il provvedimento di condanna titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per la violazione. La ratio di investire il giudice della cognizione di questo compito si può configurare nel fatto che lo scopo principale di questa norma è quello di ottenere che l'attuazione della sentenza avvenga in via volontaria, con ciò appunto si parlava di esecuzione processuale indiretta.

In definitiva, come statuito da una pronuncia di merito ‘la misura prevista dall'art. 614 bis c.p.c. è volta ad assicurare l'attuazione sollecitata del provvedimento e, come per la condanna, è funzionale, innanzi tutto, a favorire la conformazione a diritto della condotta della parte inadempiente e, conseguentemente, ad evitare o limitare la produzione del danno..in secondo luogo la misura assicura l'esigenza di garantire un serio ristoro di fronte al perdurare dell'inadempimento ..(Tribunale di Cagliari Ordinanza 19/10/2009).

Esecuzione indiretta ed infungibilità della prestazione

L'esecuzione indiretta consiste nell'erogare misure coercitive a carico del soggetto inadempiente al fine di indurlo ad adempiere spontaneamente, oppure, in alternativa, la stessa potrà essere utilizzata quando occorra assicurare l'attuazione coattiva di un provvedimento giurisdizionale, ma essa non sia possibile in forma specifica, ossia realizzando (anche con surrogazione dell'obbligato ad opera di un terzo) esattamente la prestazione ordinata dal giudice.

Possiamo allora definire questa norma come una ‘misura coercitiva indiretta a carattere pecuniario', sempre ‘accessoria' ad un provvedimento di condanna principale (dal quale mai può prescindere e senza il quale la misura stessa non avrebbe ragione di esistere) e posta in essere al fine di incentivare l'adempimento spontaneo ed immediato, oppure in alternativa a scoraggiare il protrarsi dell' inosservanza attraverso la previsione di una ‘minaccia' di vedersi diminuire il patrimonio tramite l'irrogazione di una sanzione patrimoniale.

Sul punto la Cassazione si è pronunciata enunciando il principio di diritto secondo cui: ‘nell'ambito dei rapporti obbligatori, il carattere infungibile dell'obbligazione di cui si è accertato l'inadempimento non impedisce la pronuncia di una sentenza di condanna, in quanto la relativa decisione non solo è potenzialmente idonea a produrre i suoi effetti tipici in conseguenza della eventuale esecuzione volontaria da parte del debitore, ma è altresì produttiva di ulteriori conseguenze risarcitorie, suscettibili di levitazione progressiva in caso di persistente inadempimento del debitore; inoltre, ogni dubbio sull'inammissibilità di una pronuncia di condanna è stato eliminato dal legislatore con l'introduzione dell'art. 614 bis c.p.c. avente un valore ricognitivo di un principio di diritto già affermato in giurisprudenza (Cass. N. 19454/2011).

Come detto, la suddetta norma è applicabile solo agli obblighi di fare o non fare infungibili.

Per ben chiarire la distinzione tra fare infungibile e non fare infungibile e cogliere appieno il significato di quanto detto sino ad ora serviamoci di un esempio per entrambe le fattispecie:

1) Tizio, famoso e rinomato pasticciere, si impegna a preparare una torta per un prefissato giorno. In caso di inadempimento dello stesso, il giudice adito dalla controparte che abbia richiesto la prestazione con annessa istanza ex art. 614 bis c.p.c., contestualmente al provvedimento di condanna ad adempiere, stabilisce che Tizio dovrà pagare 50,00 euro per ogni giorno di ritardo nella consegna della torta.

2) Caio, viene condannato dal giudice a non tenere la televisione ad alto volume, in ossequio a quanto disposto dall'art. 844 c.c. (in merito alle immissioni), dalle ore 23 sino alle ore 8 del mattino. L'istante potrà contestualmente chiedere al giudice che per ogni violazione a detto precetto venga applicata una sanzione di 50,00 euro.

Chiaramente in entrambi i casi si evince l' infungibilità della prestazione dedotta in obbligazione in quanto è giocoforza che nel primo caso il facere grava su una persona precisa che ha qualità e caratteristiche ben precise (cioè rinomato pasticciere), quindi solo lui potrà assolvere detta prestazione e non un qualunque altro pasticciere; stessa cosa nel secondo caso, in quanto è ovvio che il non facere graverà su Caio essendo lui il vicino di casa molesto che deve tenere ad adeguato volume la televisione e certo non potrà eccepire una surrogazione della prestazione di astensione dal fare una certa cosa che palesemente solo lui può e deve eseguire.

Limitazioni di utilizzo

La norma prevede delle limitazioni di utilizzo le quali consistono: a) nell' inammissibilità della concessione del provvedimento richiesto in caso di iniquità del provvedimento stesso, ossia qualora esso risulti eccessivamente oneroso per il debitore. Conseguentemente il giudicante che decida di accogliere la richiesta del creditore dovrà adottare il criterio, così come definito dalla dottrina, della ‘valutazione comparativa degli interessi' in base al quale l'imposizione dell'astreinte dovrebbe essere ritenuta inammissibile se da essa derivi un eccessivo aggravio per la posizione del debitore; b) nell'esclusione dell'applicazione della stessa a determinate controversie, ossia quelle inerenti ai rapporti di lavoro subordinato pubblico e privato, nonché a quelle previste dall'art. 409 del c.p.c.; c) infine la norma richiede l'impulso del creditore, ossia la necessità dell'istanza di parte – quindi dell'esplicita richiesta del creditore- al fine della sua concessione, non essendo – contrariamente alla misura francese- prevista l'applicazione d'ufficio.

Applicazione processuale e precedenti Giurisprudenziali

La misura coercitiva in oggetto può avere accesso nei procedimenti ordinari di cognizione, nei procedimenti sommari di cognizione ex art. 702 bis c.p.c., nei procedimento avanti al giudice di pace, alla Corte d'Appello e persino avanti alla Corte di Cassazione.

La domanda può essere avanzata anche in sede cautelare d'urgenza ex art. 700 c.p.c., in tal caso dovrà essere formulata già nel ricorso introduttivo.

Su quest'ultimo punto si veda una recente pronuncia del Tribunale di Reggio Emilia con cui il Giudice, a seguito di un ricorso d'urgenza ex art. 700 c.p.c., volto a far cessare l'indebita pubblicazione sulla piattaforma Facebook di alcuni post dal contenuto offensivo, ha accolto la richiesta del ricorrente di fissare una somma di denaro dovuta dai convenuti per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni giorno di ritardo dall'esecuzione del provvedimento di rimozione degli stessi, ritenendo quindi applicabile il 614 bis c.p.c. anche ai provvedimenti emanati in sede cautelare (cfr. Trib. Reggio Emilia, Ordinanza del 15/04/2015).

La norma in narrativa, nelle sue prime applicazioni ad opera dei Tribunali di merito, si è dimostrata estremamente duttile, essendo stata utilizzata per svariati tipi di controversie che qui si riportano analiticamente:

1) In merito ad un giudizio di danno temuto ex art. 1172 c.c.: in tal caso il ricorrente chiese un'ordinanza di demolizione dell'opera e contestualmente richiese una condanna al pagamento di un'astreinte in misura fissa (Tribunale di Terni 06/08/2009);

2) In materia di riattivazione di un'utenza telefonica: il giudice dispose la riattivazione dell'utenza interrotta tramite decreto e unitamente fissò una condanna al pagamento di una somma di denaro in misura progressivamente crescente in base all'entità del ritardo maturato per dare stura a tale esecuzione (Tribunale di Cagliari 19/10/2009);

3) In materia di rapporti di vicinato, con riferimento alla violazione del precetto comminato ex art. 844 c.c. in costanza di immissioni illecite: il giudice oltre a condannare l'obbligato all'eliminazione a sue spese della fonte delle immissioni, fissava una somma unica per l'ordine di rimozione e un'altra per ogni giorno di ritardo nel darvi ossequio (Tribunale di Ostia in data 27/10/2009);

4) In tema di cancellazione della trascrizione di un sequestro conservativo ex art. 671 c.p.c.: nell'ordinare la cancellazione, il giudicante condannava il conservatore dell'Agenzia del Territorio a corrispondere una somma a titolo di astreinte per ogni frazione temporale di ritardo maturato (Tribunale di Torino 02/07/2010);

5) In merito alla riattivazione di un account (Tribunale di Messina 07/07/2010);

6) In materia di illegittima sublocazione nella quale il conduttore fu condannato a demolire un'opera costruita senza consenso del locatore con contestuale condanna al pagamento di una somma per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione dell'ordine di disfare (Tribunale di Trento 08/02/2011);

7) In merito a sanzionare ogni violazione di un provvedimento interdittivo consistente nell'obbligo di astensione dall'ostacolare l'esercizio di un diritto di servitù (Tribunale di Varese, Ordinanza, 16/02/2011).

Infine, recentissima pronuncia della Cassazione ha ritenuto ‘non contrario agli schemi legali del nostro ordinamento l'istituto dell'astreinte posto a fondamento di una decisione di un giudice belga, in quanto il 614 bis c.p.c. contiene una misura coercitiva indiretta finalizzata all'attuazione degli obblighi di fare infungibile e di non fare', ritenendo pertanto infondato il ricorso promosso da un ricorrente con il quale invocava –fra gli altri motivi- la contrarietà all'ordine pubblico interno dell'applicazione della misura ad opera di un giudice straniero (cfr. Cass. N. 7613/2015 del 23/02/2014).

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